Archivio mensile:Aprile 2010

Lavoratori 1 – Amianto 0

Speriamo sia il primo di una lunga serie di verdetti del genere, sempre che i problemi personali di B. non abbiano ripercussioni anche sulla necessità di giustizia che troppo spesso i lavoratori si sono visti negata. Aspettiamo adesso Torino, Marghera, Taranto.

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25 Aprile

Andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione.
Piero Calamandrei

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Lettera al segretario del PD

Caro Pierluigi,
chi ti scrive è un semplice cittadino, iscritto al PD.
Non è mancato e non sta mancando in questi mesi, nei limiti delle mie possibilità, l’impegno per cercare di contribuire a costruire un PD che sia maggiormente confacente alle aspirazioni mie e di innumerevoli amici, iscritti, cittadini con i quali, nelle differenti forme di partecipazione oggi utilizzabili, condivido l’attività politica.
Tale desiderio di partecipazione si scontra però con la dura realtà di un partito che, soprattutto nei suoi gruppi dirigenti nazionali ma anche territoriali, appare fermo, ingessato, atrofico.
Da tempo ormai il PD non riesce più a parlare agli italiani né a suscitare alcun tipo di entusiasmo in gran parte del proprio elettorato.
A partire dall’esperienza del secondo governo Prodi, passando per la sconfitta rimediata alle elezioni del 2008 (seppur con un buon risultato per il Partito Democratico) e per il congresso fino ad arrivare alle recenti sconfitte subite alle elezioni europee e regionali, si è fatta strada l’idea di un PD senza idee, senza un progetto condiviso per l’Italia.
In questi giorni la scena politica italiana è caratterizzata dai contrasti in seno al PdL emersi in seguito alle posizioni di Fini. Senza entrare nel merito delle questioni, e lungi dal condividere in alcun modo il percorso del centrodestra italiano (sono e resto di sinistra), citando Curzio Maltese si può dire che almeno Fini, probabilmente, ha qualcosa che nella politica italiana s'è ormai perso: un progetto. Un grande progetto. Quello di creare anche in Italia una destra normale, europea, repubblicana, più simile ai conservatori inglesi o francesi o tedeschi di quanto non sia il partito ad personam escogitato sul predellino da Berlusconi.
Vedremo nelle prossime settimane quali esiti avrà la vicenda.
Ma almeno è qualcosa.
Il Pd, invece rischia, ancora di più rispetto a quanto sta accadendo attualmente, di non riuscire a svolgere un ruolo di traino per il paese semplicemente perché non traspare in alcun modo quale sia la progettualità che intende sviluppare e quale tipo di società si prefigge di costruire a partire da adesso e per i prossimi venti anni.
Questa è la convinzione che si è fatta strada nelle opinioni comuni, suffragata da litigiosità interna, continui distinguo e assoluta mancanza di univocità sulla maggior parte dei temi che un potenziale elettore di centrosinistra e del PD, oggi, vorrebbe vedere trattati con decisione.
Ti chiedo, Pierluigi: qual è oggi la posizione del PD in merito ai principali problemi dell’Italia?
Quali soluzioni propone il PD per provare a risollevare sotto il profilo socio-economico il Mezzogiorno?
Quali proposte per provare a regolare i fenomeni migratori coniugando diritti, inclusione, cittadinanza e legalità e sfidare quindi la Lega sul suo stesso terreno ma con rinnovata credibilità?
Quali strumenti per combattere la piaga sociale del precariato che investe ormai la quasi totalità delle giovani generazioni e che sta negando loro il diritto ad un lavoro decente, il diritto ad futuro migliore di quello dei propri padri, il diritto a costruire una famiglia?
Quale previdenza ha in mente il PD per i prossimi decenni, visto che l’opera di sussidio esercitata dai genitori a beneficio dei propri figli sarà destinata, nel tempo, a scomparire, lasciando così intere generazioni prive di un’assistenza adeguata per vivere una vecchiaia dignitosa?
E potrei ripetere le medesime domande per scuola, università e formazione, politica fiscale, politica energetica, infrastrutture, difesa del territorio e dell’ambiente, diritti civili, sicurezza, giustizia, conflitto di interessi.
Abbiamo celebrato un congresso tra i più lunghi che la storia repubblicana ricordi dal quale sei uscito vincitore ma ancora non sappiamo chi siamo, cosa pensiamo, in quale direzione stiamo andando. In una tale situazione si insegue affannosamente il tema del giorno e si finisce con il farsi dettare l’agenda politica ora dalle esigenze personali di Berlusconi, ora dagli ultimatum della Lega o delle gerarchie vaticane.
Si continua inoltre a pontificare su forma di partito, strategie, alchimie, alleanze, anche con partiti che alla prova del voto risultano essere marginali, invece di costruire un partito in cui credere e non un partito per il quale, semplicemente, votare, magari turandosi il naso.
Un partito che si ponga l’obiettivo di recuperare i milioni di voti che ci siamo persi per strada tra gli elettori che hanno deciso di astenersi (fenomeno nuovo e preoccupante per la sinistra in Italia) e quelli che, invece, hanno scelto l’IDV, SEL o il Movimento a 5 Stelle.
Nei giorni scorsi si è tenuta a Roma la Direzione Nazionale.
A leggere i resoconti dell’assemblea il linguaggio utilizzato in quella sede mi è apparso fuori dalla realtà, come fuori dalla realtà sono apparsi i contenuti dei principali interventi.
In quella sede è emersa con tutta la sua drammaticità l’evidenza di come l’attuale classe dirigente del PD non sia in grado di parlare a larghe fasce del paese, ma soprattutto ai precari, alle donne, agli studenti, agli operai, alle giovani generazioni, in special modo del sud Italia.
Il fatto che il PD, che dovrebbe essere IL partito dei giovani (dei giovani elettori, non dei giovani dirigenti), non riesca a catturare il consenso della popolazione under 35 dà, a mio avviso, la cifra del fallimento dell’attuale gruppo dirigente.
Un gruppo dirigente autoreferenziale, inamovibile, che si considera indispensabile e che riproduce al suo interno le medesime storture presenti nella società italiana e che, a parole, dice di voler contrastare ed eliminare.
Si progredisce all’interno del partito come nella scuola, nelle università, nella pubblica amministrazione, ossia se ci si aggrega ad una corrente di pensiero dominante, a gruppi di potere e se da questi si viene cooptati.
E ciò avviene nonostante errori politici o comportamenti semplicemente vergognosi dei quali nessuno chiede mai conto, valgano per tutti gli esempi negativi di Nicola Latorre, Antonio Bassolino e Vladimiro Crisafulli.
Per non parlare di Massimo d’Alema, non ancora pago dell’insuccesso personale patito nella vicenda Vendola al punto tale da esternare tutt’oggi la convinzione che in Puglia, con Boccia e l’UDC ma senza Nichi, si sarebbe vinto ugualmente. Mostrando così di non capire che il successo personale di Nichi Vendola (uno dei pochi a sinistra che riesce a parlare alla testa e al cuore delle persone) deriva anche dal desiderio degli elettori di liberarsi finalmente della politica fatta di queste alchimie, di questi calcoli a tavolino, di questi compromessi al ribasso.
Pierluigi, ho apprezzato molto il tuo operato in qualità di presidente della Regione Emilia Romagna prima e di ministro poi.
Ho apprezzato molto meno la tua mancanza di coraggio nell’evitare di sfidare Walter Veltroni per la segretaria del PD all’atto della sua fondazione o nell’evitare di assumerti la responsabilità di diventare il segretario del PD da subito, all’indomani delle dimissioni di Veltroni, invece di aspettare sulla riva del fiume che passasse il cadavere di qualcuno ad elezioni europee concluse.
Ma tu sei il segretario del PD e quindi sei l’unico legittimato a compiere scelte importanti.
Il congresso ha sancito una vittoria tua e di chi non vedeva di buon occhio un ricambio generazionale ai vertici del partito.
Ti chiedo però, oggi, di dimostrare di avere coraggio e andare oltre il consenso acquisito con il congresso e oltre il mandato che ti è stato affidato nel novembre del 2009.
Se vuoi dare una speranza al PD e all’Italia in vista delle prossime scadenze elettorali del 2011 e il 2013, prendi coscienza del fatto che tu e l’attuale gruppo dirigente, perseverando nell’ignorare la richiesta di rinnovamento non solo anagrafico ma anche del modo di condurre l’azione politica che giunge a gran voce da quella parte della società italiana che guarda al centrosinistra, non  contribuirete a creare un paese migliore.
Sinceramente non penso che questo mio appello possa essere tacciato di giovanilismo o nuovismo a tutti i costi. Risponde piuttosto ad un’esigenza condivisa con la maggior parte delle persone con le quali mi confronto giornalmente e che costituiscono il prototipo di elettorato under 35 che, ahinoi, non vota più PD.
Il paese reale, insomma, quello dal quale troppe volte vi siete eccessivamente allontanati.
Queste persone non hanno più fiducia in voi perché troppe volte le loro aspettative sono state tradite, troppe volte hanno toccato con mano la vostra incapacità di mantenere le promesse fatte. E su questo aspetto valga come esempio quanto accaduto nei giorni passati con il voto a favore del disegno di legge che salva gli effetti del decreto salva-liste, un dietro-front che ha del mirabolante, a dispetto delle parole utilizzate durante la manifestazione per la quale si erano mobilitate migliaia e migliaia di persone, loro si animate da un reale desiderio di vedere rispettate le regole sempre.
Caro Pierluigi, le idee delle persone camminano sulle loro gambe, allora mi permetto di dirti che quand’anche il PD riuscisse a formulare un progetto per il paese, risulterebbe assai difficile convincere tutti quegli elettori persi per strada in questi anni circa le buone intenzioni di quei dirigenti che ancora hanno un potere immenso all’interno del partito e che in questi anni, hanno principalmente provveduto a segare i rami sui quali tutti eravamo seduti.
Giovani e preparatissimi amministratori e dirigenti del PD sparsi sul territorio nazionale pronti ad assumere con successo ruoli di responsabilità certamente non mancano.
Come sicuramente non mancano esempi positivi di good-practice esportabili dalle amministrazioni locali rette da giunte di centrosinistra in contesti più ampi.
Leggo in queste ore di incontri con Di Pietro per definire da subito chi possa essere il leader di una eventuale coalizione di centrosinistra, così da non farsi trovare impreparati ad eventuali elezioni anticipate. Mi appello allora al tuo senso di responsabilità affinché capisca che, qualora si decidesse che quel ruolo spetta ad un esponente PD, quel leader non puoi essere tu ma deve essere ricercato tra i “giovani” dirigenti del partito che si affacciano con successo sulla scena politica nazionale e che più risultano essere in sintonia con quella parte di elettorato al qual non riusciamo più a parlare.
Quindi sta a te liberare le forze positive presenti nel PD e condurre per mano una nuova classe dirigente che parli agli italiani con rinnovato vigore e che si proponga alla guida del paese in maniera forte e credibile. E soprattutto sta a te esercitare la leadership che ti è stata affidata con l’umiltà necessaria per capire che è indispensabile da parte tua, in questo momento storico, fare un passo indietro se si vuole davvero rafforzare il PD affinché diventi il traino per una rinascita politica, sociale e civile dell’Italia.

Brutta bestia l’ignoranza

Il trota inizia a colpire. Dichiarazioni roboanti. A parte il fatto che bisogna essere proprio dei masochisti a mettere un microfono o un taccuino sotto la bocca di un soggetto del genere, ma tant'è, il conflitto di interessi è pure questo. Il ragazzo mi ricorda le vecchiette del mio paese per le quali prendere il treno era impensabile e pertanto nella loro vita non sono mai state a 10 km da casa, figuriamoci a Roma (!). Ci si vanta di non essere mai stato a sud della Capitale. Peccato. Avrebbe imparato molto. Infatti l'unica cosa che evoca tempi lontani, di cinquant'anni fa, è il livello della sua ignoranza.  

Senza nome

La crisi morde

A volte uccide. Le piccole aziende sono in difficoltà ma a quanto pare questo lungo inverno di lavoro negato, di perdita di dignità, di mancate risposte della politica durerà ancora per molto. Il mio pensiero va ai lavoratori e alle loro famiglie.

Qualcuno risusciti

"… si è riunita ieri la direzione del Pd dando luogo ad un lungo dibattito privo tuttavia di apprezzabili novità e di concrete proposte. Il Pd è in attesa con le armi al piede, si direbbe in gergo militare. Nell'aria aleggia però una domanda: in tempi ormai remoti i due grandi partiti nazionali della Prima Repubblica avevano un invidiabile radicamento nel territorio. Come mai gli eredi di quelle due tradizioni politiche non sono riusciti a coniugare la concezione nazionale del partito e il suo radicamento territoriale?

La ragione è molto semplice e la storia ce la racconta. La Dc era radicata nelle parrocchie, nelle associazioni cattoliche, negli oratori, nelle cooperative bianche. Il Pci ricavava invece quel radicamento dal fatto che i comunisti erano licenziati dalle fabbriche o mandati nei reparti di confino. Occupavano le terre insieme ai contadini, morivano sotto il piombo dei mafiosi insieme agli operai scioperanti nelle zolfare siciliane e nelle cave calabresi. Leggete "Le parole sono pietre" di Carlo Levi e saprete come e perché i comunisti erano radicati sul territorio.

Il radicamento sul territorio non dipende dal numero dei circoli o delle sezioni. Dipende dalla condivisione della vita dei dirigenti con quella del popolo che li segue. Se quella condivisione non c'è e al suo posto c'è separatezza, il contenitore è una scatola vuota e il gruppo dirigente galleggia appunto nel vuoto. Non è questione di età, di giovani o vecchi, di donne o di uomini, di settentrionali o di meridionali, di colti o meno colti. È questione di creare una comunità e viverla come tale. La dirigenza del Pci era fatta di intellettuali che vivevano come proletari e in mezzo ai proletari. Se non c'è comunità, se non si sa suscitarla, non ci sono partiti ma gusci vuoti in balia della corrente. Anzi delle correnti. Questo è il problema del Pd. Mancano i don Milani e i Di Vittorio d'un tempo. Se risuscitassero sotto nuove spoglie molte cose cambierebbero in quest'Italia di maschere e di generali senza soldati."

Eugenio Scalfari – La Repubblica del 18/4/2010