Archivio mensile:Giugno 2010

La “buona politica” possiamo costruirla insieme

Di Pippo Civati e Davide Imola

«Siete tutti uguali», ci sentiamo ripetere spesso. E noi, invece di offenderci, dovremmo riflettere. E forse fare un passo più in là. Perché la risposta migliore alla provocazione è affermare: «sì, siamo tutti uguali», tutti noi, politici e cittadini. Perché questo è il problema della 'casta'. Perché nessuno vuole più prendere parte a un rito, ma trovare il proprio modo di partecipare all'insegna del concetto principale: la condivisione. Relazioni e non gerarchie, reti e non piramidi, perché tutti quelli che hanno qualcosa da dire (e si sentono di dirlo) possano farlo.

Allora che cosa si può fare e come?
Uno dei progetti di Oltre – www.andiamooltre.it – riguarda il Codice della Buona Politica, costruito dai militanti e dagli elettori partendo dalle loro esperienze e dalle correzioni di alcune evidenti distorsioni che hanno visto e conosciuto in questi anni. Dall’assemblea nazionale del PD sono arrivati alcuni segnali positivi come l’incompatibilità tra cariche Istituzionali e quelle di partito a livello locale o l’istituzione delle anagrafi patrimoniali degli eletti o, ancora, l’inserimento di un terzo dei segretari di circolo nelle segreterie provinciali. Un bel passo avanti, su cui lavorare ancora.

Comprensibilità del processo, trasparenza e tracciabilità delle decisioni, partecipazione e apertura alla società sono i nostri obiettivi. Non solo regole, però: altrettanto importanti sono lo stile, i comportamenti e le modalità di rapporto tra politica e cittadini. Nell’Italia di Berlusconi e del suo amico Brancher siamo invitati a fare più e meglio, perché è forte il disorientamento e la sfiducia nei confronti delle istituzioni e della politica.

Nei comportamenti della politica sono diventate desuete o hanno perso di valore molte parole che dovrebbero essere alla base di un corretto vivere civile e di un rapporto trasparente tra rappresentanti e rappresentati che fanno parte della stessa comunità, sia essa un partito, un circolo, un comune o l’intero stato: Onestà, Partecipazione, Democrazia, Meritocrazia.

Gli statuti dovranno prevedere l’incompatibilità per doppi o tripli incarichi. Partendo da competenze e curriculum, bisogna garantire un’equa rappresentatività negli organismi direttivi, nonché nelle candidature alle elezioni a qualsiasi livello, di donne, giovani e immigrati. I circoli di base e tematici devono avere, per funzionare, il 50% delle risorse raccolte dal tesseramento e dai rimborsi elettorali. Sono solo poche delle proposte avanzate per provare a rivitalizzare e riempire quelle parole dandogli una concretezza e un senso, facendole diventare i simboli dei comportamenti da tenere in politica.

Chi è interessato può andare sul blog www.buonapolitica-oltre.blogspot.com o sul sito dell’Unità (www.unita.it), lasciare le proprie proposte o votare quelle già presenti, per redigere insieme un manifesto, una sorta di “Codice della Buona Politica”, costruito attraverso la partecipazione di cittadini e militanti che chiederemo di inserire nello Statuto e nel Codice Etico del Pd come degli altri partiti. A noi la politica piace così, credibile fin dai comportamenti e capace di far diventare protagonisti i cittadini.

Il profitto e l’operaio

Posto alcuni stralci dell'articolo di Gad Lerner, pubblicato sabato su "La Repubblica".
Le riflessioni di Gad inchiodano ovviamente anche il PD alle proprie responsabilità, nella speranza che l'agenda non solo del PD ma della sinistra tutta sia davvero aggiornata.

… Da una ventina d’anni la parola egualitarismo è proibita nel dibattito pubblico, demonizzata alla stregua di un'ideologia totalitaria. Ma nel frattempo imponenti quote della ricchezza nazionale sono state dirottate dal lavoro dipendente a vantaggio dei profitti, esasperando una disuguaglianza di reddito senza precedenti storici.
Questo imponente spostamento di punti del Pil dai salari al capitale non ha certo reso più competi
tiva l'economia italiana come invece prometteva. Semmai fotografa, con sintesi brutale, la sconfitta di una sinistra la cui ragione sociale, per oltre un secolo, si identificò con il miglioramento delle condizioni di vita dei ceti meno abbienti, primi fra tutti gli operai.
Pervenuta, sia pure per brevi periodi, al governo del paese, la classe dirigente della sinistra si
è legittimata attraverso l'accettazione della cultura di mercato ma ha finito per confondersi in larga misura nell'establishment italiano da cui voleva essere accettata, tollerandone in cambio i vizi, sposandone talvolta i comportamenti.
Se il coefficiente di Gini, cioè l'indicatore statistico con cui gli economisti cercano di misurare il tasso di disuguaglianza di un paese, colloca ormai l’Italia ai gradini più bassi dell'OCSE, con un'accelerazione costante a partire dai primi anni Novanta,
è doveroso ricordare che il lavoro dipendente non ha subito solo decurtazioni proporzionali di reddito…
…La speranza fallace che l'arricchimento di pochi generasse maggior benessere per tutti ha consentito che la presa di potere dei manager divaricasse la forbice delle retribuzioni, elevando in breve tempo gli stipendi dirigenziali da venti o trenta volte la media di un salario operaio, a centinaia di volte. I profitti realizzati tramite la speculazione finanziaria globale hanno completato l'opera.
Il paradosso che viviamo oggi è che la rabbia sociale rischia di finire appannaggio della demagogia di destra, mentre la sinistra ammutolisce vittima delle sue inadempienze.
Chi ha teorizzato la difesa localistica del proprio territorio dalle insidie della globalizzazione, naturalmente, propone alle masse una visione strabica delle disuguaglianze. Denuncia come eccessivi i redditi di categorie molto visibili ma sparute come i calciatori e i personaggi dello spettacolo. Oppure addita al pubblico ludibrio di volta in volta i suoi avversari simbolici, come gli alti magistrati e i dirigenti ministeriali. Ma si guarda bene dal prendersela con i redditi da capitale, con le rendite finanziarie, con i compensi dei manager che appartengono al suo sistema di potere.

La piramide sociale, nella visione della destra, può venire scossa dal terremoto della crisi, ma per uscirne ancora più verticale.
È prevedibile che nei prossimi anni questo malessere genererà un pensiero radicale e una reazione estremista anche nell'ambito della sinistra, impreparata a confrontarsi con le regole della finanza, con la riforma dei rapporti di lavoro, con la crisi del welfare.
La morte del comunismo non elimina in eterno la spinta antagonista, con i suoi aneliti di giustizia e il suo inevitabile contorno di ambiguità.
Per il momento sarebbe bene che i dirigenti del Pd affascinati dallo stile Marchionne, colti alla sprovvista dalla minoritaria ma elevata quota di opposizione espressa dai lavoratori di Pomigliano a un accordo stravolgente le condizioni di lavoro, cominciassero a riflettere. Assumendo il tema della disuguaglianza sociale come prioritario nell'agenda di una sinistra moderna degna delle sue origini.

Per L’Aquila

Ricevo questa e-mail su L'Aquila e la posto volentieri. Con un senso di angoscia che mi attanaglia. Non riesco a trovare le parole per esprimere il mio sdegno per come questo governo sta facendo morire città, paesi, comunità e con essi la speranza di una vita decente. Leggete.

Ieri mi ha telefonato l'impiegata di una società di recupero crediti, per conto di Sky. Mi dice che risulto morosa dal mese di settembre del 2009. Mi chiede come mai. Le dico che dal 4 aprile dello scorso anno ho lasciato la mia casa e non vi ho più fatto ritorno. Causa terremoto. Il decoder sky giace schiacciato sotto il peso di una parete crollata. Ammutolisce. Quindi si scusa e mi dice che farà presente quanto le ho detto a chi di dovere. Poi, premurosa, mi chiede se ora, dopo un anno, è tutto a posto. Mi dice di amare la mia città, ha avuto la fortuna di visitarla un paio di anni fa. Ne è rimasta affascinata. Ricorda in particolare una scalinata in selci che scendeva dal Duomo verso la basilica di Collemaggio. E mi sale il groppo alla gola. Le dico che abitavo proprio lì. Lei ammutolisce di nuovo. Poi mi invita a raccontarle cosa è la mia città oggi. Ed io lo faccio. Le racconto del centro militarizzato. Le racconto che non posso andare a casa mia quando voglio. Le racconto che, però, i ladri ci vanno indisturbati. Le racconto dei palazzi lasciati lì a morire. Le racconto dei soldi che non ci sono, per ricostruire. E che non ci sono neanche per aiutare noi a sopravvivere. Le racconto che, dal primo luglio, torneremo a pagare le tasse ed i contributi, anche se non lavoriamo. Le racconto che pagheremo l'ICI ed i mutui sulle case distrutte. E ripartiranno regolarmente i pagamenti dei prestiti. Anche per chi non ha più nulla. Che, a luglio, un terremotato con uno stipendio lordo di 2.000 euro vedrà in busta paga 734 euro di retribuzione netta. Che non solo torneremo a pagare le tasse, ma restituiremo subito tutte quelle non pagate dal 6 aprile. Che lo stato non versa ai cittadini senza casa, che si gestiscono da soli, ben ventisettemila, neanche quel piccolo contributo di 200 euro mensili che dovrebbe aiutarli a pagare un affitto. Che i prezzi degli affitti sono triplicati. Senza nessun controllo. Che io pago ,in un paesino di cinquecento anime, quanto Bertolaso pagava per un appartamento in via Giulia, a Roma. La sento respirare pesantemente. Le parlo dei nuovi quartieri costruiti  a prezzi di residenze di lusso. Le racconto la vita delle persone che abitano lì. Come in alveari senz'anima. Senza neanche un giornalaio. O un bar. Le racconto degli anziani che sono stati sradicati dalla loro terra. Lontani chilometri e chilometri. Le racconto dei professionisti che sono andati via. Delle iscrizioni alle scuole superiori in netto calo. Le racconto di una città che muore. E lei mi risponde, con la voce che le trema. "Non è possibile che non si sappia niente di tutto questo. Non potete restare così. Chiamate i giornalisti televisivi. Dovete dirglielo. Chiamate la stampa. Devono scriverlo".
Loro non scrivono, voi fate girare.

Facce di culo ritornano

Avevamo perso le tracce di Carlo Giovanardi da Modena, ma eccolo subito apparire nel suo massimo splendore ed affermare, a nome del governo italiano (lettera minuscola, s'intende), a 30 anni di distanza, che il DC-9 Itavia cadde per uno starnuto, no, per un guasto elettrico, volevo dire per mancanza di carburante…no, vabbè…fu una bomba.
Incredibile.
Allibisco.
giovanardi

Padri costituenti?

Faccio mia una e-mail che mi è stata girata.

Si erano inventati un emendamento proprio carino.
Zitti zitti, nel disegno di legge sulle intercettazioni avevano infilato l'emendamento 1.707, quello che introduceva il termine di "Violenza sessuale di lieve entità" nei confronti di minori.
Firmatari, alcuni senatori di Pdl e Lega che proponevano l'abolizione dell'obbligo di arresto in flagranza nei casi di violenza sessuale nei confronti di minori, se – appunto – di "minore entità".
Senza peraltro specificare come si svolgesse, in pratica, una violenza sessuale "di lieve entità" nei confronti di un bambino.
Dopo la denuncia del Partito Democratico, nel Centrodestra c'è stato il fuggi-fuggi, il "ma non lo sapevo", il "non avevo capito", il "non pensavo che fosse proprio così" uniti all'inevitabile berlusconiano "ci avete frainteso".
Poi, finalmente, un deputato del Pd ha scoperto i firmatari dell'emendamento 1707.
Annotateli bene:

sen. Maurizio Gasparri (Pdl),
sen. Federico Bricolo (Lega Nord Padania),
sen. Gaetano Quagliariello (Pdl),
sen. Roberto Centaro (Pdl),
sen. Filippo Berselli (Pdl),
sen. Sandro Mazzatorta (Lega Nord Padania) e il
sen. Sergio Divina (Lega Nord Padania).

Per la cronaca, il sen. Bricolo era colui che proponeva il "carcere per chi rimuove un crocifisso da un edificio pubblico" (ma non per chi palpeggia o mette un dito dentro ad una bambina);
il sen. Berselli è colui che ha dichiarato "di essere stato iniziato al sesso da una prostituta" (e da qui si capisce molto…);
il sen. Mazzatorta ha cercato di introdurre nel nostro ordinamento vari "emendamenti per impedire i matrimoni misti";
mentre il sen Divina è divenuto celebre per aver pubblicamente detto che "i trentini sono come cani ringhiosi e che capiscono solo la logica del bastone" (citazione di una frase di Mussolini).

In difesa dei lavoratori (davvero)

Certo ne sono successe di cose negli ultimi giorni, da dove si potrebbe cominciare?
Vediamo un po’…
Dalla FIAT di Pomigliano?
Beh, trovo ahimè scontato che CISL, UIL e UGL, dopo il collateralismo dimostrato più e più volte nei confronti del governo, si appecorino alle condizioni dell’impresa.
Angeletti è patetico, ma anche D'Antoni non scherza:
''L'intesa su Pomigliano D'Arco siglata dal Lingotto con la grande maggioranza del mondo del lavoro va salutata con ottimismo e soddisfazione. La riduzione della presenza Fiat in Italia, e in particolare nelle aree deboli rappresenta un rischio da scongiurare ad ogni costo''. Lo afferma Sergio D'Antoni, deputato Pd e vicepresidente della commissione Finanze della Camera. ''Salvare Pomigliano significa pertanto non solo salvare una realtà industriale indispensabile al Mezzogiorno, ma dare una prospettiva a tutto il paese. Questa consapevolezza rappresenta un esempio per chi, come la Fiom, si attarda ancora su posizioni estremiste e inconcludenti, non comprendendo che le proprie azioni forniscono un alibi formidabile a chi, nel governo, non aspetta altro per giustificare la propria azione antisociale e antisindacale''.

Ad ogi modo l'accordo prevede niente sciopero, ogni forma di dissenso va soffocata sul nascere. Niente malattia, la produttività ne risente. La FIOM non firma e fa bene. Il ricatto è sempre lo stesso: ce ne andiamo all’estero. Anzi ci rimaniamo. E stavolta la colpa è nientemeno degli operai assenteisti. Sembra che il problema dei problemi, nelle fabbriche, sia diventato la produttività, mentre a mio avviso il problema sono i profitti. Il costo del lavoro si abbassa, insieme con il livello di protezione dei lavoratori, in barba alla normativa vigente, ai contratti e alla Costituzione. Però i profitti aumentano sempre. Strano vero?

Fiat-Pomigliano-300x212