Archivi giornalieri: 23 Gennaio 2015

Via dal PD (annunciazio’ annunciazio’)

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La tessera 2014 del PD l’avevo rinnovata in extremis, a dicembre, iscrivendomi al circolo ferrovieri di Roma.

L’avevo fatto per senso di responsabilità, essendo componente, insieme ad altre mille-e-non-so-quante persone, di quell’organismo pletorico e sostanzialmente inutile che si chiama Assemblea Nazionale.

E l’avevo fatto per tigna. Per continuare ad esercitare il diritto di dire la mia,  per continuare ad esercitare il diritto di critica pur all’interno di un partito che, al passare del tempo, stentavo a riconoscere.

In questi giorni ho avuto tra le mani l’oggetto e ho pensato a quanto mi sentissi fuori luogo in una casa che ormai non era più la mia. Una casa che ho contribuito a fondare. Ho dato una mano per le fondazioni, ho tirato su i muri, e già il colore delle pareti non è che proprio mi piacesse, qualche tempo fa, anche negli anni precedenti al 2013. Ma poi qualcuno ha messo mobili e tappezzeria che davvero non mi garbano, e allora prendi le tue (pochissime) robe e vai.

Dovevamo costruire un partito alternativo al centrodestra, e invece il centrodestra non solo l’abbiamo preso come alleato di governo, ma ce lo siamo portato in casa. E abbiamo fatto entrare in casa nostra, con tutti gli onori, un pregiudicato. Al quale manine e manone provano a restituire agibilità politica. Alla beneficenza, in politica, non crede nessuno.

Dovevamo costruire un partito che sapesse parlare alle nuove generazioni, ai precari, agli studenti di ogni ordine e grado, agli startupper. E ci ritroviamo il jobs-act, che introduce ulteriori dualismi nel mondo del lavoro e che comprime i diritti dei lavoratori. Ci ritroviamo al palo sugli investimenti in ricerca scientifica, i giovani che vogliono aprire un’impresa vedono aumentare le tasse. Evviva le partite IVA.

Dovevamo costruire un partito attento all’ambiente, e invece ci ritroviamo a bloccare leggi regionali che limitano l’uso del suolo e ad autorizzare trivellazioni di petrolio. La fonte energetica del futuro, a quanto sembra.

Dovevamo costruire il partito dei diritti, e invece timidamente introduciamo formule astruse con terminologie anglofone, senza avere il coraggio di fare (e chiamare con il loro nome) le cose che vanno fatte. M-a-t-r-i-m-o-n-i-o per le persone dello stesso sesso. E aspettiamo ancora una legge sul fine vita.

Dovevamo essere il partito delle riforme, e ci ritroviamo con una riforma farlocca delle province, nella quale l’unica cosa ad esser stata abolita è la possibilità di scelta dei cittadini. E una riforma altrettanto farlocca del Senato, anch’esso, nella nuova formulazione, luogo di prescelti dalla politica, e i cittadini si fottessero. E si fottessero anche per la scelta dei deputati con l’Italicum o chiamatelo come cavolo volete. Capilista bloccati e pluricandidature. Giusto per non dimenticare chi li sceglie, i parlamentari.

Dovevamo essere il partito dell’uguaglianza, e ci ritroviamo con i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, anche nel nostro Paese.

Dovevamo essere il partito delle regole, e ci ritroviamo da anni a fare primarie scandalose, a calpestare lo Statuto, senza che nessuno muova un dito. E chi prima era incudine ora è martello, e va bene così.

Dovevamo essere il partito della partecipazione, e non siamo mai riusciti ad utilizzare gli elenchi delle primarie per coinvolgere chi ci vota trecentosessantacinque giorni all’anno. Al massimo i file vengono forniti sottobanco galoppino del capocorrente che invia sms ed e-mail abusive quando serve.

Dovevamo essere il partito dei circoli, e i circoli li hanno ammazzati. Anche quelli che funzionano, che non sono asserviti al ras locale, non sono mai interpellati per sapere cosa pensa la cosiddetta base dei provvedimenti in discussione. Troppo pericoloso utilizzare i referendum interni, anche per la nuova segreteria.

Dovevamo essere il partito del rinnovamento, e invece nei territori molti dei capibastone hanno annusato il vento e si sono buttati per tempo con il vincitore. Tutti Renziani, anche quelli che hanno contribuito a rendere il PD quello che è. E chi si opponeva a questi personaggi ora ci va a braccetto, tutti insieme appassionatamente nel nuovo corso, basta sconfiggere i frenatori, i gufi, i rosiconi. Che pochezza di argomentazioni, ragazzi.

Dovevamo essere il partito del dialogo, e invece il PD è diventato una caserma, prendere o lasciare, e se non ti sta bene quella è la porta, tra insulti e pernacchie. Il metodo Esposito.

Potrei andare avanti parlando di Europa, di trasparenza, di giustizia, di legalità.

Mi sento dire: aspetta che vi (ti) caccino. No. Ho esaurito le energie, e non voglio essere considerato, nel mio piccolissimo, corresponsabile delle scelte contronatura che il PD farà da oggi ai prossimi giorni, ai prossimi mesi.

Non sono Cofferati, sono un semplice iscritto. Ma credo che il segretario debba temere di più le tante persone normali che hanno abbandonato, che abbandonano e che continueranno ad abbandonare il PD, rispetto ai big che lasciano. La disaffezione al voto aumenta, in termini assoluti i voti al PD diminuiscono, ma nessuno se ne cura. Alcuni di quelli che vanno via sono sostituiti con chi, fino poco fa, era nostro avversario, distante anni luce culturalmente prima che politicamente. Ed è tutto normale, va tutto bene. È la mutazione antropologica, baby. Conta vincere, costi quel che costi.

Però mi sento tranquillo. Ho mantenuto vive le idee che condividevo con molti quando abbiamo fondato il PD. Le mie idee, le mie aspirazioni, sono rimaste quelle, mentre intorno il PD si snaturava. Sono rimasto la stessa persona, il PD non è rimasto lo stesso partito. E anche molti di quelli con cui ho fatto un pezzo di strada, negli ultimi cinque anni quasi sei, sono cambiati. O forse c’era un equivoco di fondo sui fini e sui mezzi che, a questo punto, è bene sciogliere.

Non ho mai creduto nelle proprietà taumaturgiche di un leader, mi bastano vent’anni di Berlusconi. Ho sempre pensato invece alla bontà dei progetti collettivi, che partono dal basso.

E dal basso riparto, certo di non essere solo, in questo mare aperto che è la sinistra italiana.