Archivi categoria: #sinistra

Di sardine, di movimenti, di boh!

E giunse il giorno delle sardine romane. Che poi a Roma si portano l’alici, ma va bene uguale.

Sia chiaro, a me le sardine piacciono, in tutte le salse. Da un punto di vista gastronomico e politico. Mi sono trovato per caso a Bologna, in Piazza Maggiore, la sera in cui tutto è cominciato. Ho cantato e ballato con loro, impossibile rimanere zitto e fermo. Impossibile non condividere il loro manifesto. Contro i populismi, l’odio, la menzogna. Contro la Lega. E in effetti quella sera di novembre a Piazza Maggiore si era mobilitato spontaneamente un popolo, in opposizione al raduno della Lega al Paladozza, segnando l’inizio della campagna elettorale per le elezioni regionali dell’Emilia Romagna. Da qui poi il movimento ha iniziato ad estendersi in tutto il paese, in altre città europee e non solo. Va tutto benissimo. In questo periodo storico che dura da troppo ormai, nel quale noi di sinistra ci troviamo smarriti, senza punti di riferimento, senza una classe dirigente degna di fiducia,  il solo fatto di ritrovarsi in piazza viene vissuto sempre come una boccata d’ossigeno. Come fu per i girotondi, il popolo viola, e altri movimenti che hanno animato stagioni (purtroppo) brevissime a sinistra.

Il problema è proprio questo. Che fine fanno questi movimenti? É quello di cui si ha effettivamente bisogno, a sinistra? Personalmente non riesco a capire fino in fondo il passaggio dalla dimensione regionale dell’Emilia Romagna a quella nazionale. Può bastare il fatto che, in una regione importantissima, ci si mobiliti per opporsi all’avanzata della Lega, sostanzialmente  al grido di #BolognaNonSiLega, #NonAbbocchiamo., senza un programma politico (c’è quello della coalizione che sostiene Bonaccini, nel caso), semplicemente dicendo che c’è bisogno di modi diversi di agire, di confrontarsi. E fermo restando che di mettere da parte l’odio, i populismi, ricordando il valore della democrazia e della Costituzione, c’è sempre bisogno, vedo il rischio, al livello nazionale, di un equivoco di fondo. Al netto del tentativo di molti di mettere il cappello sulle sardine, o meglio di inscatolarle dentro qualche contenitore politico (e al netto delle ingenuità nella comunicazione che hanno dato adito alle polemiche sulla presenza o meno in piazza di Casapound), credo che tante tra le persone che sono già scese in piazza con loro, e di quelle che saranno in piazza oggi a Roma, coltivino da anni una totale sfiducia nella classe dirigente della sinistra, del centrosinistra, di tutto quello che si è mosso in quel campo a partire da anni e anni fa, per non aver saputo rappresentare un argine alla legalizzazione del precariato, alla perdita di valore dei salari, alla continua sottrazione di diritti a danno dei lavoratori, all’idea di una Europa matrigna buona solo ad imporre politiche di austerity, alla mancanza di protezione dell’ambiente, all’impossibilità di accedere alla sanità pubblica, ad una casa popolare, allo studio. Insomma, non vedo una critica a tutto questo, non vedo all’orizzonte, per il movimento delle sardine, la voglia, il desiderio, la necessità di mettere in discussione tutti i paradigmi sbagliati che hanno portato la sinistra, il centrosinistra, a perdere il consenso di fasce sempre più larghe di elettori.  Ecco, vorrei che una delle grida di battaglia di un nascente movimento, non necessariamente quello delle sardine,  fosse #conquestinonvinceremomai (ricordate Nanni Moretti?) e #conquesteideenonvinceremomai. Quindi bene farsi portatori di valori di semplice civiltà nel dibattito pubblico, di ribadire la fedeltà alla Costituzione, alla Resistenza, all’antifascismo. Ma i nodi da sciogliere stanno tutti là, aggrovigliati come non mai, e non vede all’orizzonte qualcuno o qualcosa capace di scioglierli. Magari anche le sardine non sono nate per questo, dopotutto.

Buona piazza a tutte e a tutti, da domani si ricomincia.

 

 

Il Governo della Grande Catarsi (e del grande silenzio)

O dell’abiura. Fate voi.

Se davvero deve farsi il governo PD-M5S-Quellocherestadellasinistra, allora occorre azzerare tutto. Bene chiedere l’abolizione immediata dei due decreti sicurezza, della legge sulla legittima difesa, bene la discussione sul taglio dei parlamentari, bene i 5 e 10 punti, ma contemporaneamente occorre farla finita con jobs-act, buona scuola e cose del genere.  Voglio dire che, se davvero si vuole dare seguito alle tanto sbandierate buone intenzioni, che per ora sono solo tali, occorre presentarsi davanti agli italiani, chiedere scusa per le minchiate fatte in tempi recenti e meno recenti da ambo le parti, e utilizzare paradigmi nuovi e per certi versi inesplorati.

C’è una crisi ambientale e climatica  nel pianeta? Allora occorrono soluzioni forti, adesione totale ai protocolli riduzione di tutto ciò che nuoce al pianeta, investimenti su rinnovabili, packaging sostenibile, stop plastica, le lobby e alle multinazionali se ne facessero una ragione. C’è una problema migratorio legato alla crisi climatica che porterà milioni di persone a fuggire dai loro Paesi? Il mondo se ne faccia carico, l’Europa detti la linea e l’Italia giochi un ruolo di rinnovata leadership nel vecchio continente, proponendo da subito la modifica del trattato di Dublino e proponendo una modalità differente di  gestione dell’accoglienza sia per motivi umanitari sia per chi si muove dall’Africa, dall’Asia, dalle Americhe verso il nostro continente semplicemente per cercare una vita migliore. Come fare?  Personalmente sono profondamente convinto del fatto che le persone, ovunque esse nascano, debbano avere la libertà di muoversi per tutto il pianeta a loro piacimento, a maggior ragione se vivono in Paesi dove sono perseguitati o discriminati per idee, religione, orientamenti sessuali. Ma al di là dei casi che si presterebbero al riconoscimento di rifugiato politico, credo che ogni uomo e ogni donna abbia il diritto di poter cercare la propria felicità ovunque nel mondo, al pari di ciò che accade a noi che dopotutto abbiamo sola la fortuna di essere nati nella parte ricca del globo, e che in forza di questa botta di culo possiamo sostanzialmente decidere di vivere e lavorare e mettere su famiglia dove vogliamo, o quantomeno abbiamo la possibilità almeno di provarci. Fatta questa premessa, occorre però anche rendersi conto che una buona parte di chi va via dal proprio paese in Africa, in Asia, in America e prova a raggiungere l’Italia o l’Europa lo fa, quando non perseguitato, per provare a migliorare la propria condizione economica e che quindi potrebbe essere interessato a vivere lontano dalla sua terra per periodi di tempo più o meno brevi, magari stagionali.

Parlando con un amico senegalese che ho conosciuto grazie al Baobab, lui mi diceva: sai, non è che tutti quelli di noi che partono vogliono vivere per sempre in Italia, o in Europa. Andrebbe più che bene venire per lavorare qualche mese, e con quei soldi guadagnati potremmo far studiare i figli, vivere dignitosamente, e soprattutto stare nella nostra terra. E allora una soluzione potrebbe essere, ad esempio, quella di aprire dei canali legali per l’ingresso di lavoratori stagionali nell’agricoltura, nel turismo, da Nord a Sud dello stivale, tramite accordi con i paesi di origine coinvolgendo le istituzioni, le associazioni di categoria, i datori di lavoro, i sindacati. Un circolo virtuoso nel quale inserire case dignitose ad affitti concordati, trasparenti e contrattualizzati, salari che rispondono ai CCNL di settore, zero lavoro in nero. Un modo per sconfiggere il caporalato, la schiavitù, la concorrenza sleale di chi fa produzione abbassando i livelli salariali, azzerando i diritti, sfruttando uomini e donne, evadendo il fisco. Per provare ad interrompere la filiera dello sfruttamento che arricchisce la grande distribuzione e affama i braccianti. E anche un modo per evitare le traversate nel deserto, i campi lager, gli aguzzini libici, gli scafisti, i morti in mare. A proposito di morti in mare, altra soluzione da proporre è quella di finanziare nuovamente missioni europee di pattugliamento e soccorso nel Mediterraneo, con annesse modifiche al regolamento di Dublino e contestuale definizione di un sano principio di ripartizione tra i paesi che si rendono disponibili ad accogliere i migranti. Cambiare paradigma vuol dire smetterla di attaccare le istituzioni europee e gli altri paesi, in una continua prova muscolare che piace ai fan ma che non risolve uno straccio di problema. Si ha la volontà di fare questo? Allora ha un senso provare a mettere su un nuovo governo.

In generale, va affrontata a livello planetario la necessità non più eludibile di pensare ad nuovo modello di sviluppo economico. Quel’è la strada? Ce la indica Mariana Mazzuccato, economista, in questa intervista. Il rischio che si corre, altrimenti, “è quello di una nuova ondata di fascismo, perché gli effetti di scelte economiche sbagliate si misurano non solo sul Prodotto interno lordo, ma soprattutto sulla società”.

Cosa servirebbe al nostro Paese? Investimenti. Pubblici e privati. Ma soprattutto pubblici. In infrastrutture davvero utili, all’interno di un piano generale dei trasporti che traguardi un orizzonte di trent’anni almeno. Mobilità integrata nelle aree metropolitane, nuova cura del ferro, finire le opere già in corso di realizzazione (ahimè non ha più senso, oggi, bloccare la Torino-Lione) e finanziare molti progetti che già ci sono, rivisitati e adeguati ad esigenze di sostenibilità e una attenzione particolare al Sud, che ancora oggi soffre di carenze di collegamenti che rendono difficile valorizzare come si deve le bellezze naturali, le eccellenze enogastronomiche, il patrimonio culturale del nostro meridione. Investimenti pubblici in edilizia scolastica, edilizia carceraria, edilizia sanitaria. A proposito di sanità, ribaltare il modello della Regione Lazio, basta soldi ai privati, perché le eccellenze del Gemelli o del Campus Biomedico Universitario non debbono essere realizzate in strutture pubbliche al 100%? Sanità accessibile a tutti, assunzione di medici, azzeramento delle liste di attesa, non è concepibile che ai nostri tempi ci siano intere fasce della popolazione che non hanno accesso a cure mediche in tempi rapidi, salvo doversi rivolgere al privato, se hai i denari ti curi, se non ne hai crepi.

Investimenti nella scuola (stabilizzazione dei precari meritevoli, basta con i presidi manager, messa in sicurezza di tutti gli edifici scolastici), investimenti nella ricerca da portare a percentuali sul PIL ai livelli europei, investimenti sull’Università, debellare le baronie e i potentati che tarpano le ali ai giovani ricercatori e agli aspiranti docenti, basta applicare il modello di uno qualsiasi di Paese come Olanda, Germania, Francia, Inghilterra.

Redistribuzione delle ricchezze mediante un welfare che garantisca assistenza e opportunità per tutti coloro che sono in difficoltà, sostegno alle famiglie, tutte le famiglie, alle giovani coppie, tutte le coppie, ai ragazzi in cerca di una casa, lotta alle disuguaglianze che sono la vera miccia del conflitto tra ultimi e penultimi.

Reintroduzione dell’IMU sulla prima casa per finanziare un grande piano nazionale di edilizia popolare di qualità. Nel frattempo stop agli sgomberi, con la sola eccezione di Casapound perché i fascisti non devono avere alcuno spazio di parola e di agibilità democratica.

Revisione della legge Fornero per tener conto di lavori usuranti, dei lavoratori precoci, di chi ha avuto discontinuità retributive, delle lavoratrici impegnate nel doppio lavoro in casa e fuori casa.

Impegno serio, serissimo, sul fronte della sicurezza sul lavoro, introducendo finalmente la patente a punti per le imprese e parallelamente assumere un numero congruo di personale qualificato che faccia controlli serrati sui posti di lavoro.

Lotta senza quartieri al lavoro nero, prima fonte di insicurezza, allo sfruttamento, al caporalato, alla riduzione in schiavitù, al precariato legalizzato, applicando i CCNL e approvando una legge sulla rappresentanza che metta fuori gioco pseudo-associazioni sindacali che d’accordo coi padroni firmano contratti capestro che non fanno altro che favorire dumping salariale e sfruttamento dei lavoratori.

Lotta all’evasione fiscale. Basta, basta, basta ai condoni, ai rientri dei capitali, ai ravvedimenti farlocchi, ai premi ai furbetti, e chi ha sempre pagato paga sempre tutto, senza sconti.

Lotta alla criminalità organizzata, alla mafia, alla camorra, alla ndrangheta, alla Sacra Corona Unita e a tutte le mafie che agiscono sul territorio, spezzando il filo che unisce politica, impresa, malavita.

Dove si trovano i soldi per fare tutto questo? Si fa deficit. Punto. I vincoli, i parametri, nella loro rigidità, provocano solo austerità. L’abbiamo già provato. Occorre imporre all’Europa un cambio di registro, ma non con le cannonate e con l’insulto continuo, ma con la forza della ragione.

Qualcosa ho dimenticato, ma credo che il senso delle mie parole sia arrivato forte e chiaro.

A corollario di tutto, credo che siano necessarie altre due condizioni: una la indica Gad Lerner nel suo articolo di ieri: il PD, e aggiungo M5S e Quellocherestadellasinsitra, evitino di partecipare direttamente al nascente governo con loro uomini, donne, parlamentari, ma indichino nomi di personalità d’area. Non un governo tecnico, sia chiaro, ma personalità non immediatamente riconducibili ai partiti facenti parte del governo.

La seconda è il silenzio. Basta esternazioni via TV, Radio, Social. Basta parlare, soprattutto basta scontri. Ci vorrà del tempo per far scemare il livello di polemiche, di insulti che i due maggiori contraenti di questo nuovo patto governativo si sono scambiati reciprocamente in questi anni. Chi avrà responsabilità di governo, chi sosterrà in Parlamento questa nuova maggioranza, abbia la decenza di tacere ed eviti di segare quotidianamente il ramo sul quale è seduto.

Ad ogni modo, di tutto quanto accaduto in queste settimane, due cose mi hanno colpito maggiormente. La capacità di Salvini di dilapidare una forza che sembrava inattaccabile. E’ quello che succede a chi è troppo sicuro di sé, ma occhio che l’uomo non è sconfitto, e soprattutto non è sconfitto l’odio che a seminato nel paese in questi anni. E comunque diffidare sempre da chi chiede per sé pieni poteri, come Mussolini all’indomani della marcia su Roma.

Al seconda è Renzi. Il fatto che sia assurto a salvatore dei destini della patria mi dà alquanto fastidio, non per la cosa in sé, ovvio, ma perché non riconosco all’uomo alcuna della capacità che tanti, troppi, continuano ad attribuirgli anche in queste ore. Resta, a mio avviso, un arrogante, spocchioso, opportunista che in questa fase ha solo intravisto il modo di continuare a contare sulla scena politica nazionale. Se fosse stato un uomo che teneva alle sorti della nazione, non sarebbe stato a mangiare popcorn fino a dieci giorni fa.

Vabbè, io ho finito, chiudo il libro dei sogni e torno alla dura realtà. Spero solo che ciò che si sta provando faticosamente a costruire in queste ore non si trasformi nell’ennesima occasione persa per rendere il nostro Paese, il Mondo in cui viviamo, un posto migliore.

 

 

Semplificare (ma non troppo)

Oggi pomeriggio ascoltavo Nicola Fratoianni da Lucia Annunziata.

Parole di buon senso sulla situazione economica del Paese, sulle prospettive della sinistra, sul valore del 25 aprile, sui fatti di Torre Maura, sullo sfruttamento dei lavoratori, sugli errori del passato e sui limiti della classe politica della sinistra, anche dei suoi personali.

Nulla di sconvolgente, e nulla di particolarmente complicato. Nel suo caso mi sembrava che le sue parole fossero anche abbastanza distanti da qualsiasi “vocazione pedagogica”, per usare un’espressione di Marco Damilano. Vocazione pedagogica che sicuramente in altre, innumerevoli occasioni, a sinistra molti hanno avuto e continuano ad avere.

E però una cosa mi ha colpito del suo intervento, così come mi colpisce spessissimo ascoltando le parole di altre personalità di sinistra, ossia il fatto che in quest’epoca l’analisi, il ragionamento, il tentativo di rispondere in maniera più o meno articolata e complessa a questioni che a loro volta sono sicuramente articolate e complesse, non paga. Non è vincente, e soprattutto non è convincente. Non sto dicendo che occorra parlare esclusivamente alla pancia,  a suon di slogan, cosa che peraltro riesce molto meglio a destra. Dico che però, probabilmente, senza rinunciare alla fatica dell’analisi, della comprensione, occorre semplificare le questioni, i ragionamenti, e soprattutto provare a dare messaggi più diretti.

Euro si/Euro no.

Europa si/Europa no.

Patrimoniale si/patrimoniale no.

Diritto alla casa si/diritto alla casa no.

Diritti per tutti si/diritti per tutti no.

Sanità pubblica si/Sanità pubblica no.

Investimenti pubblici si/investimenti pubblici no.

Immigrazione si/immigrazione no.

Tutela dell’ambiente si/tutela dell’ambiente no.

Precarietà del lavoro si/precarietà del lavoro no.

Sono 10 questioni, se ne possono aggiungere altre.

Potrebbero, dovrebbero essere i temi sui quali qualsiasi forza di sinistra pronuncia parole chiare, con forza e convinzione, e le ripete fino allo sfinimento. Semplificando prima, per rendere chiari i concetti all’elettorato. Per definire il campo, la parte dalla quale si sta. E contestualmente però ri-complicare, ri-analizzare, scarnificare i problemi, trovare soluzioni. Per provare ad essere credibili prima e operativi dopo. 

Il piccolo grande miracolo del III Municipio

Dall’insediamento della nuova giunta, strappata recentissimamente al pecionismo pentastellato da una coalizione di sinistra, è in atto nel III Municipio di Roma una rivoluzione a suo modo straordinaria. Pensate un po’, si sta facendo politica anche con la cultura. Grazie ad un assessore alla cultura illuminato, Christian Raimo (che si schernisce dei suoi meriti) e alle tantissime persone che partecipano alle iniziative messe in campo dal Municipio.

Si è in iniziato il primo di agosto con un incontro sulla lingua italiana che ha visto partecipare Luca Serianni, linguista e autore dei libri sui quali studiano al liceo i miei ragazzi, e più di 500 persone nei giardini della metro a Piazzale Jonio. Si è proseguito all’inizio di settembre con 2000 persone a parlare di cinema con Valerio Mastandrea nell’anfiteatro del Tufello, fino all’altra sera quando, ancora, più di 500 persone si sono ritrovate a Piazza Conca d’Oro ad ascoltare prima, e a discutere poi, di criminalità e delitti romani con Giancarlo De Cataldo. Per chi non conosce i luoghi il III Municipio di Roma è una città nella città, 200.000 residenti, un cinema, un teatro e una piccola biblioteca. I giardini della metro di Piazzale Jonio, l’anfiteatro del Tufello, Piazza Conca d’Oro sono posti abbandonati al degrado, vuoti, inutilizzati, divenuti loro malgrado inospitali, in alcuni casi pensati per esserlo. Svolgere lì queste iniziative vuol dire riappropriarsi degli spazi, riempirli di persone, renderli sicuri. Vuol dire soprattutto fare comunità, e nei tempi che viviamo, quando sembra che sia possibile anche governare a botta di post e di tweet, il poter ritrovarsi fisicamente ad un evento culturale, guardarsi negli occhi, ascoltarsi è l’atto politico (e di sinistra) più alto che si possa immaginare per opporsi al fascismo, al razzismo, al pressapochismo, al doppiopesismo, al pecionismo imperante che sembra dilagare senza argini, a Roma e nel Paese.

Ciò che colpisce è la grande partecipazione, la voglia di avere dei luoghi fisici nei quali portare il proprio corpo per non sentirsi soli, isolati, abbandonati. E la voglia di mettersi a disposizione per la rinascita di una comunità, visto che hanno risposto più di 300 cittadini alla “chiamata alle arti” di Raimo, un progetto collettivo per capire cosa fare per la cultura nel Municipio. E poi c’è la battaglia del Presidente Caudo per la chiusura del TMB di via Salaria, l’impianto di trattamento dei rifiuti indifferenziati che da anni appesta con i suoi miasmi un intero quadrante di città senza che si sia fatto nulla per consentire alle persone semplicemente di respirare, problema nell’annoso problema della gestione dei rifiuti a Roma.

Insomma, una giunta municipale che, fin dai primi passi che ha mosso, lascia ben sperare dopo il nulla assoluto della precedente amministrazione M5S.

Veltroni indica la strada da non seguire

Puntuale come il classico acquazzone d’estate che arriva di pomeriggio, sul tardi, e tu già sai che è una maledizione perché tempo 5 minuti e l’aria sarà ancora più afosa e appiccicosa di prima, ecco l’intervento di Veltroni sul futuro della sinistra.

Ora, io umanamente a Veltroni voglio bene, e il suo intervento me lo sono letto con l’attenzione che meritava. Però posso dire? Che palle!

Una enunciazione di principi generali sui quali chiunque, da sinistra, potrebbe essere d’accordo, ma che perdono di valore se non si fa un minimo di analisi in chiave critica (e soprattutto autocritica) per capire come si sia arrivati a questo punto, chi abbia alimentato, più o meno consapevolmente, populismi, nazionalismi, razzismi che tanto spaventano Veltroni (sia chiaro, spaventano anche me).

Di fondo, l’idea che il PD fosse (e sia ancora), l’unica strada percorribile, che dopotutto un paio di volte oltre il 30% ci è arrivato e quindi basta mettere da parte litigi per contrastare le destre in maniera efficace. Non una parola sul fallimento primordiale del PD, che da subito è stato affetto da guerre tra bande che nessun segretario si è premurato di debellare, non una parola sull’appoggio incondizionato a Renzi e alla sua stagione di pseudo riforme che hanno spalancato le porte a tutto ciò che avviene in questi giorni, ma soprattutto non una parola sull’impianto fallimentare del PD, basato su un modello di stampo blairiano, liberista, neo socialdemocratico, arreso alle logiche dei mercati e dei vincoli di bilancio senz’anima. Faccio autocritica anche io, che ho provato da dentro, per quel poco che ho potuto, a cambiare il percorso del partito nel quel ho militato per un bel po’ di anni.

E subito, dopo lo scritto di Veltroni, si sono annunciate adesioni, partiamo!, è la strada buona, ricostruiamo la sinistra (!!), corroborati dalla bella manifestazione di Milano che si è tenuta in concomitanza della visita del dittatore Orban al suo parigrado italiano.

Ma più che l’ipotesi di un’ammucchiata generale CONTRO l’attuale governo, altro non si riesce ancora a partorire.

La situazione non è semplice, la mazzata di marzo, benché più che prevedibile, non è stata per nulla assorbita da nessuno dell’opposizione. Personalmente continuo a brancolare nel quasi-buio, mentre fiammelle continuano a tenermi viva la speranza e provano ad indicarmi un percorso. Avrebbe senso un cartello elettorale (si potrebbe votare prima di quanto si pensi, e comunque ci sono anche le elezioni europee, l’anno prossimo) anti-razzista, spruzzato da un po’ di società civile e associazionismo, senza che le sue componenti abbiano uno straccio di idea comune sul mercato del lavoro, sul ruolo dell’Europa, sull’immigrazione, insomma sul modello-Paese che si immagina da qui a vent’anni? Per lo più fatto, magari, dagli stessi personaggi che già alle ultime elezioni hanno ampiamente dimostrato di non godere di alcuna fiducia da parte della stragrande maggioranza degli italiani e tanto meno degli italiani di sinistra? E ancora, ha senso presentasi, invece, ciascuno con le sue bandierine, ciascuno forte del suo zerovirgolaqualcosa, ciascuno con il ditino alzato da grillo parlante, formazioni politiche con democrazia interna solo apparente che sembrano solo funzionali al perpetuarsi delle proprie classi dirigenti?

Nel mezzo, deve esserci dell’altro. Deve esserci la forza di delineare una società nella quale la politica (serve sempre la politica, altrimenti di delega in delega si arriva dove la storia ci ha insegnato), da sinistra, riesca a riconnettersi con gli ultimi, con i bisognosi, con le persone alle quali i cicli economici uniti a provvedimenti sbagliati hanno tolto risorse economiche, certezze sul futuro, alimentando paure sulle quali è facile far leva additando nuovi nemici come la causa della loro povertà, ora gli stranieri, ora l’Europa. Occorre, da sinistra, riconnettersi alle periferie, quelle fisiche e quelle dello spirito, disinnescando la guerra tra poveri che può passare solo dall’efficienza dei servizi, da un welfare che funzioni, da investimenti sulla scuola, sulla cultura in tutte le aree e per tutte le persone che attualmente sembrano abbandonate al loro destino. E dall’occupazione, equamente retribuita, con diritti universalmente riconosciuti e non elemosinati al padrone di turno.

Il primo banco di prova saranno le elezioni Europee. Già per quell’occasione sarebbe importante capire se c’è volontà, più che spazio politico, per immaginare un terza via rispetto alle opzioni “tutti insieme appassionatamente” e “ognun per sè”.

Post 4 marzo, e oltre

Difficile mettere a fuoco le idee dopo il 4 marzo, o forse no.

Quello che stiamo vedendo, patendo in questi giorni (si, io ho un dolore fisico che si aggiunge a quelli che già ho di mio) era prevedibile ma comunque evitabile.

Il voto ha sancito soprattutto la sconfitta del PD e della sinistra in tutte le sue forme, ma non era affatto scontato che dovesse nascere un governo Lega-M5S, viste le bordate che sono stati soliti tirarsi reciprocamente nel corso degli ultimi tempi. Così, per memoria, vi posto due dei video che più sono circolati in rete in questi tempi e che testimoniano la profonda stima tra le attuali forze di maggioranza. Poi, ci mancherebbe, sono forze democraticamente elette in Parlamento ed è più che legittimo che con un sistema proporzionale le maggioranze si formino dopo il voto, però, ecco, qua siamo ben oltre le schermaglie pre-elettorali. Vabbè

Evitabile se solo il PD avesse scelto quantomeno di andare a vedere le carte, nel momento in cui si profilava la possibilità di far partire un dialogo con M5S. Come candidamente hanno ammesso, per i pentastellati l’importante era andare al governo, forti del loro 32 e rotti percento, e quindi poca differenza avrebbe fatto per loro governare con PD anziché Lega. Del resto destra e centro (il PD non è un partito di sinistra) pari sono quindi le possibilità di successo erano decisamente alte, seppur percorrendo una strada tutta in salita.

E invece è entrato in scena lui, il finissimo stratega mangiatore di popcorn, al secolo Renzi Matteo di Tiziano da Rignano sull’Arno che, non pago degli insuccessi inanellati uno appresso all’altro dopo la sbornia delle Europee (le lune di miele con gli elettori possono durare più o meno, ma finiscono sempre) ha deciso, da vero segretario del PD, che al tavolo non ci sarebbe nemmeno dovuti avvicinare.

E quindi eccoci tutti a soffrire per il governo attuale.

Un governo che presenta novità tanto eclatanti quanto inquietanti.

Un Presidente del Consiglio che sostanzialmente non conta niente, messo lì come due chiappe su un ramo (come ebbe a dire John McEnroe ad un arbitro durante uno dei suoi memorabili match). Ministri sconosciuti che hanno l’autonomia di un paracarro. (altra citazione, per pochissimi addetti ai lavori) Tutti pronti ad essere immediatamente smentiti, appena profferiscono verbo, dal vero capo della compagine, Matteo Salvini. E intanto la Lega si mangia M5S, visto l’assoluta irrilevanza politica del suo omologo, viste le incazzature di quella parte della base elettorale di M5S che proviene da una storia di sinistra e viste le affinità di quella parte della base elettorale di M5S più populista, sovranista, razzista e che quindi troverà naturale schierarsi con l’originale.

Quindi i provvedimenti del governo. Ad oggi, in realtà, zerovirgolazero. Bastano i proclami, le chiusure dei porti, la guerra alle ONG, gli attacchi a Saviano, le dimostrazioni di cielodurismo nei confronti di altri leader europei che sicuramente fomentano gli adepti ma che in sostanza non fanno altro che isolare il nostro Paese senza che si ottengano risultati invece tanto sbandierati dalla maggioranza. Sulla bestialità dei provvedimenti anti-migranti voluti da Salvini non c’è nemmeno necessità di tornare, basta dire che l’Italia è la culla del Mediterraneo, fin dagli albori della civiltà che ha sempre fatto dell’accoglienza, del mescolamento tra razze, del meticciato culturale il suo punto  di forza,  e invece oggi si trova ad utilizzare disperati che fuggono da guerre, stupri, povertà, come clave da sbattere sul tavolo quando ci si trova a discutere con altri Paesi. Ecco, quale forza enorme si sarebbe avuta, sugli stessi tavoli, se si fossero sbattuti i pugni forti del proseguire a salvare vite nel Mediterraneo? L’Italia, con il patto di Visegrad, con la sottocultura del rifiuto dell’altro, del rigetto della solidarietà tra popoli, dell’autarchia fascistoide che quel patto ha espresso non dovrebbe entrarci nulla e di fronte ad un governo apertamente xenofobo, razzista, lepenista, fascista la pregiudiziale che nutro è talmente forte e radicata in me che non ci sarà alcun provvedimento che potranno adottare che avrà il mio personale plauso.

In questo periodo, come in quello elettorale e anche prima, l’Europa è al centro del dibattito, talmente al centro che viene usata anche come macchina da fumo per nascondere, agli occhi di chi ha creduto alle promesse di Lega e M5S, l’impossibilità di realizzare ciò che molti hanno creduto fosse possibile, dall’abolizione della Fornero (la riforma in discussione aumenterà l’età pensionabile), il reddito di cittadinanza (se lo chiamavano Lavoro Socialmente Utile non  li avrebbe votati nessuno), la flat-tax (che in ogni sua forma è incostituzionale). Sia chiaro, l’Europa, anzi, meglio, i suoi governanti e le sue istituzioni, in questi anni ci hanno messo del loro per rendersi invisi ai popoli europei. Le ragioni le conosciamo tutti, e le abbiamo vissuti tutti sulla nostra pelle, nel bene (poche volte) e nel male (molto più spesso). Ma non è con l’autarchia, con il sovranismo che nega l’altro, con i dazi, con le guerre commerciali, con la svalutazione della moneta nazionale e l’inflazione galoppante che si risolveranno i problemi dell’Europa. La soluzione sta nella democratizzazione delle istituzioni, nella partecipazione diretta dei popoli alle scelte che li riguardano, nella costituzione di regole e strumenti comuni che tutti gli stati membri dell’Unione  dovranno impegnarsi ad adottare e difendere.

Senza una visione  di ciò che dovrà essere l’Europa anche il dibattito a sinistra, che già presenta la linea dell’encefalogramma piatta, sarà definitivamente destinato a fallire. Come dicevo all’inizio delle mie riflessioni i veri sconfitti alle elezioni sono stati i partiti di sinistra o presunta tale e a quattro mesi dal voto salvo rarissime eccezioni non è stato fatto uno straccio di autocritica per capire cosa sia successo, quali siano gli errori da non ripetere e da dove ripartire.  Quello che vedo in giro è una diffusissima volontà auto assolutoria che lascia tutto com’è sperando che passi la nottata o che finisca l’idillio tra una parte del paese e il governo attuale, come se i fallimenti altrui dovessero bastare per traghettare sic et sempliciter i voti dauuna parte all’altra. Non è così. Le ultime elezioni hanno dimostrato che una parte sempre più consistente dell’elettorato preferisce non votare piuttosto che scegliere soluzioni che non convincono. E così com’è, o come se la stanno immaginando i  suoi presunti leader, la sinistra o presunta tale non se la fila più nessuno.

PD, che mentre Renzi comanda si divide tra propositi di ricostruzione tra Calenda (!!) e Zingaretti e tutti sono contro tutti, come sempre.

LeU,, che oggi lancia il comitato promotore nazionale, fatto di persone rispettabilissime che probabilmente sono già di più rispetto ai loro elettori.

Possibile, unico partito con segretario che si è dimesso sul serio dopo la mazzata del 4 marzo, che continua ad occuparsi di temi importanti su diritti, migranti, caporalato, criminalità ma che ha la rappresentatività di un comitato di quartiere.

PaP, che rappresenta istanze sacrosante del mondo del lavoro, del mondo dei diritti, del mondo dei dimenticati ma ha di poco superato l’1% alle passate elezioni e non può far finta di aver vinto le elezioni. Il massimalismo va bene, ma senza confronto con altre forze politiche che presentano affinità rispetto alla tue non si va lontano.

Nessuno di questi partiti presenta alcuna attrattiva per la stragrande maggioranza dell’elettorato e secondo me vanno sciolti, al più presto. Fatto questo primo passo è necessario definire in quale campo vuole giocare la sinistra della terza decade degli anni 2000, quali parole d’ordine debba mettere al centro della sua azione politica, quali soggetti intenda tutelare, quali i principi irrinunciabili, quali i blocchi sociali da rappresentare.

Tutto ciò non senza che, prima, sia chiaro a tutti che le persone che hanno giocato un ruolo politico fino al giorno prima non possono più rivendicare alcunché per loro stessi e devono, improrogabilmente, lasciare il campo ad altri. Con tutto il rispetto che posso nutrire per le loro storie politiche personali e al di là della loro età anagrafica e del tempo passato in Parlamento. Non li faccio i nomi, tanto li conoscete, sono quelli che stanno in TV, che presenziano, che appaiono, che lanciano appelli, scrivono lettere. Nonostante l’attivismo, il parlamentarizzare questioni che riguardano crisi industriali, licenziamenti, il provare a stare sul pezzo hanno perso la capacità di rappresentare autorevolmente la loro e la nostra parte politica. Non basta più stare nei luoghi del conflitto, mi dispiace per loro, ma hanno tutti fatto il loro tempo.

Si ricominci da persone come Mimmo Lucano, Pietro Bartolo, Andrea Costa, Aboubakar Soumahoro, Marta Fana, Elly Schlein, Ilda Curtii e tutti quelli che possono portare esperienze di amministrazione e di impegno sociale nelle loro comunità esportabili su vasta scala. Devono essere persone così a rappresentare, anche nei media, le idee della sinistra del futuro.

Forse così, ma con un forse enorme, tra cinque anni potremmo provare a ribaltare il cappottone del 4 marzo. Ma non è affatto scontato.

La Terza Via di DiEM25

Tra le discussioni alle quali capita di partecipare negli ultimi tempi non può,  ovviamente, mancare quella sull’Europa. Ho sempre pensato, di fronte agli avvenimenti di questi anni, dalla nascita dell’Euro, passando per l’imposizione dei vincoli di bilancio, per la le legiferazione  sul parmesan cheese, per la crescita delle disuguaglianze e fino ad arrivare al Quantitative Easing, che dovesse esserci una alternativa tre le opzioni “via dall’Euro e ritorno al sovranismo” e “supremazia delle tecnocrazie”. Che fosse doveroso cercare di salvare l’idea di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi seguendo strade che fino ad ora non sono state percorse. Che fosse necessario democraticizzare le istituzioni Europee, dare voce ai cittadini piuttosto che ai governi, unificare quanto più possibile legislazioni, ridistribuire equamente le ricchezze.

Ecco, pare che questa mia ricerca abbia dato buoni frutti.

Da qualche tempo sto seguendo DiEM25, e vi consiglio, se siete come me naufraghi in cerca di acqua fresca e potabile,  di dare un’occhiata.

Cos’è DiEM25? Leggiamo dal sito:

“Pensiamo che anni di politiche scellerate da parte dell’establishment di governo abbiano ottenuto un solo risultato: sprofondare l’Europa in una stagnazione permanente e fare cresce l’estrema destra in tutto il continente.

Dobbiamo rompere il rapporto malato fra un establishment in bancarotta morale ed economica e il ritorno di pulsioni razziste, nazionaliste e xenofobe. Deve esserci un’alternativa. E ora c’è.

Veniamo da tutta Europa: dal suo nord e dal suo sud, dal suo occidente e dal suo oriente, dalle sue metropoli e dai suoi piccoli centri. Veniamo dall’Europa centrale e dalle sue isole, dalle sue montagne e dalle sue pianure, dai suoi grattacieli e dalle sue campagne.

Siamo progressisti, democratici radicali, ecologisti, femministe. Siamo cittadini, attivisti, sindaci, consiglieri comunali. Uniti nelle nostre differenze: di culture, lingue, accenti, provenienze politiche, colori della pelle, identità di genere.

Insieme, stiamo lavorando a una proposta politica nuova, coerente e credibile, italiana ed europea. Contiamo oltre 70.000 iscritti da tutto il continente e centinai di gruppi locali. Con la partecipazione di tutti i nostri iscritti stiamo sviluppando un programma dirompente e una grande alleanza transnazionale per portare le nostre idee in ogni parte del continente alle elezioni europee del 2019″.

Sul sito, o sul gruppo Facebook, potete trovare informazioni più dettagliate sui fondatori (in primi Yanis Varoufakis, ha bisogno di presentazioni?), sull’organizzazione, sulle campagne, sugli obiettivi. Primo, di breve termine, quello di presentare DiEM25 come partito transnazionale alle elezioni Europee del maggio 2019.

È un percorso lungo, che è iniziato da qualche tempo e che anche in Italia sta portando alla strutturazione sui territori dell’organizzazione.

Tocca studiare un po’ (qui trovate le proposte per il New Deal Europeo) , ma ne vale la pena. Si trovano cose interessanti, come questa scritta da Lorenzo Marsili su Il Fatto Quotidiano.

 

Chiedere scusa (le parole non dette)

“Chiedo scusa.

Chiedo scusa ai giovani che sono costretti a lasciare il nostro Paese anche se hanno studiato,  se sono creativi, se hanno desiderio di mettersi in gioco perché  li abbiamo considerati choosy, o bamboccioni,

Chiedo scusa ai ricercatori universitari, a chi aspira ad una carriera accademica, costretto ad aspettare il proprio turno portando borse al barone di turno.

Chiedo scusa agli insegnanti perché non li abbiamo messi in condizione di dare il meglio di sé, perché abbiamo svilito il loro lavoro, la loro autorevolezza. E agli studenti, perché abbiamo fatto assaggiare loro, con lo sfruttamento dell’alternanza scuola-lavoro, quello che aspetta loro nel mondo del lavoro. E alle loro famiglie, costrette a comprare la carta igienica, mentre le scuole cadono sulle teste dei loro figli.

Chiedo scusa agli operai, perché abbiamo consentito che i loro diritti venissero sacrificati con il ricatto occupazionale, mentre i loro padroni delocalizzavano, o trasferivano le sedi fiscali delle società all’estero.

Chiedo scusa a tutti i lavoratori precari, fattorini, turnisti, pulitori, medici, personale paramedico, professori, ricercatori, manovali, contadini, per non aver permesso loro di pianificare con certezza la propria esistenza, di mettere su famiglia, di guardare con fiducia al futuro.

Chiedo scusa agli imprenditori onesti, quelli che innovano, quelli che considerano i loro lavoratori come il bene più prezioso che esista, da salvaguardare e non da sfruttare, per averli considerati alla stregua di tutti gli altri.

Chiedo scusa alle Partite IVA, anche quelle mascherate da lavoratori dipendenti, perché non abbiamo capito nulla del loro mondo.

Chiedo scusa a chi paga le tasse, per non essere riusciti ad abbattere la maggior fonte di concorrenza sleale del nostro paese.

Chiedo scusa ai risparmiatori, perché non siamo stati capaci di tutelarli mentre per convenienza abbiamo consentito alle banche di fare quello che volevano.

Chiedo scusa agli immigrati, per non essere stati capaci di creare vera integrazione, di impedire di additarli come usurpatori di diritti agli occhi di chi è stato colpito dalla crisi di questi anni.

Chiedo scusa a chi ogni giorno promuove la cultura della legalità, perché troppo spesso abbiamo utilizzato questa parola a seconda delle nostre convenienze.

Chiedo scusa a chi ogni giorno perde ore e ore della propria vita in mezzo al traffico, su mezzi pubblici obsoleti, su reti metropolitane inadeguate, su ferrovie locali trascurate, per non aver pianificato una strategia di trasporti degna di un paese moderno.

Chiedo scusa a chi ogni giorno si ammala a causa dell’inquinamento, a chi soffre per l’incuria del territorio, a chi rischia la vita per frane e inondazioni, a chi non riesce a godere delle bellezze del mare perché non ci siamo presi cura dell’ambiente come avremmo dovuto.

…”

Queste sono le parole che ancora non ho sentito da alcun dirigente di un partito di sinistra, di centrosinistra. Condizione necessaria ma non sufficiente per provare a riconquistare la fiducia degli elettori che se ne sono andati.

Chiedere scusa.

Una doppia assunzione di responsabilità

Quando i cittadini elettori esprimono un voto, quella scelta può assumere diversi significati a seconda di dove si posa lo sguardo dell’osservatore. O a seconda delle convenienze di chi si sente coinvolto in prima persona nell’affare.

Sul post-voto del 4 marzo, in questi giorni e in quelli futuri, se ne sentono e se ne sentiranno di tutte le risme. Confido nella saggezza del Presidente Mattarella per uscire vivi.

C’è chi dice di aver vinto e di avere il diritto di governare anche se non è maggioranza, c’è chi ha perso e vuole stare all’opposizione perché lì ritiene che sia stato messo dagli elettori, c’è chi ha perso ma non sente di dover autoescludersi da assunzioni di responsabilità. Si, nel voto di dieci giorni fa c’è tutto questo, e proprio dalla considerazione che non tutto è netto come sembra, o come qualcuno vuole farlo apparire, occorre ripartire per uscirne.

Metto subito le cose in chiaro: vista l’esperienza che vivo a Roma tutti i giorni, e vista la qualità dei personaggi di punta di M5S (Di Maio, Toninelli, Lezzi, Bonafede, Lombardi…), li considero (quasi del tutto) inadatti a governare in prima persona il Paese. Però gli altri vincitori delle elezioni sono i componenti della coalizione di centrodestra a trazione Salviniana, con il loro programma a base di “prima gli italiani”, “fuori gli immigrati”, “con la polizia senza se e senza ma”, “la flat-tax è equa”, “basta Europa” e questo mi basta. Di fronte alla (voluta) vaghezza di M5S su temi cardine quali immigrazione, sicurezza, Europa, vaghezza che però raccoglie consensi trasversali tanto da far ricordare l’ecumenismo della DC, riesco ancora a discernere tra razzisti, omofobi, fascisti, liberisti, populisti, antieuropeisti veri rispetto a chi raccoglie un voto di ribellione e protesta (non solo, ovviamente) rispetto a tutto quello che è stato fonte di delusione fino ad ora, soprattutto da sinistra. E proprio per la storia comune, anche recente, che caratterizza l’elettorato di M5S, di (parte del) PD, di LeU, allora credo che una strada comune vada trovata, se non vogliamo trovarci una destra becera e lepenista al Governo.

Certo, non a tutti i costi. O facendo ricadere i costi dell’operazione esclusivamente su uno dei possibili alleati.

In questi giorni l’arroganza di Di Maio sta assumendo livelli siderali. Aver ottenuto la maggioranza relativissima non implica automaticamente la possibilità di governare. Per lo più da soli. Se il 32 e rotti % degli italiani ha scelto M5S, il 68% NON ha scelto M5S e quindi non si può pretendere che le altre forze politiche si scansino e consentano la nascita di un governo monocolore. Non è un attacco alla democrazia rifiutarsi di collaborare con M5S, e basta con i piagnistei. La maturità politica, qualora raggiunta, implica dialogo, passaggi ufficiali, compromessi, nell’accezione più positiva del termine.

Di contro nel PD ancora bruciano, comprensibilmente, le immagine della diretta streaming del 2013 nella quale Bersani implorava M5S di assumersi una responsabilità per il bene del Paese mentre i suoi interlocutori godevano nell’umiliarlo (a dire il vero immagino abbiano goduto anche un bel po’ di persone NEL PD. Un nome a caso?). Così come è comprensibilmente difficile dimenticare gli insulti (a dire il vero reciproci) che il PD ha dovuto subire, a torto o a ragione, in questi 5 anni di legislatura e durante la scorsa campagna elettorale.

Allora, come provare ad uscirne?

Con due gesti responsabili e nel loro piccolo rivoluzionari, mi si passi il termine.

M5S faccia al PD una proposta ufficiale con 5 punti programmatici chiari e qualificanti sui quali provare a cercare una convergenza. Lavoro, ambiente, diritti, scuola e ricerca, lotta alla criminalità. Se le idee sono quelle di Tridico, credo che bisognerebbe almeno andare a vedere le carte fino in fondo. Di Maio e i capetti vari facciano un passo indietro come gesto di buona volontà e indichino come premier una personalità di alto profilo esterna al Movimento.

Sulla base di questa proposta il PD dia un segnale forte di discontinuità con il passato e utilizzi lo strumento del referendum interno (previsto dallo statuto e mai utilizzato) convocando iscritti ed elettori delle primarie (le ultime o le ultime due) mediante gli elenchi (anche questi mai utilizzati, se non per rompere i cabasisi durante le campagne elettorali). Il referendum l’ha fatto l’SPD in Germania per decidere se sostenere il governo Merkel o meno, non vedo perché non potrebbe essere fatto dal PD per analogo motivo.  Se dal referendum scaturirà un no, avranno deciso gli elettori del PD.

Con l’avvertenza che, si dica no subito o no dopo il referendum, ci si assume la responsabilità di mandare al governo fascisti, omofobi, razzisti, populisti, antieuropeisti, liberisti. In Francia, davanti al pericolo Lepenista, le forze democratiche non hanno avuto dubbi. Forse è il caso di prendere esempio.

Analisi post voto (nel senso che tocca andare in analisi)

Lo ricordo bene il 1994, eccome se lo ricordo. Dopo Tangentopoli, i governi lacrime e sangue, le vittorie del centrosinistra a Torino, Napoli, Roma, Trieste, Catania pensavamo davvero che il Paese avrebbe scelto la gioiosa macchina da guerra guidata da Achille Occhetto. E invece arrivò Berlusconi, che riuscì ad intercettare il voto dei moderati, sdoganò i fascisti, ci asfaltò e vinse le elezioni, con tutto quello che ne è conseguito in questi 24 anni.

Quella fu una mazzata tremenda. Lo ricordo eccome. Non ci capacitavamo, a sinistra, di come fosse stato possibile che gli italiani avessero fatto una scelta di quel tipo. Ci mettemmo mesi ad assorbire la mazzata. L’incredulità, il rifiuto della realtà durò a lungo. Ci sentivamo diversi, culturalmente, moralmente e intellettualmente superiori (in parte sbagliando, ovviamente), rispetto a chi aveva fatto una scelta tanto dirompente quanto inaspettata. E il Paese era diviso, letteralmente in due, a sancire questa (presunta?) diversità tra i blocchi di berlusconiani e antiberlusconiani. Nemici da guardare in cagnesco, gli altri. Alieni. Stranieri.

Oggi, all’esito delle elezioni politiche, niente di tutto questo., almeno per me. Il risultato era abbastanza scontato, si trattava solo di stabilire i rapporti di forza entro un quadro sostanzialmente noto. E, a differenza del 1994, non vivo quel medesimo stato di conflitto rispetto a chi ha espresso un voto diverso dal mio. Sia chiaro, sono deluso, smarrito, e, manco a dirlo, continuo a sentirmi profondamente diverso dai fascisti (quelli veri che purtroppo hanno avuto modo di partecipare alle elezioni) dai leghisti-leghisti che sono razzisti e omofobi fino al midollo (e non gli basterà la foglia di fico di un senatore di colore per sovvertire la realtà), dai grillini-grillini che hanno portato il cervello all’ammasso (vedi alle voci vaccini, complotti, scie chimiche), dai fan acritici di Renzi, da quelli che cantano a squarciagola “meno male che Silvio c’èèèèèèè”. Però poi l’analisi dei flussi ha dimostrato come l’elettorato si sia spostato verso i vincitori delle elezioni: sostanzialmente chi in passato ha votato nel centrodestra ha scelto Salvini, chi ha votato centrosinistra ha scelto M5S. Quindi tra chi ha scelto il partito di maggioranza relativa, a torto o a ragione, c’è anche un pezzo del “popolo di sinistra” che è stato fianco a fianco con molti di noi negli anni passati e, nonostante la loro scelta, non riesco a sentirli indistintamente tutti stranieri, al pari di quanto invece avvenne con chi scelse Berlusconi, Lega Nord e i neofascisti nel 1994.

Come si è arrivato a tutto ciò, al risultato elettorale che ha anche sancito la sostanziale estinzione della sinistra, per come siamo stati abituati a conoscerla, nel nostro Paese?

Si possono individuare motivi esogeni e motivi endogeni, che in parte si rincorrono e intrecciano indissolubilmente.

La diffidenza nei confronti dell’Europa ha radici lontane. La tassa sull’Europa di Prodi (in parte restituita) fu pagata magari malvolentieri ma con la fiducia e la speranza, per molti, che sarebbe servito a creare un’Europa migliore, più vicina ai cittadini, più attenta ai bisogni dei singoli. E invece è bastato l’avvento dell’Euro, passaggio epocale ma gestito, ai tempi, con i piedi dal governo di centrodestra, per sovvertire completamente il quadro e nutrire una sempre crescente diffidenza nell’Europa, che è finita per apparire matrigna, sanguisuga, capace solo di imporre vincoli di bilancio, impotente davanti alle tecnocrazie, buona solo a legiferare sul parmesan cheese, nella maggior parte a discapito di aziende, produttori, consumatori italiani. Da qui il primo elemento di successo delle forze antieuropeiste e di conseguente crisi nella rappresentanza della sinistra, che è apparsa più come baluardo dello status quo che forza capace di mettersi alla guida di un processo di riforma profonda delle istituzioni europee. Metteteci pure che effettivamente, in una certa fase storica, buona parte della sinistra poi confluita in LeU ha effettivamente sostenuto il pareggio di bilancio in Costituzione e l’applicazione bovina dei vincoli di bilancio imposti da Bruxelles ed ecco che e uova iniziano a rompersi e la frittata a formarsi. E infatti le uova raramente si rompono da sole, quindi l’imposizione serrata dei vincoli di bilancio ha imposto la scrittura della riforma Fornero (anch’essa votata da “quellidisinistra” che sostenevano il governo Monti),  la madre della maggior parte delle recriminazioni (per non dire di peggio) di moltissimi lavoratori italiani che sono a loro volta sfociate nel voto a Lega e M5S.  Sono strasicuro che ciascuno di voi conosce qualcuno che ha votato Lega per il semplice fatto che, tra le sue promesse (realizzabili, secondo il Bagnai-pensiero, uscendo dall’Euro e ricominciando a stampare moneta…), c’era quella di abolire la riforma Fornero e consentire quindi di andare in pensione ad un’eta decente e soprattutto evitando di arrivare con la badante o il catetere sul luogo di lavoro.  Al solito il punto di forza, o di debolezza, di chi fa politica è la credibilità, e sei sei visto come parte del problema non puoi pensare di essere la soluzione del problema.

E siccome un problema se ne porta sempre appresso un altro, l’innalzamento dell’età pensionabile ha allontanato l’ingresso nel mondo del lavoro di giovani, un circolo vizioso che alimenta la precarietà (manco ce ne fosse stato bisogno vista la situazione già critica che negli anni si è venuta a creare post riforme Treu, Biagi e, da ultimo, Jobs-Act) mentre i diritti dei lavoratori si assottigliano sempre più, fino a scomparire quasi del tutto nelle realtà lavorative post-fordiste alla Amazon, nel settore servizi, fino alla scuola (a tal proposito, se volete approfondire, vi consiglio di leggere Marta Fana).

Altro uovo che ingrandisce la frittata, rotto per gli urti con le altre due. E anche in questo caso gli elettori hanno reputato che la frittata fosse stata fatta anche con la complicità della sinistra, quindi meglio cambiar cuochi. Cuochi nuovi, magari inesperti, sperando che almeno un piatto di cacio e pepe la sappiano cucinare.

Insomma, mi sembra appropriato il concetto espresso da Ennio Fantaschini in Ferie d’Agosto.

Come uscirne, da dove iniziare?

(Apro una parentesi. Qui si parla di LeU, ma personalmente ho diviso il mio voto tra LeU e Potere al Popolo quindi due parole su di loro voglio spenderle. Li ho votati  al Senato e nonostante non fossi d’accordo al 100% con le loro proposte, nonostante la sceneggiata di Viola Carofalo al Brancaccio abbia contribuito, non da sola,  al fallimento di quel progetto che, con tutti i suoi limiti, poteva segnare un punto di svolta nella campagna elettorale e quindi per l’esito delle elezioni, nonostante non abbia condiviso le azioni messe in atto per impedire fisicamente alle persone, in questo caso Massimo D’Alema e Susanna Camusso, di prendere parte ad un convegno all’Università di Napoli, manco fossero stati di Forza Nuova o Casapound. Però ho scelto di sostenerli perché ritengo che rappresentino al meglio quella funzione di mutualismo sociale che un tempo era appannaggio dei partiti di sinistra e che oggi si è persa, perché si sono messi dalla parte dei più deboli con azioni concrete e non a chiacchiere, perché sono dalla parte dei migranti senza se e senza ma. Detto questo, non vedo pure per loro cosa ci sia stato da festeggiare per l’1 e spicci percento raccolto alle elezioni, forse davvero s’era bevuto troppo, la sera delle elezioni. Pur non avendo responsabilità dirette come la sinistra che ha partecipato al governo del Paese, sono stati travolti dalla stessa onda e quindi spero PaP e chi ha ha votato per loro si senta parte del processo di ricostruzione della sinistra in italia, con umiltà e senza preconcetti, perché stanno all’anno zero come tutti noi).

Come ho avuto modo di scrivere oggi su FB commentando un articolo del compagno Cardulli, lungi dal cedere a derive rottamatrici, se è vero che, probabilmente, non c’è tantissima differenza tra il 3% o il 6%, il risultato è stato ampiamente sotto le aspettative e credo che comunque non abbia aiutato il fatto che una parte consistente di chi ha incarnato “il problema” fosse in prima fila a rappresentare LeU. C’è una sparuta rappresentanza in Parlamento, non si sa quando si voterà di nuovo, se tra tre mesi o tra cinque anni, e in genere è più facile che una forza politica sia rappresentata, anche mediaticamente, da chi sta in Parlamento rispetto a chi ne sta fuori. Ecco, io non vorrei che in questi mesi, e magari per cinque anni , LeU fosse rappresentata principalmente (con tutto il rispetto che nutro per la loro storia e l’affetto personale che posso sentire personalmente) da Bersani, Epifani, Stumpo, Grasso, Errani, Speranza, Fassina. Credo che in tempi abbastanza rapidi vada favorito il profondo rinnovamento anche della rappresentanza parlamentare, consentendo a compagne e compagni che non sono stati eletti di crescere anche assumendosi la responsabilità di rappresentare la sinistra in Parlamento.

Certo non basta il rinnovamento delle classi dirigenti per provare a riconquistare la fiducia di chi, sentendosi abbandonato, ha deciso di scegliere altro. Ma è un primo passo. Sarà una strada lunga, lunghissima, durante la quale bisognerà mettere in discussione tutto. Sé stessi in primis, e poi metodi, riti, luoghi di discussione, analisi, certezze. Tutto. Ben vengano le assemblee convocate in questi giorni e quelle che verranno, momenti catartici nei quali è bene che nulla rimanga nell’alveo del non detto. Ma ovviamente non sarà sufficiente. Ne parlavo con il compagno Simone, forse davvero occorre ricominciare dalle Case del Popolo. Forse davvero, con tutte le difficoltà ulteriormente amplificate dalla disintermediazione, dalle nuove forme di comunicazione e partecipazione, occorre ricominciare da un partito strutturato che apra i circoli ai quartieri per offrire non solo un luogo fisico di discussione ed elaborazione ma che sappia far rete per intercettare i bisogni di chi è rimasto indietro. Di sicuro occorre occupare permanentemente e strutturalmente i luoghi del conflitto e rappresentare a livello parlamentare, con atti concreti,  le istanze dei lavoratori, de precari, degli insegnanti, di chi è rimasto indietro, di chi ha visto crescere sulla propria pelle le disuguaglianze, la precarietà, la paura nel futuro (senza però dimenticare la parte sana del tessuto produttivo, le imprese che non delocalizzano , gli imprenditori che senza paternalismo considerano i suoi dipendenti parte della sua famiglia, le aziende che innovano, che rispettano l’uomo e l’ambiente). Paradigmatico, in questo senso, il servizio di #PropagandaLive fuori dai cancelli della fabbrica FCA di Pomigliano d’Arco, patria di Luigi di Maio. Alla domanda di Diego Bianchi sul perché la sinistra non sta più fuori da quei cancelli, la risposta dell’operaio racchiude tutto: perché ha perso la strada.

Ritrovarla non sarà semplice, per niente.  Riconquistare la fiducia di chi si è sentito tradito  sarà un’impresa titanica, che probabilmente si compirà, se si compirà, in non meno di un decennio. Troppa la delusione generata in chi ha sempre votato a sinistra e oggi ha scelto altro. Però secondo me esistono ancora praterie a sinistra, ma non potremo riconquistarle se non sapremo rappresentarla con persone credibili sulle quali far camminare idee, pensieri, azioni.

Ritroviamoci, e forse dal letame nasceranno fiori, come diceva uno bravo.

Pensieri lunghi, diceva un altro ancora più bravo. Lunghissimi.