I pezzi che mancano

Ho sempre pensato che il PD, più che preoccuparsi di conquistare voti tra i delusi del centrodestra, dovesse pensare a recuperare i voti di qui suoi ex- elettori che, negli ultimi anni, avevano disertato le urne. O avevano scelto Grillo. Nulla vieta che chi ha votato centrodestra, PDL, AN, UDC, CCD, FI, MPA, FLI possa cambiare idea e decidere di votare per il PD.

Legittimo. Il mio timore è che se ciò dovesse avvenire, il PD subirà una mutazione genetica che lo porterà lontano da quel progetto al quale molti di noi hanno aderito qualche anno fa. Diventerà un partito neo-liberale, o anche neo-liberista, di stampo blairiano, per capirsi, condito da un po’ di equità sociale, di diritti civili, di attenzione per l’ambiente su scala medio-piccola. Ciò che probabilmente una parte dell’elettorato moderato italiano cerca da anni, salvo poi rifugiarsi sotto l’ala protettrice di Berlusconi perché naturalmente allergici al campo del centrosinistra. Sinceramente non è quello che mi aspettavo, quando ho contribuito a fondare, nel 2007, il PD.

A dire il vero non mi aspettavo nemmeno un partito bloccato, refrattario al cambiamento, allergico alle critiche, ingessato dalle correnti, sordo agli innumerevoli segnali che provengono, ormai da anni, dalla società. Un partito che, in stretto raccordo con un pezzo corposissimo di sindacato, è stato capace di parlare solo, e nemmeno al meglio, al suo blocco sociale di riferimento, quello dei lavoratori dipendenti per lo più pubblici e dei pensionati, lasciando abbandonati a sé stesse intere generazioni di nuovi lavoratori, soprattutto del settore privato, che un contratto a tempo indeterminato e una pensione non ce l’hanno e non l’avranno mai. Perché non basta cambiare qualche dirigente di periferia, qualche amministratore locale, qualche portavoce per dirsi rinnovati.

Quella che conta è la testa, e se la testa dei nuovi arrivati è per molti versi simile a quella di chi ha preceduto, allora si è fatta un’operazione di facciata. E cambiare testa significa rendersi conto della necessità, ad esempio, di riformare il sistema dei finanziamenti ai partiti prima che emergano gli scandali. Di rendersi conto prima, e non dopo, che i soldi che girano intorno alle attività dei partiti sono troppi, anche se usati a fini esclusivamente politici. Di evitare che persone indagate o condannate possano restare al loro posto o essere ricandidate. Di evitare di continuare a nominare amici o trombati nelle ASL, negli Enti Pubblici, nei CdA delle partecipate. Di evitare di avere rapporti ambigui con banche, assicurazioni e con i salotti buoni della finanza, mentre la finanza uccide l’economia reale. Di rendere gli spazi politici contendibili per sottrarli al gioco delle correnti, agli spifferi, agli accordi sottobanco che impongono ai territori uomini e candidati. Di rendersi conto da soli che tre mandati in Parlamento bastano e avanzano. Di imparare dagli errori, perché sbagliando, da ‘sta parte, non s’è imparato un cazzo.

Ecco, tutto questo mi fa pensare sempre di più che queste primarie sono monche, manca un pezzo, e non mi sento rappresentato da quello che c’è in campo.