La terza via di Fabrizio Barca

D’Alema spiega: “se uno mi dice aiutami a rinnovare lo aiuto e mi faccio da parte, se uno mi dice ti voglio distruggere, cacciare, porre fine alla tua carriera politica io dico ‘provaci”.

Tutti si può dire di Massimo D’Alema tranne che non sia un combattente. Nel bene e nel male. E poi quando si sente sfruculiato ci si mette d’impegno, a renderti la vita difficile.

Sono stato un estimatore di Massimo D’Alema, metà anni novanta, quando fece le scarpe al povero Occhetto e portò (non da solo) la sinistra al Governo. Poi ha iniziato (non da solo) a fare un pò di passi falsi. Tatticismo esasperato, salvaculo di Berlusconi, i Capitani Coraggiosi. Quindi basta. Non ce l’ho con lui, non chiedo di vederlo con una zappa in mano, ma fuori dal Parlamento si. Diciamo che il caratteraccio che si ritrova non gli consente di comportarsi come Veltroni e quindi va allo scontro piuttosto che fare il padre nobile. La sua intelligenza non gli è stata molto d’aiuto in questo caso, diciamo.

E però penso anche che ci possa essere una terza via, anche nel ricambio generazionale di cui il Paese ha un dannatissimo bisogno. Ci illumina Fabrizio Barca, su questo:

“Ho un’altra idea: per essere migliori non basta essere fuori dal Parlamento o essere più giovani di età. Il vero cambiamento non è il semplice tutti a casa, avviene con la competizione. Se non c’è questo, si proclama di voler rivoluzionare tutto senza mutare regola. Si invocano i giovani al posto dei vecchi sapendo che è un programma impossibile da realizzare. E la rottamazione diventa l’altra faccia del gattopardismo: cambiare tutto senza cambiare niente”.