Redditi, salario e produttività in Italia (e le relative bufale)

Lunedì ero ad un convegno organizzato dall’ANCE sulla sicurezza sui luoghi di lavoro. A margine si è parlato, ovviamente, della situazione economica e dell’articolo 18. Beh, i costruttori edili (e hai detto cotica!) ritengono che la riformulazione dell’articolo 18 prevista dal governo non serva all’economia del Paese e quindi alle loro imprese. Quello che chiedono, e non sono gli unici, è un abbassamento del costo del lavoro. Un operaio che riceve in busta paga 1.500 €, a detta dell’ANCE, all’imprenditore ne costa 4.000, di Euro. Ridurre il cuneo fiscale, quindi. Fu uno dei cavalli di battaglia nelle ultime campagne elettorali dell’Unione. Che poi nessuno lo sapeva cosa fosse, ‘sto cuneo fiscale. Quando si dice parla come mangi. Vabbè. Ma la situazione è davvero quella che in molti raccontano? Il costo del lavoro, in Italia, è davvero così alto? A leggere questo articolo, sembrerebbe di no.

Il costo del lavoro, secondo tutti (o quasi), è nettamente più alto in Italia che in Europa, perché le imposte sul lavoro, come lamenta Confindustria e ripete la Fornero, sono maggiori. In realtà le cose non stanno in questo modo. Che cos’è il costo del lavoro? È la somma delle retribuzioni con le seguenti voci: tredicesima (e altre mensilità aggiuntive), TFR, eventuali straordinari, ferie e permessi maturati, e … contributi sociali. Questi ultimi riguardano i contributi a carico dell’azienda per pensione e assistenza sanitaria del lavoratore. Dove stanno le imposte allora? Da nessuna parte. Ci sono solo altre parti del salario, quella indiretta (sanità) e differita (pensione), che si aggiungono a quella percepita in busta paga. Eppure Confindustria si ostina a voler considerare imposte i contributi per l’assistenza sanitaria, perché sono compresi nell’Irap. Il quotidiano confindustriale “il Sole24ore”, in un confronto internazionale sulla pressione fiscale sulle imprese, ha aggiunto l’Irap alla imposta sulle società per azioni (Ires), facendo così risultare più alta una pressione fiscale che invece è inferiore a quella di molti Paesi avanzati.

 E i salari?

Ebbene, secondo il Labour cost survey 2008 di Eurostat, nella manifattura la retribuzione lorda italiana è di 16,95 euro/ora, ovvero inferiore, di ben 3,58 euro, rispetto alla media della Ue a 16 (l’area-euro), che era di 20,53 euro/ora. Viceversa, la retribuzione oraria italiana era superiore rispetto alla media della Ue a 27 (16,55 euro/ora), ma appena di 40 centesimi. Inoltre, va considerato che quest’ultima media è appiattita verso il basso dalla presenza di Paesi con retribuzioni bassissime di appena, ad esempio in Romania, 2,5 euro/ora.

Si parla poi, tanto, di produttività.

Di solito Confindustria aggiunge nelle sue argomentazioni per il taglio del costo del lavoro che in Italia i salari sono bassi, oltre che per colpa del costo del lavoro troppo alto, anche per colpa della ridotta produttività. In realtà la produttività italiana è bassa proprio perché le retribuzioni e il costo del lavoro sono bassi. Infatti, lì dove c’è abbondanza di forza-lavoro a basso costo le imprese evitano di investire in mezzi tecnici, diminuendo la quota di capitale per addetto, e quindi la produttività del capitale. Non scordiamo che la produttività totale dei fattori si compone di produttività del lavoro e del capitale. Negli ultimi 15 anni non è certo la prima ad essere crollata, grazie a tempi di lavoro più intensi e più lunghi, bensì la seconda. Il calo della produttività totale dei fattori è stato causato proprio dalle controriforme del mercato del lavoro degli ultimi 15 anni, dal pacchetto Treu alla Legge 30, come hanno dimostrato due studi, uno del Fondo Monetario Internazionale e un altro di economisti dell’Università di Harvard e della Northwestern University. Infatti, la deregolamentazione del mercato del lavoro, unitamente alla maggiore offerta di forza lavoro femminile e immigrata (di base meno pagata), ha aumentato l’offerta totale di lavoro in presenza di domanda stagnante o più ridotta. Come sempre accade quando l’offerta di forza-lavoro è maggiore della domanda, i salari sono diminuiti e le imprese hanno perso la spinta a innovare e ad aumentare la quota di capitale tecnico per addetto, per mantenere alto il margine di profitto, che viene comunque garantito dai bassi salari. È significativo che in Italia e Spagna, dove le controriforme del mercato del lavoro sono state più intense e salari e costo del lavoro sono più bassi, il Margine operativo lordo (Mol) sul fatturato è nettamente più alto che in Germania e Francia (Graf.1).  In Italia e Spagna rispettivamente 7,5% e 8,9%, in Germania e Francia, 6,6% e 5,4%.

In conclusione, si può affermare che la nuova riforma del mercato del lavoro, introducendo nuova flessibilità in uscita e in entrata, non può che produrre una ulteriore contrazione, nello stesso tempo, di salario e produttività totale.