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Si o no? Sarebbe facile, in fondo

Dare risposte immediate al possibilismo che pervade la sinistra italiana davanti alle ipotesi di alleanze post-voto con PD o con M5S. La destra no, quella no (ma chi è destra? Casapound? OK. Fratelli d’Italia? Bon. La Lega? Ci siamo. Berlusconi? Alfano? Ah son destra? Ma già è capitato in passato di governarci insieme? Davvero?).

Quindi, dicevamo, due domande semplici semplici che Pietro Grasso, o chi per lui, dovrebbe/potrebbe porre.

Per il PD: lo aboliamo il jobs-act, reintroducendo l’art. 18 e prevedendo come unica forma contrattuale il tempo indeterminato?

Per il M5S: la approviamo subito la legge sullo ius soli?

Due questioni cruciali, lavoro e cittadinanza. Se non si è d’accordo su questo, non c’è possibilismo che tenga. Restano solo le chiacchiere da campagna elettorale.

E per quelle abbiamo dato, grazie

Chi fa battaglie ideologiche?

Nuova immagine

Fatemi capire: nella legge delega, sulla quale il governo oggi chiede la fiducia, scompare l’articolo 18, e però il governo stesso precisa che il voto di fiducia è sull’articolo 18?

Ma ha ancora senso avere un Parlamento, in questo Paese? Oppure a Renzi interessano solo deleghe in bianco?

Come dire: voi votate, poi il governo fa quel che cazzo gli pare.

 

Estremo ed improbabile

E allora, come stanno le cose? Le modifiche apportate alla nuova disciplina dell’articolo 18 sono una vittoria del PD e recepiscono le richieste avanzate da Bersani oppure il reintegro sarà previsto per casi “improbabili” e quindi tutto resta come prima? Io credo al mio segretario, ma allora perchè tutto questo affrettarsi a mettere paletti, a precisare, a rassicurare? Perchè questo gioco al massacro? Chi prende per il culo?

Redditi, salario e produttività in Italia (e le relative bufale)

Lunedì ero ad un convegno organizzato dall’ANCE sulla sicurezza sui luoghi di lavoro. A margine si è parlato, ovviamente, della situazione economica e dell’articolo 18. Beh, i costruttori edili (e hai detto cotica!) ritengono che la riformulazione dell’articolo 18 prevista dal governo non serva all’economia del Paese e quindi alle loro imprese. Quello che chiedono, e non sono gli unici, è un abbassamento del costo del lavoro. Un operaio che riceve in busta paga 1.500 €, a detta dell’ANCE, all’imprenditore ne costa 4.000, di Euro. Ridurre il cuneo fiscale, quindi. Fu uno dei cavalli di battaglia nelle ultime campagne elettorali dell’Unione. Che poi nessuno lo sapeva cosa fosse, ‘sto cuneo fiscale. Quando si dice parla come mangi. Vabbè. Ma la situazione è davvero quella che in molti raccontano? Il costo del lavoro, in Italia, è davvero così alto? A leggere questo articolo, sembrerebbe di no.

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Se il datore di lavoro mente (foss’anche per motivi economici)

Ernesto ci dice con chiarezza perchè, nella sua formulazione attuale, la riforma dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori non è accettabile.

In altre parole, se vengo illegittimamente licenziato per motivi economici – che poi il giudice scopre essere inesistenti e, quindi, inventati dal datore di lavoro al solo fine di licenziare un lavoratore – il giudice non potrà più ordinare il mio reintegro al posto di lavoro, ma solo ordinare all’azienda il pagamento di un indennizzo in mio favore.

Nascere o morire

Da quel che si può leggere sui giornali, la proposta di riforma del mercato del lavoro, formulata dal governo e accettata da tutte le parti sociali tranne la CGIL, presenta aspetti positivi (pochi) e aspetti negativi (molti). La semplificazione nella jungla dei contratti atipici e la trasformazione dei contratti di apprendistato in contratti a tempo indeterminato dopo 36 mesi è un passo in avanti anche se, quasi sicuramente, la maggiore tassazione dell’1,4 % finirà per essere scaricata sulle retribuzioni. Resta da sciogliere il nodo delle finte Partite IVA, e non mi sembra che possa essere sufficiente l’impegno del governo e delle parti sociali ad un impegno per un “contrasto secco” al fenomeno. Buona anche la sperimentazione sulla paternità obbligatoria. Ciò che, ovviamente, è inaccettabile, è la riforma dell’articolo 18 (a parte l’estensione del diritto al reintegro in caso di licenziamento per motivi discriminatori alle aziende con meno di 15 dipendenti). Non c’è alcuna evidenza, da un punto di vista economico-scientifico, del nesso tra l’articolo 18 nella sua attuale formulazione e la ritrosia delle aziende ad assumere. Sono chiacchiere. L’articolo 18 rappresenta un elemento di civiltà per il semplice fatto di stabilire che un diritto, come quello al lavoro, non è monetizzabile. Punto. Non ci sono 15 o 27 mensilità di indennizzo che tengano. Nel dibattito in corso negli ultimi mesi il concetto onnipresente era quello di spostare la tutela dal posto di lavoro al lavoratore. Mi sembra che in questo modo si sacrifichino sia l’uno che l’altro.

Ma al di là del merito del provvedimento, passibile di modifiche più o meno sostanziali nell’iter di approvazione in Parlamento, ciò che colpisce è il metodo. La concertazione è oggi vista come un disvalore, il male assoluto. Il centrosinistra e il PD hanno osannato per anni il modello Ciampi, portato ad esempio di come coniugare riformismo, rigore economico e pace sociale. Monti e il governo si sento tronfi per aver imposto un modello di riforma senza il consenso della CGIL. Uguale a Sacconi. E infatti il PDL esulta.

Il Partito Democratico deve decidere (e sarà costretto a farlo nel corso del dibattito parlamentare che seguirà alla presentazione della riforma), se la coesione sociale debba essere ancora un principio ispiratore della propria azione politica o se, invece, quel tempo è definitivamente tramontato. E con esso l’idea di PD che molti di noi hanno coltivato. Sempre che sopravviva, il PD, a tutto ciò.

Due parole sulla manifestazione della FIOM

Venerdì c’ero anch’io, a manifestare con la FIOM. Ma non ero lì per la FIOM. La FIOM fa il suo lavoro, con i suoi limiti, le sue certezze, le sue contraddizioni. Difende i lavoratori e saranno i lavoratori a dire se lo fa bene o lo fa male.  E comunque la storia che il sindacato voglia giocare un ruolo politico non mi convince. Le stesse cose furono dette a Sergio Cofferati quando portò 3 milioni di persone in piazza per l’articolo 18, e sono passati giusto 10 anni e il sindacato continua a fare il sindacato e le questioni sono ancora le stesse.

Ero lì per i lavoratori. Non c’erano pericolosi terroristi, bolscevichi in tuta da lavoro o rivoluzionari con la pancia piena. C’era il mondo del lavoro operaio. Quello che paga, come molti e forse più nel Paese, il prezzo della crisi. Un mondo che chiede equità, giustizia sociale, democrazia. Che chiede lavoro. Forse parole davvero rivoluzionarie, al giorno d’oggi. Chissà cosa ne penserebbe Di Vittorio. Non potevo che essere lì, venerdì. E anche il PD avrebbe dovuto esserci. E in effetti c’era, in qualche forma. C’era Pippo Civati, c’era Vincenzo Vita, c’era Marco Miccoli, c’era Furio Colombo e c’erano, soprattutto, tanti iscritti e militanti del PD nel corteo, sicuro. Non per una passeggiata, ma perchè condividono la preoccupazione per tutte quelle domande che non hanno ancora trovato una risposta. Ma se non c’è il PD come partito significa che in quella piazza è assente la politica.

E chi, se non la politica, ha il compito di dare soluzioni alle questioni che affliggono il mondo del lavoro? E chi, se non il PD, ha il compito di indicare una strada che sappia coniugare protezione sociale, difesa dei diritti e nuova forma del rapporto tra capitale e lavoro? E chi, se non il PD, ha il dovere di evitare che opposti settarismi spingano la FIOM da un lato e la Confindustria dall’altro ad assumere posizioni intransigenti che rischiano di spingere un intero ceto produttivo verso posizioni sempre più estreme? Sempre che il PD voglia fare il PD, ovvio. Trovare le risposte. Tic toc tic toc.

p.s. per chi volesse approfondire, tre bei post sulla manifestazione qui, qui e qui.

Welfare, welfare e ancora welfare

Finché non avverrà la riforma degli ammortizzatori sociali e l’avvio di un sistema di formazione continua, la cosiddetta flexsecurity rimarrà una chimera. Questa è la vera leva affinché il mercato del lavoro sia meno diseguale e più fluido. Soprattutto, che premi effettivamente il merito delle persone, le loro capacità, la loro volontà d’impegno e diminuisca il peso (favorevole, per chi ce l’ha) delle posizioni di rendita familiari o di casta.

Daniele Martini, il resto qui.