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Ma tu, che fai nella vita?

Quando ho letto del rapporto ISTAT e dell'ennesimo triste primato dell'Italia, mi è venuta in mente questa.
I CCCP, all'epoca, non la scrissero certo pensando al lavoro che non c'è.
Però, leggendo i dati relativi alla situazione educativa e lavorativa dei giovani in Italia, calza a pennello.

Il profitto e l’operaio

Posto alcuni stralci dell'articolo di Gad Lerner, pubblicato sabato su "La Repubblica".
Le riflessioni di Gad inchiodano ovviamente anche il PD alle proprie responsabilità, nella speranza che l'agenda non solo del PD ma della sinistra tutta sia davvero aggiornata.

… Da una ventina d’anni la parola egualitarismo è proibita nel dibattito pubblico, demonizzata alla stregua di un'ideologia totalitaria. Ma nel frattempo imponenti quote della ricchezza nazionale sono state dirottate dal lavoro dipendente a vantaggio dei profitti, esasperando una disuguaglianza di reddito senza precedenti storici.
Questo imponente spostamento di punti del Pil dai salari al capitale non ha certo reso più competi
tiva l'economia italiana come invece prometteva. Semmai fotografa, con sintesi brutale, la sconfitta di una sinistra la cui ragione sociale, per oltre un secolo, si identificò con il miglioramento delle condizioni di vita dei ceti meno abbienti, primi fra tutti gli operai.
Pervenuta, sia pure per brevi periodi, al governo del paese, la classe dirigente della sinistra si
è legittimata attraverso l'accettazione della cultura di mercato ma ha finito per confondersi in larga misura nell'establishment italiano da cui voleva essere accettata, tollerandone in cambio i vizi, sposandone talvolta i comportamenti.
Se il coefficiente di Gini, cioè l'indicatore statistico con cui gli economisti cercano di misurare il tasso di disuguaglianza di un paese, colloca ormai l’Italia ai gradini più bassi dell'OCSE, con un'accelerazione costante a partire dai primi anni Novanta,
è doveroso ricordare che il lavoro dipendente non ha subito solo decurtazioni proporzionali di reddito…
…La speranza fallace che l'arricchimento di pochi generasse maggior benessere per tutti ha consentito che la presa di potere dei manager divaricasse la forbice delle retribuzioni, elevando in breve tempo gli stipendi dirigenziali da venti o trenta volte la media di un salario operaio, a centinaia di volte. I profitti realizzati tramite la speculazione finanziaria globale hanno completato l'opera.
Il paradosso che viviamo oggi è che la rabbia sociale rischia di finire appannaggio della demagogia di destra, mentre la sinistra ammutolisce vittima delle sue inadempienze.
Chi ha teorizzato la difesa localistica del proprio territorio dalle insidie della globalizzazione, naturalmente, propone alle masse una visione strabica delle disuguaglianze. Denuncia come eccessivi i redditi di categorie molto visibili ma sparute come i calciatori e i personaggi dello spettacolo. Oppure addita al pubblico ludibrio di volta in volta i suoi avversari simbolici, come gli alti magistrati e i dirigenti ministeriali. Ma si guarda bene dal prendersela con i redditi da capitale, con le rendite finanziarie, con i compensi dei manager che appartengono al suo sistema di potere.

La piramide sociale, nella visione della destra, può venire scossa dal terremoto della crisi, ma per uscirne ancora più verticale.
È prevedibile che nei prossimi anni questo malessere genererà un pensiero radicale e una reazione estremista anche nell'ambito della sinistra, impreparata a confrontarsi con le regole della finanza, con la riforma dei rapporti di lavoro, con la crisi del welfare.
La morte del comunismo non elimina in eterno la spinta antagonista, con i suoi aneliti di giustizia e il suo inevitabile contorno di ambiguità.
Per il momento sarebbe bene che i dirigenti del Pd affascinati dallo stile Marchionne, colti alla sprovvista dalla minoritaria ma elevata quota di opposizione espressa dai lavoratori di Pomigliano a un accordo stravolgente le condizioni di lavoro, cominciassero a riflettere. Assumendo il tema della disuguaglianza sociale come prioritario nell'agenda di una sinistra moderna degna delle sue origini.

La crisi morde

A volte uccide. Le piccole aziende sono in difficoltà ma a quanto pare questo lungo inverno di lavoro negato, di perdita di dignità, di mancate risposte della politica durerà ancora per molto. Il mio pensiero va ai lavoratori e alle loro famiglie.