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Il 2012 che ci aspetta

Proprio oggi volevo scrivere un post di fine anno, di quelli che contengono gli auspici e le speranze per l’anno che arriva ma anche quanto di bello e di brutto è successo nell’anno che si chiude.

Un post di politica, chetelodicoaffà.

Che poi la politica è anche un pezzo della mia vita, non tanto per quel pò che ne faccio ma soprattutto per quel tanto che la subisco. Come tutti, del resto. E però c’avevo un magone, l’ovosodo qui e più giù, alla bocca dello stomaco. Perché mi arrivavano in diretta le notizie (e i commenti alle notizie) sul congresso regionale del PD Lazio, dove un manipolo di pazzi si è messo in mente di curare un malato in coma a dispetto di ciò che pensano i luminari del partito, pronti a spartirsi le ceneri del morto sulle note di tutto cambia affinché nulla cambi. Perché reso edotto dell’ennesima maledetta porcata della giunta Lombardo sostenuta dal PD mi è venuta voglia di demolire il 15 pollici a tubo catodico che ancora resiste in cucina di mia nonna. Perché cazzeggiando con il mio smarfòn mi sono imbattuto in una foto di Vasto che non ritrae il panorama della cittadina adriatica ma un sogno che sbiadisce e svanisce sotto i colpi di maglio della realtà quotidiana. Che poi non sai chi li ha menate per primo, ‘ste mazzate, Un po’ allora mi abbatto, lo confesso.

Metteteci pure che oggi passeggiavo per le strade del mio paese di origine e guardavo le persone e pensavo che questo posto è senza speranza machicelofafare che tanto a lavà la capo a gliu ciuccio ce perdi tempo acqua e sapone. Ecco, metteteci tutto questo e l’ovosodo è bello che cotto, mangiato e fermo in canna. E zero voglia di scrivere, quindi.

Poi, però. (C’è sempre un però). Leggo un post qua, un tweet là, un commento su e un articolo giù e torna la fiducia. E la voglia di cambiarlo, ‘sto PD e ‘sto Paese. Certo, il 2011 è stato un anno tosto e pieno di bocconi amari, alcuni necessari, altri meno e quindi ancora più indigesti. Però è stato anche l’anno in cui ha preso forma un’idea di partito diversa da quella vista fino ad ora e che sento profondamente mia.

Il Nostro Tempo, Changes, la sfida di Giovanni Bachelet per il PD Lazio hanno dimostrato che ce la possiamo fare.

E allora #occupyPD deve essere l’obiettivo del 2012. Non per occupare posti, ma per occupare posto nella testa delle persone. E far maturare la consapevolezza che non è un destino ineluttabile, quello attuale del PD. Perché l’assunzione di responsabilità non diventi l’alibi per rinunciare al coraggio. Perché la necessità di dare una guida credibile al Paese, una volta messo da parte B. e il peggior governo che la storia patria ricordi, non si trasformi in magmatico volemose bene in cui le differenze si fondono e confondono gli elettori, già sufficientemente provati da anni di liti, di promesse mancate, di speranze disattese, di incertezze disarmanti. Allora se in questo duemiladodici dovremo continuare a sostenere il governo Monti sotto il peso della spada di Damocle dello sprèd e del defòlt, prendiamocelo anche per discutere di come dovremo presentarci nel duemilatredici. Con quale progetto per il Paese, con quale partito, con quali alleanze, con quali certezze. Con quali regole. Con quali gruppi dirigenti, magari finalmente rinnovati nelle teste e nelle carte d’identità. Quelle cose che si fanno nei paesi normali (e mi sa che D’Alema quando scrisse il libro non aveva in mente tutto questo, altrimenti si sarebbe tolto dai cabasisi da un pezzo, e in buona compagnia).

Insomma, che il duemiladodici sia l’anno del congresso del PD. Ma di un congresso vero (sembra quasi un ossimoro). Non una conta di tesserati e di fedeli alle correnti. Che poi finisce che ‘ste correnti spegneranno pure il caminetto. Ma un dibattito aperto che coinvolga il Paese intero. Sia avanzata una richiesta formale da subito così che non potranno dire che non c’era tempo. Perché in molti, il loro tempo, l’hanno già usato, mentre il nostro sta tutto lì. E va usato prima che altri lo sprechino.

Questione di stile. #OccupyPD

L’incontro di Firenze, alla Leopolda, non è ancora finito. Su Renzi si è detto tutto e il contrario di tutto, non starò qui, ora, ad aggiungere la mia opinione a cose già dette, già scritte. Magari nei prossimi giorni, quando sarà definitivamente chiaro cosa ha in mente Matteo e quale sarà l’effetto del big bang. Due cose però le voglio dire. Una differenza abissale rispetto all’incontro di Bologna della settimana scorsa: oggi e nei prossimi giorni ci sono e ci saranno polemiche a caricapéte, da Il Nostro Tempo non è uscita una parola esegerata, un pensiero contro qualcuno, un fischio, un insulto. Nulla. Il che significa che bisogna continuare a lavorare per unire e non per dividere. La seconda cosa che voglio dire è che lo stile di Pippo è vincente. Non è da tutti preoccuparsi dei cocci quando molti stanno lì a menare di martello. E poi c’è un gran bisogno, in questo Paese, di non alzare la voce. Di educazione, anche politica. C’è troppa gente in giro che non ha un cazzo da dire ma lo dice urlando, buttando tutto in caciara, in un pastone indigesto che confonde tutto e tutti. E soprattutto togliendo così la parola a che invece ha molto da dire ma, semplicemente, non si arrende all’ineluttabilità dell’urlo. Spero che in questi mesi ci sia modo di far emergere, anche in TV (perché servono anche i passaggi televisivi, per #occupyPD) il    Pippo-Style. Adesso vado, c’ho il ragù che mi si attacca.

Il Nostro Tempo – Gli interventi

Ilda Curti, fantastica, immensa. Luigi de Magistris, una conferma.

Ernesto Ruffini e Sara De Santis, il fisco della Prossima Italia. Un mondo possibile. Del resto, se lo fanno in Brasile…

Filippo Taddei e Pietro Modiano. Dove prendere le risorse che mancano allo Stato. E perchè la patrimoniale è sacrosanta.

Ivan Salfarotto, una persona eccezionale.

La nostra generazione

Tornando da Bologna i ragazzi ci hanno chiesto: Papo, Titta, ma siete andati per lavoro o per passare il fine settimana fuori? Ci abbiamo pensato un po’, ma nemmeno tanto,  e ci è venuto da rispondere più o meno così: beh, siamo andati, in un certo senso, per lavoro. Per dare il nostro piccolissimo contributo per provare a lasciarvi un Paese migliore. Del resto il nostro compito di genitori è quello, provare a lasciarvi una città, un comune, una campagna, il mare in condizioni decenti, cosicchè ne possiate godere voi e vostri figli. Il futuro è il vostro. Di voi che siete, oggi, bambini. Ma il nostro tempo è questo. Quello dei grandi.

Grandi che sono diventati grandi. Camminando insieme. A partire da un giorno di aprile a Milano, passando per la mitica Albinea, per Torino, per Firenze, per Roma, per Napoli, per Bologna.

Parlando con gli amici con i quali stiamo condividendo un percorso, da quasi due anni a questa parte (Ernesto, Gianclaudio, Giuseppe, e poi Ilda, Francesco, Samuele, Samuele, Jacopo, Nico, Ivan, Cristiana e tanti ma tanti altri), si diceva proprio questo. Che siamo cresciuti nei tempi giusti. Forse la nostra fretta, sicuramente la mia fretta, di avere un PD diverso, mi portava un desiderio di bruciare le tappe da subito. Ma le cose fanno il loro corso. E se ciò avviene nei tempi giusti, vengono ancora meglio.  Si è imparato dagli errori, pure.  Renzi, ad esempio. Ma si è capito in fretta. E si è seminato, e tanto, in questi mesi. Basta sentire le proposte concrete che sono uscite da Bologna sul fisco, sull’evasione fiscale, sulla patrimoniale, sulla green economy, sull’immigrazione, sulla cittadinanza, sulla legalità. Sui diritti.  Tutto è stato fatto PER il PD. Per il Paese. E NON CONTRO qualcuno. Tra le parole più belle, in questi giorni, ci sono state quelle di Nicola Zingaretti, che ha riconosciuto a Pippo e Debora  la volontà di unire, e non di dividere. Però un’ambizione ce l’abbiamo. Portare questa generazione al governo del Paese. E ci riusciremo. Perchè il nostro tempo è adesso.

Ascoltate:

Non una parola di meno

Beh, parafrasando il titolo del film di Zang Yimou il post di Pippo, oggi, ve lo ri-posto tutto. Perchè merita. Perchè riassume il pensiero di tanti di noi. Perchè parla e-s-a-t-t-a-m-e-n-t-e di come il PD doveva (e deve) essere, quando lo abbiamo pensato. Tutti insieme. E le responsabilità ce le prendiamo tutte. Tutti insieme.

Leggo che Massimo D’Alema avrebbe invitato chi «ritiene sia possibile aprire una fase politica nuova» a «venire allo scoperto assumendosi le proprie  responsabilità». Accetto la sfida. E dico subito che il 22 e il 23 Ottobre a Bologna mi  assumerò ogni responsabilità, dalla prima all’ultima, per aprire una fase  politica nuova. Me le assumerò con chi condividerà, senza pregiudizi né timidezze, il nostro progetto. Che è il progetto originario del primo Ulivo, di quando ero ragazzo, e del Pd, il partito in cui credo e che ho contribuito a fondare. Senza giochetti di  corrente in stile Prima Repubblica, senza timori reverenziali per una classe  dirigente che ha fatto il suo tempo, ma senza tramare nell’ombra per screditare  (per altro senza dirlo esplicitamente), un segretario eletto democraticamente e  con le primarie. Provo vergogna e imbarazzo per chi non si rassegna  all’idea che le maggioranze si costruiscono alla luce del sole, con i cittadini  e non dietro alle loro spalle. Senza chiacchiere vuote e politicistiche, con i  fatti e le proposte, che sono l’unica cosa che il paese ci chiede. E senza ulteriori sorprese, perché la storia del centrosinistra italiano ce ne ha già riservate a sufficienza. A Bologna sono tutti invitati. E non è una provocazione, no, è un invito. I cittadini e i politici, i movimenti e le associazioni della società civile. Per aprire le porte e le finestre, non quelle «dei giovani» che vorrebbe aprire Veltroni, ma quelle del nostro partito. Anzi, della politica italiana. Chi non ha ancora capito che a Bologna nascerà un nuovo centrosinistra e non una nuova corrente del Pd, farebbe bene a prendere sul serio la nostra proposta. Perché il nostro tempo è arrivato. E sarà scandito dalle nostre proposte, per ritrovare la democrazia perduta, per contrastare la corruzione (e i conflitti di interessi, che non sono solo quello del premier), per tutelare il paesaggio e la bellezza italiana, per dare un futuro (anche pensionistico) ai giovani, e per togliere alle rendite, per dare al lavoro, con una riforma fiscale comprensibile e strumenti più seri per il contrasto dell’evasione. Cose che si possono fare. E che dobbiamo fare noi, se davvero vogliamo cambiare. Non una parola sarà sprecata. Non una relazione politica sarà negata. Non un minuto di più andrà perduto, in una polemica interna, in un politicismo, in una recriminazione. Vogliamo cambiare.

E cambieremo.