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Uscire dal “sistema”: una questione di sopravvivenza

Lunedì sera a L’Infedele Concita De Gregorio, con poche illuminate parole, ha spiegato chiaramente quale sia la strada affinchè il PD (parlo del mio partito, gli altri facciano come meglio credono) acquisti una rinnovata credibilità presso gli elettori. Premesso che, al di là delle responsabilità personali dei singoli, anche il PD fa parte del “sistema”. Il che non vuol dire necessariamente che i suoi esponenti siano persone “che rubano”, ma semplicemente che anche il PD ha accettato che la politica arrivasse a permeare con le sue ramificazioni ambiti che non erano di sua stretta competenza. Il tutto per garantire una perpetuazione di posizioni dominanti di singoli e di gruppi dirigenti nonché per garantire forme di finanziamento border-line. Premesso tutto ciò, allora, il rinnovamento non può avvenire ad opera di chi fa parte del “sistema”. Il “sistema” non può autoriformarsi. Lo ha ammesso, con molta onestà (anche se si vedrà se alle parole seguiranno i fatti)  il sindaco di Sesto, Oldrini, che dice che la funzione della sua generazione si è esaurita. Un ciclo è finito. Ecco l’ineluttabilità del cambiamento. Una nuova generazione di politici, non necessariamente giovani anagraficamente, si proponga alla giuda del PD e del Paese. Chi ritiene che far parte del “sistema” rappresenti la naturale vocazione del PD abbia il coraggio di raccogliere la sfida, ad esempio con primarie aperte alla partecipazione dei cittadini per la scelta dei candidati a Camera e Senato, di chi pensa che il PD debba essere altro. Se il PD non fa questo, sarà fagocitato dal “sistema” stesso. E dall’antipolitica. E perderemo tutti.