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Me, myself and I

 

(Eye of the beholder, Metallica, 1988).

Per dire che esisto solo io.
Renzi.
Matteo.
Come l’altro.
Sull’abilita politica nulla da dire.
A uno che passa nel giro di pochi mesi dall’oblio ad essere di nuovo ago della bilancia che gli vuoi dire.

Sul cinismo, il trasformismo, il menefreghismo, la spregiudicatezza, la falsità, l’immoralità,l’io sono io e voi nun siete un cazzo, avoja.

Il governo nelle sue mani. Staccherà la spina prima della fine della legislatura, dopo mesi e mesi di logoramento che seguiranno ad una prima fase di calma apparente.
Giusto il tempo di mettere in risalto il fallimento dell’asse PD-M5S.
E a quel punto sarà Matteo contro Matteo.

E invocherà la ragione di stato, la democrazia, il pericolo dei fascisti, l’animadeimejo.

Renzi che pensa al destino degli italiani, del Paese?
No.
Solo le ambizioni di un uomo dall’ego smisurato.
Matteo come Matteo.

Che vomito.

Il Governo della Grande Catarsi (e del grande silenzio)

O dell’abiura. Fate voi.

Se davvero deve farsi il governo PD-M5S-Quellocherestadellasinistra, allora occorre azzerare tutto. Bene chiedere l’abolizione immediata dei due decreti sicurezza, della legge sulla legittima difesa, bene la discussione sul taglio dei parlamentari, bene i 5 e 10 punti, ma contemporaneamente occorre farla finita con jobs-act, buona scuola e cose del genere.  Voglio dire che, se davvero si vuole dare seguito alle tanto sbandierate buone intenzioni, che per ora sono solo tali, occorre presentarsi davanti agli italiani, chiedere scusa per le minchiate fatte in tempi recenti e meno recenti da ambo le parti, e utilizzare paradigmi nuovi e per certi versi inesplorati.

C’è una crisi ambientale e climatica  nel pianeta? Allora occorrono soluzioni forti, adesione totale ai protocolli riduzione di tutto ciò che nuoce al pianeta, investimenti su rinnovabili, packaging sostenibile, stop plastica, le lobby e alle multinazionali se ne facessero una ragione. C’è una problema migratorio legato alla crisi climatica che porterà milioni di persone a fuggire dai loro Paesi? Il mondo se ne faccia carico, l’Europa detti la linea e l’Italia giochi un ruolo di rinnovata leadership nel vecchio continente, proponendo da subito la modifica del trattato di Dublino e proponendo una modalità differente di  gestione dell’accoglienza sia per motivi umanitari sia per chi si muove dall’Africa, dall’Asia, dalle Americhe verso il nostro continente semplicemente per cercare una vita migliore. Come fare?  Personalmente sono profondamente convinto del fatto che le persone, ovunque esse nascano, debbano avere la libertà di muoversi per tutto il pianeta a loro piacimento, a maggior ragione se vivono in Paesi dove sono perseguitati o discriminati per idee, religione, orientamenti sessuali. Ma al di là dei casi che si presterebbero al riconoscimento di rifugiato politico, credo che ogni uomo e ogni donna abbia il diritto di poter cercare la propria felicità ovunque nel mondo, al pari di ciò che accade a noi che dopotutto abbiamo sola la fortuna di essere nati nella parte ricca del globo, e che in forza di questa botta di culo possiamo sostanzialmente decidere di vivere e lavorare e mettere su famiglia dove vogliamo, o quantomeno abbiamo la possibilità almeno di provarci. Fatta questa premessa, occorre però anche rendersi conto che una buona parte di chi va via dal proprio paese in Africa, in Asia, in America e prova a raggiungere l’Italia o l’Europa lo fa, quando non perseguitato, per provare a migliorare la propria condizione economica e che quindi potrebbe essere interessato a vivere lontano dalla sua terra per periodi di tempo più o meno brevi, magari stagionali.

Parlando con un amico senegalese che ho conosciuto grazie al Baobab, lui mi diceva: sai, non è che tutti quelli di noi che partono vogliono vivere per sempre in Italia, o in Europa. Andrebbe più che bene venire per lavorare qualche mese, e con quei soldi guadagnati potremmo far studiare i figli, vivere dignitosamente, e soprattutto stare nella nostra terra. E allora una soluzione potrebbe essere, ad esempio, quella di aprire dei canali legali per l’ingresso di lavoratori stagionali nell’agricoltura, nel turismo, da Nord a Sud dello stivale, tramite accordi con i paesi di origine coinvolgendo le istituzioni, le associazioni di categoria, i datori di lavoro, i sindacati. Un circolo virtuoso nel quale inserire case dignitose ad affitti concordati, trasparenti e contrattualizzati, salari che rispondono ai CCNL di settore, zero lavoro in nero. Un modo per sconfiggere il caporalato, la schiavitù, la concorrenza sleale di chi fa produzione abbassando i livelli salariali, azzerando i diritti, sfruttando uomini e donne, evadendo il fisco. Per provare ad interrompere la filiera dello sfruttamento che arricchisce la grande distribuzione e affama i braccianti. E anche un modo per evitare le traversate nel deserto, i campi lager, gli aguzzini libici, gli scafisti, i morti in mare. A proposito di morti in mare, altra soluzione da proporre è quella di finanziare nuovamente missioni europee di pattugliamento e soccorso nel Mediterraneo, con annesse modifiche al regolamento di Dublino e contestuale definizione di un sano principio di ripartizione tra i paesi che si rendono disponibili ad accogliere i migranti. Cambiare paradigma vuol dire smetterla di attaccare le istituzioni europee e gli altri paesi, in una continua prova muscolare che piace ai fan ma che non risolve uno straccio di problema. Si ha la volontà di fare questo? Allora ha un senso provare a mettere su un nuovo governo.

In generale, va affrontata a livello planetario la necessità non più eludibile di pensare ad nuovo modello di sviluppo economico. Quel’è la strada? Ce la indica Mariana Mazzuccato, economista, in questa intervista. Il rischio che si corre, altrimenti, “è quello di una nuova ondata di fascismo, perché gli effetti di scelte economiche sbagliate si misurano non solo sul Prodotto interno lordo, ma soprattutto sulla società”.

Cosa servirebbe al nostro Paese? Investimenti. Pubblici e privati. Ma soprattutto pubblici. In infrastrutture davvero utili, all’interno di un piano generale dei trasporti che traguardi un orizzonte di trent’anni almeno. Mobilità integrata nelle aree metropolitane, nuova cura del ferro, finire le opere già in corso di realizzazione (ahimè non ha più senso, oggi, bloccare la Torino-Lione) e finanziare molti progetti che già ci sono, rivisitati e adeguati ad esigenze di sostenibilità e una attenzione particolare al Sud, che ancora oggi soffre di carenze di collegamenti che rendono difficile valorizzare come si deve le bellezze naturali, le eccellenze enogastronomiche, il patrimonio culturale del nostro meridione. Investimenti pubblici in edilizia scolastica, edilizia carceraria, edilizia sanitaria. A proposito di sanità, ribaltare il modello della Regione Lazio, basta soldi ai privati, perché le eccellenze del Gemelli o del Campus Biomedico Universitario non debbono essere realizzate in strutture pubbliche al 100%? Sanità accessibile a tutti, assunzione di medici, azzeramento delle liste di attesa, non è concepibile che ai nostri tempi ci siano intere fasce della popolazione che non hanno accesso a cure mediche in tempi rapidi, salvo doversi rivolgere al privato, se hai i denari ti curi, se non ne hai crepi.

Investimenti nella scuola (stabilizzazione dei precari meritevoli, basta con i presidi manager, messa in sicurezza di tutti gli edifici scolastici), investimenti nella ricerca da portare a percentuali sul PIL ai livelli europei, investimenti sull’Università, debellare le baronie e i potentati che tarpano le ali ai giovani ricercatori e agli aspiranti docenti, basta applicare il modello di uno qualsiasi di Paese come Olanda, Germania, Francia, Inghilterra.

Redistribuzione delle ricchezze mediante un welfare che garantisca assistenza e opportunità per tutti coloro che sono in difficoltà, sostegno alle famiglie, tutte le famiglie, alle giovani coppie, tutte le coppie, ai ragazzi in cerca di una casa, lotta alle disuguaglianze che sono la vera miccia del conflitto tra ultimi e penultimi.

Reintroduzione dell’IMU sulla prima casa per finanziare un grande piano nazionale di edilizia popolare di qualità. Nel frattempo stop agli sgomberi, con la sola eccezione di Casapound perché i fascisti non devono avere alcuno spazio di parola e di agibilità democratica.

Revisione della legge Fornero per tener conto di lavori usuranti, dei lavoratori precoci, di chi ha avuto discontinuità retributive, delle lavoratrici impegnate nel doppio lavoro in casa e fuori casa.

Impegno serio, serissimo, sul fronte della sicurezza sul lavoro, introducendo finalmente la patente a punti per le imprese e parallelamente assumere un numero congruo di personale qualificato che faccia controlli serrati sui posti di lavoro.

Lotta senza quartieri al lavoro nero, prima fonte di insicurezza, allo sfruttamento, al caporalato, alla riduzione in schiavitù, al precariato legalizzato, applicando i CCNL e approvando una legge sulla rappresentanza che metta fuori gioco pseudo-associazioni sindacali che d’accordo coi padroni firmano contratti capestro che non fanno altro che favorire dumping salariale e sfruttamento dei lavoratori.

Lotta all’evasione fiscale. Basta, basta, basta ai condoni, ai rientri dei capitali, ai ravvedimenti farlocchi, ai premi ai furbetti, e chi ha sempre pagato paga sempre tutto, senza sconti.

Lotta alla criminalità organizzata, alla mafia, alla camorra, alla ndrangheta, alla Sacra Corona Unita e a tutte le mafie che agiscono sul territorio, spezzando il filo che unisce politica, impresa, malavita.

Dove si trovano i soldi per fare tutto questo? Si fa deficit. Punto. I vincoli, i parametri, nella loro rigidità, provocano solo austerità. L’abbiamo già provato. Occorre imporre all’Europa un cambio di registro, ma non con le cannonate e con l’insulto continuo, ma con la forza della ragione.

Qualcosa ho dimenticato, ma credo che il senso delle mie parole sia arrivato forte e chiaro.

A corollario di tutto, credo che siano necessarie altre due condizioni: una la indica Gad Lerner nel suo articolo di ieri: il PD, e aggiungo M5S e Quellocherestadellasinsitra, evitino di partecipare direttamente al nascente governo con loro uomini, donne, parlamentari, ma indichino nomi di personalità d’area. Non un governo tecnico, sia chiaro, ma personalità non immediatamente riconducibili ai partiti facenti parte del governo.

La seconda è il silenzio. Basta esternazioni via TV, Radio, Social. Basta parlare, soprattutto basta scontri. Ci vorrà del tempo per far scemare il livello di polemiche, di insulti che i due maggiori contraenti di questo nuovo patto governativo si sono scambiati reciprocamente in questi anni. Chi avrà responsabilità di governo, chi sosterrà in Parlamento questa nuova maggioranza, abbia la decenza di tacere ed eviti di segare quotidianamente il ramo sul quale è seduto.

Ad ogni modo, di tutto quanto accaduto in queste settimane, due cose mi hanno colpito maggiormente. La capacità di Salvini di dilapidare una forza che sembrava inattaccabile. E’ quello che succede a chi è troppo sicuro di sé, ma occhio che l’uomo non è sconfitto, e soprattutto non è sconfitto l’odio che a seminato nel paese in questi anni. E comunque diffidare sempre da chi chiede per sé pieni poteri, come Mussolini all’indomani della marcia su Roma.

Al seconda è Renzi. Il fatto che sia assurto a salvatore dei destini della patria mi dà alquanto fastidio, non per la cosa in sé, ovvio, ma perché non riconosco all’uomo alcuna della capacità che tanti, troppi, continuano ad attribuirgli anche in queste ore. Resta, a mio avviso, un arrogante, spocchioso, opportunista che in questa fase ha solo intravisto il modo di continuare a contare sulla scena politica nazionale. Se fosse stato un uomo che teneva alle sorti della nazione, non sarebbe stato a mangiare popcorn fino a dieci giorni fa.

Vabbè, io ho finito, chiudo il libro dei sogni e torno alla dura realtà. Spero solo che ciò che si sta provando faticosamente a costruire in queste ore non si trasformi nell’ennesima occasione persa per rendere il nostro Paese, il Mondo in cui viviamo, un posto migliore.

 

 

La posta in gioco

Non è la prima volta che ne parlo, ma forse è il caso di chiarire sempre meglio, prima  di tutto a me stesso,  la posta in gioco alla prossime elezioni europee e, nel caso in cui il governo non dovesse durare troppissimo (anche oggi i due vicepremier se le sono menate di santa ragione, vai a vedere se per finta o meno, ma quest’è), alle prossime elezioni politiche che si svolgeranno nel nostro Paese in un futuro forse non troppo lontano.

Piccola digressione prima di continuare il mio modestissimo ragionamento. Quanto durerà il governo nessuno lo sa. Forse non tanto quanto sarebbe necessario per far capire agli italiani il significato del disastro che si sta perpetrando dal punto di vista economico, sulle spalle dei più deboli che di più pagheranno le scelte scellerate in campo economico. La narrazione della ripresa che c’è ma che in realtà NON c’è può anche durare per qualche mese, ma come fu per Renzi alla fine i conti NON tornato e le persone che vivono in condizioni di disagio economiche, o che semplicemente vedono che le promesse mirabolanti del governo di turno non sono state mantenute,  ti abbandonano davanti alla realtà delle tasche vuote o dei sogni infranti. Renzi ci ha messo due anni a passare dal 40% al 20%, inanellando nel frattempo batoste elettorali su batoste elettorali. Spero che succeda lo stesso con la Lega, per la quale si annuncia un exploit alle Europee e che potrebbe cavalcare l’onda lunga del successo per andare al voto anche in Italia. Ma se, come dicevo, ci sarà invece il tempo di far toccare con mano agli italiani il fallimento delle politiche economiche messe in atto dal presente governo,  non so se questo basterà a far cambiare idea agli italiani su Salvini perché ahinoi sta facendo leva sui sentimenti peggiori degli italiani. Sta alimentando la paura, che a sua volta genera altra paura, genera odio, genera richiesta di misure forti, e temo che per scardinare questa narrazione e nel contempo provocare una reazione civica e razionale nella testa degli elettori ci vorrà un po’ di tempo.

Per tornare al tema di fondo delle mie riflessioni, la settimana scorsa grande scandalo per la visita di Salvini in Ungheria, con tanto di foto trucissime dei due nazi che scrutano l’orizzonte da una torretta messa lì a sorvegliare il muro che divide l’Ungheria dalla civiltà.
Mi sarei un po’ stancato di sentire chi, non senza torto, ci mancherebbe, sta lì a menarsela sulla contraddizione insita nell’alleanza Paesi-di-Visegrad-Salvini. Contraddizione evidente nell’assoluta mancanza di volontà dei Paesi del blocco dell’est di farsi carico della ripartizione dei migranti in Europa, o dei neo-nazionalisti di non fare alcuno sconto all’Italia in tema di rispetto dei vincoli macrofinanziari imposti ai conti pubblici dalla UE. Ecco, mi sono stufato perché deve essere chiaro che Salvini della ripartizione in Europa dei migranti semplicemente se ne fotte. Il suo modello è Orban punto. Nel senso che, semplicemente, il fenomeno delle migrazioni si risolvono non facendo entrare più nessuno, e difendendo i confini con il filo spinato, e se serve con l’esercito, le motovedette che sparano ai barconi. E tutto ciò dovrebbe diventare possibile, nel disegno del nazionalista nostrano, dopo il 26 maggio con la fine dell’Europa.

Idem per le questioni inerenti i conti. Salvini, in questo sostenuto al 100% dai suoi servi scemi di M5S,  non ha alcun problema a sostenere misure economiche in debito e in deficit, dicendo che non pagherà i debiti. Perché è esattamente quello che farebbe se vincessero i sovranisti-nazionalisti-neonazisti il 26 maggio. Nazionalismo, del resto, che significa? Pensare la proprio stato, ai propri interessi, quindi basta con l’Europa dei vincoli, dei conti in ordine, basta Europa proprio. Questo è il progetto, inutile girarci troppo intorno. E guardate che queste posizioni, in fondo, sono condivise dai suoi elettori. Io ahimè ne ho un po’ intorno ogni giorno, e queste tesi sostengono. I debiti non si pagano, e non è mai morto nessuno. La moneta unica è una aberrazione, un non-senso economico e finanziario. Viva il protezionismo, viva i dazi, viva l’autarchia, viva la Nazione isolata dal resto del mondo. Padroni a casa nostra. Leggete Bagnai, il vero ideologo della Lega in campo economico, e poi ditemi.

Tornando al tema dei migranti, Salvini non si fa alcun problema ad attaccare Papa Francesco per le sue prese di posizione a favore dei migranti, proclamando la sua fedeltà a Ratzinger, a quanto pare ben imboccato da Bannon in persona, in linea con i conservatori più conservatori e razzisti e retrogradi degli USA, sostenuti dai lobbysti delle armi e dai guerrafondai a stelle e strisce. Questo rischia di diventare il nostro Paese, una sorta di USA con le pezze al culo, senza alcuna forza economica autonoma, preda dell’egemonia cinese o russa, a seconda di chi offrirà di più per comprare i migliori asset del paese.

E in vista delle elezioni europee quello che mi sorprende è la possibilità che il PPE prenda in considerazione l’idea di trattare con questa roba, anziché proseguire nell’espulsione e nell’allontanamento di Orban e dei suoi sodali. Me la vedo la Merkel trattare con Salvini, Le Pen, Orban e compagnia bella.

Quindi il 26 maggio tutta questa roba va fermata. A tutti i costi.

Va fermato l’inganno messo in campo da Salvini, che distrae le masse con la sicurezza, Fazio, i migranti, la castrazione chimica, i grembiuli a scuola. Mentre il suo disegno è la disgregazione dell’Unione Europea. Addio Spinelli, addio Ventotene.

Spazzati via, a breve

M5S saranno pure inaffidabili, ipocriti, opportunisti, quaquaraqua. Ma l’irresponsabilità che ha dimostrato ancora una volta Renzi non ha eguali. Non contento di aver già sperimentato il tanto peggio tanto meglio a Roma, dove la sua decisione di far cadere la giunta Marino con la firma dal notaio dei consiglieri comunali infami, traditori, vigliacchi la sta pagando sulla carne viva tutta la città, trasporta la stessa dottrina sul piano nazionale. L’apoteosi della deresponsabilizzazione, del cinismo politico, del parassitismo. Per cosa, poi? Come ha fatto male i suoi conti a Roma, Renzi fa male i suoi conti sulle spalle del Paese intero. E per favore finiamola anche con la favoletta di Renzi mal consigliato. Si è coltivato una corte dei miracoli che ragiona, parla, scrive, agisce a sua completa immagine e somiglianza. Pensiero e azione sono un tutt’uno per Renzi e gli scherani del turborenzismo. L’unica cosa che non hanno capito è che saranno spazzati via, come polvere sugli stivali, non appena gli italiani saranno chiamati nuovamente alle urne.

Una doppia assunzione di responsabilità

Quando i cittadini elettori esprimono un voto, quella scelta può assumere diversi significati a seconda di dove si posa lo sguardo dell’osservatore. O a seconda delle convenienze di chi si sente coinvolto in prima persona nell’affare.

Sul post-voto del 4 marzo, in questi giorni e in quelli futuri, se ne sentono e se ne sentiranno di tutte le risme. Confido nella saggezza del Presidente Mattarella per uscire vivi.

C’è chi dice di aver vinto e di avere il diritto di governare anche se non è maggioranza, c’è chi ha perso e vuole stare all’opposizione perché lì ritiene che sia stato messo dagli elettori, c’è chi ha perso ma non sente di dover autoescludersi da assunzioni di responsabilità. Si, nel voto di dieci giorni fa c’è tutto questo, e proprio dalla considerazione che non tutto è netto come sembra, o come qualcuno vuole farlo apparire, occorre ripartire per uscirne.

Metto subito le cose in chiaro: vista l’esperienza che vivo a Roma tutti i giorni, e vista la qualità dei personaggi di punta di M5S (Di Maio, Toninelli, Lezzi, Bonafede, Lombardi…), li considero (quasi del tutto) inadatti a governare in prima persona il Paese. Però gli altri vincitori delle elezioni sono i componenti della coalizione di centrodestra a trazione Salviniana, con il loro programma a base di “prima gli italiani”, “fuori gli immigrati”, “con la polizia senza se e senza ma”, “la flat-tax è equa”, “basta Europa” e questo mi basta. Di fronte alla (voluta) vaghezza di M5S su temi cardine quali immigrazione, sicurezza, Europa, vaghezza che però raccoglie consensi trasversali tanto da far ricordare l’ecumenismo della DC, riesco ancora a discernere tra razzisti, omofobi, fascisti, liberisti, populisti, antieuropeisti veri rispetto a chi raccoglie un voto di ribellione e protesta (non solo, ovviamente) rispetto a tutto quello che è stato fonte di delusione fino ad ora, soprattutto da sinistra. E proprio per la storia comune, anche recente, che caratterizza l’elettorato di M5S, di (parte del) PD, di LeU, allora credo che una strada comune vada trovata, se non vogliamo trovarci una destra becera e lepenista al Governo.

Certo, non a tutti i costi. O facendo ricadere i costi dell’operazione esclusivamente su uno dei possibili alleati.

In questi giorni l’arroganza di Di Maio sta assumendo livelli siderali. Aver ottenuto la maggioranza relativissima non implica automaticamente la possibilità di governare. Per lo più da soli. Se il 32 e rotti % degli italiani ha scelto M5S, il 68% NON ha scelto M5S e quindi non si può pretendere che le altre forze politiche si scansino e consentano la nascita di un governo monocolore. Non è un attacco alla democrazia rifiutarsi di collaborare con M5S, e basta con i piagnistei. La maturità politica, qualora raggiunta, implica dialogo, passaggi ufficiali, compromessi, nell’accezione più positiva del termine.

Di contro nel PD ancora bruciano, comprensibilmente, le immagine della diretta streaming del 2013 nella quale Bersani implorava M5S di assumersi una responsabilità per il bene del Paese mentre i suoi interlocutori godevano nell’umiliarlo (a dire il vero immagino abbiano goduto anche un bel po’ di persone NEL PD. Un nome a caso?). Così come è comprensibilmente difficile dimenticare gli insulti (a dire il vero reciproci) che il PD ha dovuto subire, a torto o a ragione, in questi 5 anni di legislatura e durante la scorsa campagna elettorale.

Allora, come provare ad uscirne?

Con due gesti responsabili e nel loro piccolo rivoluzionari, mi si passi il termine.

M5S faccia al PD una proposta ufficiale con 5 punti programmatici chiari e qualificanti sui quali provare a cercare una convergenza. Lavoro, ambiente, diritti, scuola e ricerca, lotta alla criminalità. Se le idee sono quelle di Tridico, credo che bisognerebbe almeno andare a vedere le carte fino in fondo. Di Maio e i capetti vari facciano un passo indietro come gesto di buona volontà e indichino come premier una personalità di alto profilo esterna al Movimento.

Sulla base di questa proposta il PD dia un segnale forte di discontinuità con il passato e utilizzi lo strumento del referendum interno (previsto dallo statuto e mai utilizzato) convocando iscritti ed elettori delle primarie (le ultime o le ultime due) mediante gli elenchi (anche questi mai utilizzati, se non per rompere i cabasisi durante le campagne elettorali). Il referendum l’ha fatto l’SPD in Germania per decidere se sostenere il governo Merkel o meno, non vedo perché non potrebbe essere fatto dal PD per analogo motivo.  Se dal referendum scaturirà un no, avranno deciso gli elettori del PD.

Con l’avvertenza che, si dica no subito o no dopo il referendum, ci si assume la responsabilità di mandare al governo fascisti, omofobi, razzisti, populisti, antieuropeisti, liberisti. In Francia, davanti al pericolo Lepenista, le forze democratiche non hanno avuto dubbi. Forse è il caso di prendere esempio.

Analisi post voto (nel senso che tocca andare in analisi)

Lo ricordo bene il 1994, eccome se lo ricordo. Dopo Tangentopoli, i governi lacrime e sangue, le vittorie del centrosinistra a Torino, Napoli, Roma, Trieste, Catania pensavamo davvero che il Paese avrebbe scelto la gioiosa macchina da guerra guidata da Achille Occhetto. E invece arrivò Berlusconi, che riuscì ad intercettare il voto dei moderati, sdoganò i fascisti, ci asfaltò e vinse le elezioni, con tutto quello che ne è conseguito in questi 24 anni.

Quella fu una mazzata tremenda. Lo ricordo eccome. Non ci capacitavamo, a sinistra, di come fosse stato possibile che gli italiani avessero fatto una scelta di quel tipo. Ci mettemmo mesi ad assorbire la mazzata. L’incredulità, il rifiuto della realtà durò a lungo. Ci sentivamo diversi, culturalmente, moralmente e intellettualmente superiori (in parte sbagliando, ovviamente), rispetto a chi aveva fatto una scelta tanto dirompente quanto inaspettata. E il Paese era diviso, letteralmente in due, a sancire questa (presunta?) diversità tra i blocchi di berlusconiani e antiberlusconiani. Nemici da guardare in cagnesco, gli altri. Alieni. Stranieri.

Oggi, all’esito delle elezioni politiche, niente di tutto questo., almeno per me. Il risultato era abbastanza scontato, si trattava solo di stabilire i rapporti di forza entro un quadro sostanzialmente noto. E, a differenza del 1994, non vivo quel medesimo stato di conflitto rispetto a chi ha espresso un voto diverso dal mio. Sia chiaro, sono deluso, smarrito, e, manco a dirlo, continuo a sentirmi profondamente diverso dai fascisti (quelli veri che purtroppo hanno avuto modo di partecipare alle elezioni) dai leghisti-leghisti che sono razzisti e omofobi fino al midollo (e non gli basterà la foglia di fico di un senatore di colore per sovvertire la realtà), dai grillini-grillini che hanno portato il cervello all’ammasso (vedi alle voci vaccini, complotti, scie chimiche), dai fan acritici di Renzi, da quelli che cantano a squarciagola “meno male che Silvio c’èèèèèèè”. Però poi l’analisi dei flussi ha dimostrato come l’elettorato si sia spostato verso i vincitori delle elezioni: sostanzialmente chi in passato ha votato nel centrodestra ha scelto Salvini, chi ha votato centrosinistra ha scelto M5S. Quindi tra chi ha scelto il partito di maggioranza relativa, a torto o a ragione, c’è anche un pezzo del “popolo di sinistra” che è stato fianco a fianco con molti di noi negli anni passati e, nonostante la loro scelta, non riesco a sentirli indistintamente tutti stranieri, al pari di quanto invece avvenne con chi scelse Berlusconi, Lega Nord e i neofascisti nel 1994.

Come si è arrivato a tutto ciò, al risultato elettorale che ha anche sancito la sostanziale estinzione della sinistra, per come siamo stati abituati a conoscerla, nel nostro Paese?

Si possono individuare motivi esogeni e motivi endogeni, che in parte si rincorrono e intrecciano indissolubilmente.

La diffidenza nei confronti dell’Europa ha radici lontane. La tassa sull’Europa di Prodi (in parte restituita) fu pagata magari malvolentieri ma con la fiducia e la speranza, per molti, che sarebbe servito a creare un’Europa migliore, più vicina ai cittadini, più attenta ai bisogni dei singoli. E invece è bastato l’avvento dell’Euro, passaggio epocale ma gestito, ai tempi, con i piedi dal governo di centrodestra, per sovvertire completamente il quadro e nutrire una sempre crescente diffidenza nell’Europa, che è finita per apparire matrigna, sanguisuga, capace solo di imporre vincoli di bilancio, impotente davanti alle tecnocrazie, buona solo a legiferare sul parmesan cheese, nella maggior parte a discapito di aziende, produttori, consumatori italiani. Da qui il primo elemento di successo delle forze antieuropeiste e di conseguente crisi nella rappresentanza della sinistra, che è apparsa più come baluardo dello status quo che forza capace di mettersi alla guida di un processo di riforma profonda delle istituzioni europee. Metteteci pure che effettivamente, in una certa fase storica, buona parte della sinistra poi confluita in LeU ha effettivamente sostenuto il pareggio di bilancio in Costituzione e l’applicazione bovina dei vincoli di bilancio imposti da Bruxelles ed ecco che e uova iniziano a rompersi e la frittata a formarsi. E infatti le uova raramente si rompono da sole, quindi l’imposizione serrata dei vincoli di bilancio ha imposto la scrittura della riforma Fornero (anch’essa votata da “quellidisinistra” che sostenevano il governo Monti),  la madre della maggior parte delle recriminazioni (per non dire di peggio) di moltissimi lavoratori italiani che sono a loro volta sfociate nel voto a Lega e M5S.  Sono strasicuro che ciascuno di voi conosce qualcuno che ha votato Lega per il semplice fatto che, tra le sue promesse (realizzabili, secondo il Bagnai-pensiero, uscendo dall’Euro e ricominciando a stampare moneta…), c’era quella di abolire la riforma Fornero e consentire quindi di andare in pensione ad un’eta decente e soprattutto evitando di arrivare con la badante o il catetere sul luogo di lavoro.  Al solito il punto di forza, o di debolezza, di chi fa politica è la credibilità, e sei sei visto come parte del problema non puoi pensare di essere la soluzione del problema.

E siccome un problema se ne porta sempre appresso un altro, l’innalzamento dell’età pensionabile ha allontanato l’ingresso nel mondo del lavoro di giovani, un circolo vizioso che alimenta la precarietà (manco ce ne fosse stato bisogno vista la situazione già critica che negli anni si è venuta a creare post riforme Treu, Biagi e, da ultimo, Jobs-Act) mentre i diritti dei lavoratori si assottigliano sempre più, fino a scomparire quasi del tutto nelle realtà lavorative post-fordiste alla Amazon, nel settore servizi, fino alla scuola (a tal proposito, se volete approfondire, vi consiglio di leggere Marta Fana).

Altro uovo che ingrandisce la frittata, rotto per gli urti con le altre due. E anche in questo caso gli elettori hanno reputato che la frittata fosse stata fatta anche con la complicità della sinistra, quindi meglio cambiar cuochi. Cuochi nuovi, magari inesperti, sperando che almeno un piatto di cacio e pepe la sappiano cucinare.

Insomma, mi sembra appropriato il concetto espresso da Ennio Fantaschini in Ferie d’Agosto.

Come uscirne, da dove iniziare?

(Apro una parentesi. Qui si parla di LeU, ma personalmente ho diviso il mio voto tra LeU e Potere al Popolo quindi due parole su di loro voglio spenderle. Li ho votati  al Senato e nonostante non fossi d’accordo al 100% con le loro proposte, nonostante la sceneggiata di Viola Carofalo al Brancaccio abbia contribuito, non da sola,  al fallimento di quel progetto che, con tutti i suoi limiti, poteva segnare un punto di svolta nella campagna elettorale e quindi per l’esito delle elezioni, nonostante non abbia condiviso le azioni messe in atto per impedire fisicamente alle persone, in questo caso Massimo D’Alema e Susanna Camusso, di prendere parte ad un convegno all’Università di Napoli, manco fossero stati di Forza Nuova o Casapound. Però ho scelto di sostenerli perché ritengo che rappresentino al meglio quella funzione di mutualismo sociale che un tempo era appannaggio dei partiti di sinistra e che oggi si è persa, perché si sono messi dalla parte dei più deboli con azioni concrete e non a chiacchiere, perché sono dalla parte dei migranti senza se e senza ma. Detto questo, non vedo pure per loro cosa ci sia stato da festeggiare per l’1 e spicci percento raccolto alle elezioni, forse davvero s’era bevuto troppo, la sera delle elezioni. Pur non avendo responsabilità dirette come la sinistra che ha partecipato al governo del Paese, sono stati travolti dalla stessa onda e quindi spero PaP e chi ha ha votato per loro si senta parte del processo di ricostruzione della sinistra in italia, con umiltà e senza preconcetti, perché stanno all’anno zero come tutti noi).

Come ho avuto modo di scrivere oggi su FB commentando un articolo del compagno Cardulli, lungi dal cedere a derive rottamatrici, se è vero che, probabilmente, non c’è tantissima differenza tra il 3% o il 6%, il risultato è stato ampiamente sotto le aspettative e credo che comunque non abbia aiutato il fatto che una parte consistente di chi ha incarnato “il problema” fosse in prima fila a rappresentare LeU. C’è una sparuta rappresentanza in Parlamento, non si sa quando si voterà di nuovo, se tra tre mesi o tra cinque anni, e in genere è più facile che una forza politica sia rappresentata, anche mediaticamente, da chi sta in Parlamento rispetto a chi ne sta fuori. Ecco, io non vorrei che in questi mesi, e magari per cinque anni , LeU fosse rappresentata principalmente (con tutto il rispetto che nutro per la loro storia e l’affetto personale che posso sentire personalmente) da Bersani, Epifani, Stumpo, Grasso, Errani, Speranza, Fassina. Credo che in tempi abbastanza rapidi vada favorito il profondo rinnovamento anche della rappresentanza parlamentare, consentendo a compagne e compagni che non sono stati eletti di crescere anche assumendosi la responsabilità di rappresentare la sinistra in Parlamento.

Certo non basta il rinnovamento delle classi dirigenti per provare a riconquistare la fiducia di chi, sentendosi abbandonato, ha deciso di scegliere altro. Ma è un primo passo. Sarà una strada lunga, lunghissima, durante la quale bisognerà mettere in discussione tutto. Sé stessi in primis, e poi metodi, riti, luoghi di discussione, analisi, certezze. Tutto. Ben vengano le assemblee convocate in questi giorni e quelle che verranno, momenti catartici nei quali è bene che nulla rimanga nell’alveo del non detto. Ma ovviamente non sarà sufficiente. Ne parlavo con il compagno Simone, forse davvero occorre ricominciare dalle Case del Popolo. Forse davvero, con tutte le difficoltà ulteriormente amplificate dalla disintermediazione, dalle nuove forme di comunicazione e partecipazione, occorre ricominciare da un partito strutturato che apra i circoli ai quartieri per offrire non solo un luogo fisico di discussione ed elaborazione ma che sappia far rete per intercettare i bisogni di chi è rimasto indietro. Di sicuro occorre occupare permanentemente e strutturalmente i luoghi del conflitto e rappresentare a livello parlamentare, con atti concreti,  le istanze dei lavoratori, de precari, degli insegnanti, di chi è rimasto indietro, di chi ha visto crescere sulla propria pelle le disuguaglianze, la precarietà, la paura nel futuro (senza però dimenticare la parte sana del tessuto produttivo, le imprese che non delocalizzano , gli imprenditori che senza paternalismo considerano i suoi dipendenti parte della sua famiglia, le aziende che innovano, che rispettano l’uomo e l’ambiente). Paradigmatico, in questo senso, il servizio di #PropagandaLive fuori dai cancelli della fabbrica FCA di Pomigliano d’Arco, patria di Luigi di Maio. Alla domanda di Diego Bianchi sul perché la sinistra non sta più fuori da quei cancelli, la risposta dell’operaio racchiude tutto: perché ha perso la strada.

Ritrovarla non sarà semplice, per niente.  Riconquistare la fiducia di chi si è sentito tradito  sarà un’impresa titanica, che probabilmente si compirà, se si compirà, in non meno di un decennio. Troppa la delusione generata in chi ha sempre votato a sinistra e oggi ha scelto altro. Però secondo me esistono ancora praterie a sinistra, ma non potremo riconquistarle se non sapremo rappresentarla con persone credibili sulle quali far camminare idee, pensieri, azioni.

Ritroviamoci, e forse dal letame nasceranno fiori, come diceva uno bravo.

Pensieri lunghi, diceva un altro ancora più bravo. Lunghissimi.

 

 

 

Tra piccole iene (solo se conviene)


L’appello che Veltroni rivolge a Renzi affinché ci ripensi sull’Italicum, appello che tecnicamente mi vede d’accordo, mostra tutta la pochezza dei padri costituenti della Quarta Repubblica (sarà la quarta? ho perso il conto).

Perché, come è ovvio, le leggi elettorali non si pensano per il Paese, ma per la maggioranza di turno. E siccome i tempi del 40% sono andati, e sono lontanissimi ( you can fool some people sometimes, but you cant’fool all the people all the times, cantava qualcuno), ci si accorge adesso che regalare il governo del paese al partito che al primo turno prende il 25% tra i votanti (che con l’astensione al 40% equivale al 15% tra le cittadine e i cittadini tutti) forse non è il massimo. Che poi i possibili vincitori delle prossime elezioni possano essere M5S è del tutto casuale per il ragionamento veltroniano. O forse no.

Ma che volete farci, alle iene del partito del Presidente non conviene più, e allora i corifei che magnificavano le proprietà salvifiche dell’Italicum, mentre qualcuno sommessamente faceva presente che quella legge così com’era stata pensata era da modificare pesantemente, oggi ci ripensano a loro volta. Continuo ad essere d’accordo con l’amico Walter Tocci, il quale da tempo sostiene che questa classe dirigente, e l’attuale compagine parlamentare, non ha alcuna autorevolezza per cambiare sia la Costituzione, sia il Paese.

Latina detta la strada?

A Latina in questa tornata di elezioni amministrative sta avvenendo un piccolo grande miracolo. O forse non non si tratta di un miracolo, ma semplicemente del risultato di un lavoro fatto bene. E cosi succede che Damiano Coletta, medico da sempre impegnato nel volontariato, nello sport, nelle attività culturali della città, a capo della Coalizione Latina Bene Comune, domenica ha moltissime probabilità di diventare il primo sindaco di sinistra di Latina.

Latina la nera, amministrata solo da democristiani o fascisti, da sempre. Latina che ha visto il centrosinistra prendere solo mazzate, con tutti i suoi migliori (?) esponenti: Mansutti, Di Resta, Moscardelli due volte e adesso Forte. Mazzate che non sono mai servite (e tutt’ora non servono) ad azzerare una classe dirigente fallimentare del PDS, dei DS, del PD, cittadina e provinciale, che però ha avuto sempre la furbizia di legarsi al carro dei vincitori. Adesso tutti renziani, figuriamoci se ammetteranno fino in fondo i propri errori. Ma questi, decisamente, sono fatti loro.

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E così succede che da dopo l’estate inizia a prendere corpo la coalizione LBC, che sfrutta al meglio il radicamento sociale di molti dei suoi protagonisti principali, già da tempo attivi in città. Si unisce alla coalizione la parte migliore della sinistra cittadina, molti fuoriusciti dal PD dopo aver provato a cambiarlo, inutilmente, da dentro. Condite il tutto con l’evaporazione di M5S in città che non presenta nessuno a questa tornata elettorale e che però ha tre parlamentari epurati da Grillo e allora capite come LBC possa aver costruito il suo successo, al di là del risultato di domenica.

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È un modello replicabile altrove, e su scala più ampia? Probabilmente si. Prendete Roma. La generosità di Stefano Fassina non è  bastata ad invertite la tendenza negativa della sinistra che non riesce più ad intercettare il proprio elettorato laddove si presenta in forme dal contenuto innovativo dubbio e in più non avendo risolto a priori il nodo dei rapporti col PD. Aggiungeteci poi l’effetto traino di un candidato M5S forte, se non altro per la carica simbolica che assume la competizione per la Capitale del Paese ed ecco che la sinistra, pur continuando a porre questioni fondamentali per la costruzione di una città e di un paese più attento alla giustizia sociale, alla legalità, al rispetto dell’ambiente, raccoglie pochissimo.

Potrebbe, quella indicata da LBC, la strada? Potrebbe essere la fusione calda di pezzi di società, movimenti, liberi cittadini che condividono un progetto e i suoi valori fondativi senza alcun riferimento ai partiti la scelta vincente? Potrebbe, certo. Le elezioni amministrative hanno mostrato la debolezza intrinseca dei partiti di sinistra, vecchi, nuovi e nuovissimi. Forse potrebbe essere più utile, in questa fase, aggregare associazioni e movimenti anche a livello nazionale senza una struttura di partito vero e proprio, magari sfruttando l’appuntamento del referendum di ottobre per creare massa critica e coinvolgere pezzi di società che sviluppano l’orticaria solo a sentire nominare i partiti? Vedremo.

Nel frattempo, in bocca a lupo a Damiano Coletta e agli amici di Latina Bene Comune,

Gli smemorati di Piazza Ungheria

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Nel 2008, all’epoca del ballottaggio Rutelli-Alemanno, non ero residente a Roma. Non mi trovai, quindi, nell’imbarazzo della scelta. Che poi imbarazzo non sarebbe stato, sia chiaro. Con tutte le remore sulla candidatura di Rutelli, che già allora era percepita come una vera e propria schifezza anche nel campo del centrosinistra, la pregiudiziale antifascista sarebbe stata prevalente su qualsiasi altra considerazione. Non fu così per tutti, però. Molti elettori del centrosinistra di quegli anni decisero di punire Rutelli, e il PD, per dare un segnale di discontinuità. Perché si erano stancati delle scelte calate dall’alto, dei capibastone, delle lotte intestine et similia. Questa fu la scelta che fecero anche molti elettori non propriamente di centrosinistra, o del PD. E che ovviamente fecero gli allora elettori di centrodestra. Sono passati otto anni, e le analisi dei recenti flussi elettorali dimostrano nei fatti come sia cambiato l’elettorato del PD (la mutazione genetica è sotto gli occhi di tutti), che a Roma è il primo partito solo nel I e II municipio, quelli dove si vive meglio (dove anche la sinistra prende più voti che altrove in città, ed è un fatto sul quale meditare per bene). Capita così che oggi proprio quelli che nel 2008 sostennero, con motivazioni “punitive” nei confronti dell’avversario, Alemanno, anziché Rutelli (e l’amministrazione Alemanno ha dato il colpo di grazia ad una città che già non era uscita in forma dalle amministrazioni precedenti), si scaglino contro la medesima scelta che potrebbero fare molti elettori romani votando Raggi anziché Giachetti (che per inciso era capo di gabinetto di Rutelli, cioè il più stretto collaboratore del candidato segato nel 2008, curioso no?) “per dare una lezione al PD”.

Il che, a mio avviso, ci starebbe pure. La vicenda Marino grida ancora vendetta per la forma vigliacca nella quale si è consumata. E quei vigliacchi che firmarono dal notaio sono stati i più votati nelle liste del PD, il che la dice lunga anche sulla natura del suo elettorato. Non voglio parlare di Orfini perché non mi vengono proprio le parole adatte senza insulti. In definitiva appare evidente, agli occhi di molti, che il PD a Roma sia sempre lo stesso che ha consentito, diciamo per omesso controllo, che prendesse piede Mafia Capitale. E a quale titolo, oggi, dovrebbero possedere l’autorevolezza per guidare la città?

Questo un aspetto.

Poi ci sono le cose da fare, a Roma, E quelle da non fare. Giachetti, e il PD, non hanno alcuna intenzione di rispettare la volontà degli italiani sull’acqua pubblica. Non hanno alcuna intenzione di dire basta al consumo di suolo. Non hanno alcuna intenzione di recedere dalla volontà di privatizzare le municipalizzate. Non hanno intenzione di fermare la speculazione edilizia, vedi il progetto complessivo delle stadio della Roma e le Olimpadi.  Non hanno intenzione di bloccare un progetto dannoso per l’intera regione come l’Autostrada a pagamento Roma-Latina (e opere connesse) e la bretella Cisterna-Valmontone.

Ieri Stefano Fassina ha proposto cinque punti ai due candidati al ballottaggio:

I punti sono «la rinegoziazione del mutuo con cassa depositi e prestiti, il referendum sulle Olimpiadi, un’edilizia che punti alla riqualificazione senza altro consumo di suolo, la conferma dell’attuale assetto proprietario di Ama, Atac, Acea, Farmacap, Assicurazioni di Roma e l’attuazione del referendum sull’acqua pubblica, risorse aggiuntive per gli asili nido e le scuole dell’infanzia».

A pare già evidente quale dei due contendenti sia più vicino a tali necessità.

Ciascuno farà la propria scelta, in autonomia, con trasparenza e senza nulla a pretendere. Mantenendo peraltro intatte tutte le remore che si nutrono su M5S.

Ma questa, come direbbe qualcuno, è Roma.

Questione di prospettive

Popolino centra il punto:

Con un certo tipo di leader, un Pd che parla ai delusi della destra può valere il 40 per cento, dicono i sondaggi. Io penso che, con un altro tipo di leader, un Pd che – banalmente – fa il Pd può valere il 40 per cento senza per questo dover attirare i delusi della destra: perché li recupera lì dove li ha più vicini, a sinistra, come il risultato di Grillo ha dimostrato: e io non penso davvero che alle ultime elezioni il Pd non abbia vinto perché non ha parlato agli ex elettori del Pdl, penso che non abbia vinto perché è stato vaghissimo sulla sua idea di Paese, perché si è fatto fregare da sinistra tutti temi che ha sottovalutato, e semmai perché non è stato sufficientemente alternativo ai suoi avversari.