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Leader o caporali

Riforma elettorale: Renzi tenta l?intesa con Berlusconi

In questi giorni si celebrano (!) i vent’anni di Berlusconi in politica. Pensavo bastassero e avanzassero, ma evidentemente non è così. È alquanto sconfortante notare come Berlusconi e Renzi, suo alter ego dalla parte opposta della barricata (fatte le dovute differenze), si stiano giocando i loro destini di leader sulle spalle del Paese. Le modalità con le quali si stanno conducendo le trattative per arrivare ad una nuova legge elettorale sono oscene.

Berlusconi non ha problemi particolari nel suo simil-partito: ordina e si esegue. Anche perché, parliamoci chiaro, questa pseudo-riforma della legge elettorale fa bene solo a lui, che riunirà tutto il mondo del centrodestra, magari con la Lega al seguito, pur di arrivare al fatidico 37%. E in quella partita si giocherà tutto il suo futuro, alla soglia degli ottant’anni e da pregiudicato.

Dall’altra parte Renzi, che pur di passare alla storia come il leader (?) capace di portare a termine un percorso di riforme è disposto a far approvare qualsiasi riforma, buona o pessima che sia. Ed è disposto a portare alle estreme conseguenze lo scontro interno al PD (e se non sono d’accordo che fai, mi cacci?), forte del consenso delle primarie dell’otto dicembre, interpretato come una delega in bianco.

Ecco, tutto ciò serve ai leader (?), ma non al Paese. Nella migliore delle ipotesi, se andasse a votare l’80% degli aventi diritti, con una legge come quella sulla quale si deve prendere o lasciare  si potrebbe formare una maggioranza di governo con una coalizione che racimola il 37,1% dei consensi. Questo significa che governerebbe una coalizione che gode del consenso del 30% del Paese.

Il buon senso suggerirebbe di fermarsi. In una recente trasmissione radiofonica un politologo (non mi ricordo chi) asseriva che in tempi come quelli che stiamo attraversando è inevitabile sacrificare la rappresentatività per la governabilità. Io penso che se l’Italia è arrivata al punto in cui si trova è proprio per assenza di rappresentatività di buona parte dell’attuale classe dirigente. E continuare su questa china significherà perpetuare un meccanismo perverso che alimenterà ulteriormente il disagio, l’insofferenza, la disaffezione.

Tutti hanno tuonato (e molti hanno finto) contro le liste bloccate. Se passa la riforma Renzi-Berlusconi ce le ritroveremo tali e quali a prima, e magari riabiliteremo anche Calderoli. Come dicevo c’è un problema di premio di maggioranza, e anche la nuova legge rischia di essere incostituzionale. C’è il problema delle soglie di sbarramento. C’è il problema della ridefinizione dei collegi. C’è il problema di come tutto questo si sposa con la riforma del Senato , in generale, del Titolo V della Costituzione.

E c’è il problema, piccolo piccolo, di rimettere in campo, per l’ennesima volta, Berlusconi.

Insomma, ce n’è abbastanza per prendere in considerazione un modello diverso. DI legge elettorale e di percorso politico. Merito e metodo.

Proposte alternative non mancano. Si riparta da lì e si cerchi il consenso in Parlamento.

Per il bene del Paese e non per la gloria dei leader. Vecchi e nuovi. Abbiamo già dato.

 

Niente e il contrario di niente

Letta e tutto il governo si sono impegnati a cambiare la legge elettorale. Quando? non si sa. Prima delle riforme (quali?), dopo le riforme (quando?). Non è dato sapersi. Intanto si prova a tornare al Mattarellum, ed è una delle ipotesi che lo stessa Letta aveva messo in campo. Ma la proposta di Giachetti e firmata da un bel po’ di deputati del PD è intempestiva, dicono. E così la maggioranza del gruppo parlamentare alla Camera del PD voterà contro una proposta che viene da altri deputati del PD. Una proposta sacrosanta, peraltro. E perché? perché altrimenti cade il governo. Che pena.

Porcellum, maialinum, macellum, bersanellum. In sintesi, schifìum.

Della riforma-truffa della legge elettorale ne parla anche Pippo, qui.

Dal conflitto d’interessi, insomma, siamo passati alla convergenza di interessi. Ne beneficiano tutti: quelli in crisi di consenso (come Alfano), quelli dalla coalizione perennemente incerta (Bersani), quelli che si ritroveranno con pochi voti, come al solito, ma nelle condizioni di determinare gli equilibri del nuovo governo e di prendersi tutto il cucuzzaro (Casini).

Del resto, il ritorno in grande stile dei personaggi che hanno calcato le scene in questi anni, in tutti gli spazi disponibili, ci dice anche che nessuno crede a una legislatura di rigenerazione, ma piuttosto a una legislatura che si regga sul patto tra forze politiche già esistenti (e i loro attuali rappresentanti).

Perché siamo tornati indietro di vent’anni, è chiaro?

Quindi, niente più bipolarismo, niente revisione sostanziale del bicameralismo (si parla di un pasticciatissimo «bicameralismo eventuale»). Però i partiti potranno indicare sulla scheda il nome del candidato premier. Salvo poi sceglierne un altro, se nessuno dei partiti dovesse avere la maggioranza.

E pensare che il Pd era nato per un bipolarismo forte (addirittura un bipartitismo, in una prima fase), che non ci piaceva più l’indicazione del premier sul simbolo, che tenevamo moltissimo alla governabilità e che soprattutto volevamo offrire ai cittadini impegni chiari, nitidi e inequivocabili prima delle elezioni (non gli accordi di Palazzo dopo le consultazioni). E per quanto riguarda la nostra famosa linea, si rileva che in due anni siamo passati dall’uninominale a doppio turno, al modello ungherese, a quasi sostenere (ma senza troppa convinzione) il ritorno al Mattarellum e, infine, a un proporzionale leggermente corretto.

Quanto alle scelte dei cittadini rispetto ai loro rappresentanti, le liste saranno bloccate, e non ci saranno preferenze. Secondo voi, i candidati, chi li deciderà?

A sentire il Franceschini di ieri, e il suo violento attacco alle primarie per scegliere i parlamentari, saranno quelli come Franceschini.