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L’odio

L’altro giorno ho postato un docufilm, a mio avviso bellissimo, su Napoli. Quattro episodi, uno sulla convivenza con i rom, sui pregiudizi che li circondano, sull’integrazione, o presunta tale. La notizia che giunge sempre da Napoli, oggi, mi sconvolge. Alla conclusione delle indagini sui roghi nei campi rom avvenuti nel dicembre del 2010, emerge una verità tanto triste quanto crudele. E vile. I genitori, italianissimi, dei bambini, italianissimi pure loro, che frequentavano le scuole della zona, hanno commissionato alla camorra l’incendio dei campi per evitare che i piccoli rom potessero frequentare la scuola con i propri figli. A costo di sterminarli. Tutti. All’insegna di un odio razziale che non guarda in faccia nessuno. Avevano provato quei genitori, con le buone o forse no, a convincere il dirigente scolastico a cacciare i piccoli rom dalla scuola. Ma non ci sono riusciti. E allora ci si rivolge alla camorra, all’antistato che si fa stato nella mentalità di chi conosce solo una legge, quella del più forte, quella della violenza, quella della sopraffazione. E pure se sono stati carcerati, quella camorra, quei camorristi hanno vinto, perchè a loro ci si rivolge quando si hanno problemi, a torto o a ragione. Ed è sconfitto lo stato, che sa offrire solo repressione, parole d’odio (vedi chi ci ha governato fino a qualche mese fa, vedi molti sindaci che ci governano ancora oggi), mentre l’ascolto, l’aiuto, la solidarietà è nelle mani del volontariato, delle associazioni, della chiesa. Altro che tagli, altro che spending review. In questi posti occorrerebbe decuplicarla, la spesa pubblica dedicata a progetti di integrazione.

Una storia del sud

Na tazzulella ‘e cafè…cu ‘a sigaretta ‘a coppa pe’ nun vedé…
S’aízano ‘e palazze, fanno cose ‘e pazze, ce girano, ce avòtano,
ce jéngono ‘e tasse… E nuje passammo ‘e guaje, nun putimmo suppurtá…
e chiste, invece ‘e dá na mano, s’allisciano, se váttono, se mágnano ‘a cittá!…

Il mio amico Gaetano ha studiato, è ingegnere civile. Vive in un paese alle porte di Napoli, uno di quei posti che se non ci nasci non puoi capire.  Vuole fare la professione, deve essere un vizio di famiglia. Padre geometra, fratello ingegnere pure lui. Si laurea presto presto e inizia a lavorare in proprio. Le case si costruiscono, dalle sue parti. E lui fai calcoli per case a tre piani che saranno costruite in una settimana, alla faccia del cemento che deve maturare, tanto, ingegnè, ce mettimm’ ll’additivo. Tutto abbusivo. Poi ci pensa il proprietario a sanare la questione, basta fare una DIA fasulla e oplà, la casa fatta da zero diventa la ristrutturazione di una casa degli anni ’40. Chi deve controllare non controlla. I vigili urbani, la ASL, l’ispettorato del lavoro. Tutti quanti. Quelli chiamano prima di arrivare, in cantiere. E allora il capomastro gli dice: jammuncenn’ a piglia’ o’ ccafè. E tutto si acconcia, come per miracolo.

Gaetano non ce la fa più a fare le case così. Se non vuoi fare le case per i privati puoi sempre provare a lavorare per le pubbliche amministrazioni. E Gaetano trova i politici, di tutti i partiti, destra e sinistra. Gaetà nun ce sta problema, io l’appaltino te lo do. Ventimila euro di incarico, cos’ non serve nemmeno la gara. A te 17 mila, a me tre mila. ci stai?

E poi ci sta la camorra. Quella ll’è pavà sempre.

Il vicino di casa di Gaetano è un onorevole, ma a quella porta lui non ci ha mai bussato. I colleghi di Gaetano invece fanno la fila davanti alla sua porta, e quello per toglierseli dalle palle qualche cosa gliela allunga. I colleghi ingegneri di Gaetano faticano tutti quanti.

Il padre gli ha insegnato che si può anche essere comprensivi, vedere quello che si può fare e quello che non si può fare. Però gli ha anche detto che appena vede una busta li deve sbattere fuori dalla porta, perchè quelli si fottono la tua libertà.

Gaetano se ne va. Non ce la fa più. Chiude lo studio e se ne va a Roma, a fare il precario. I colleghi ingegneri sono rimasti e s’aizan’ e’ palazz’.  Mi dice con tanta amarezza che le cose, da quelle parti, non cambieranno mai. Io vorrei dirgli che non è così, che una speranza ci sta sempre, ma forse non ci credo tanto nemmeno io.

È il destino di certe terre, perdere i loro figli migliori. Una terramadre un pò zoccola che prima ti dà la vita, e poi ti tradisce e ti toglie ogni speranza.