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Sanità nel Golfo di Gaeta

L’appello di Francesco Carta, coordinatore del Circolo PD “Giuseppe Piancastelli” di Formia.

Sarebbe auspicabile che i Comuni, e più in generale la politica, tornassero ad occuparsi seriamente della sanità. La nuova Direzione Aziendale se non è supportata dalle amministrazioni locali rischia di subire tagli lineari,  incoerenti  e  oggettivamente dannosi  per  i servizi del territorio.

La Regione Lazio ha deciso che dal 1° giugno  chiude l’ospedale di Gaeta.  La struttura è stata resa complementare al l’ospedale di Formia  con lavori costosi, in alcuni casi  ancora in atto. A Gaeta si fanno interventi chirurgici di bassa intensità, piccola chirurgia, cataratte, ernie, ecc. Formia resta una struttura per alta intensità di cure con interventi chirurgici ed ortopedici maggiori. Il trasferimento a Formia dell’attività di Gaeta finirebbe per creare liste d’attesa insopportabili.

La chiusura del reparto di post-acuzie di Gaeta  e la disposizione di posti letto di pneumologia a Formia travolgerebbe letteralmente il reparto di Medicina. Intanto a Gaeta continua l’eterno cuci e scuci dei lavori. Malattie Infettive, dopo la bella spesa di un milione di euro chiude.  Le sale operatorie, gli ingressi attualmente in ristrutturazione, il reparto di day surgery, due piani dell’ospedale comprese facciate e  parcheggi, il tutto costato due milioni e mezzo di euro, sarà tutto chiuso.

Nel 2010 gli interventi chirurgici minori effettuati a Gaeta sono stati: 700 interventi di cataratta e 445 di piccoli interventi di cui circa 300 di ernie addominali. Il trasferimento di questa attività a Formia produrrà un sovraccarico delle sale operatorie con liste d’attesa insopportabili.

L’ospedale di Formia non ha più spazio e per ottenerlo sarà necessario effettuare  altri lavori su quelli recentemente realizzati.  Dunque siamo nella navigazione a vista con costi superiori alle spese correnti. Ma c’è un altro capitolo che va preso in seria considerazione: i lavoratori precari.  Solo i medici sono 170, alcuni vanno avanti dal 2007 con contratti che scadono ogni sei mesi. Gli operatori, spesso provenienti da altre USL che ne sollecitano la definitiva collocazione, non hanno la necessaria sicurezza per operare con serenità.

Ci sono reparti con organici di trenta anni fa che oggi rispondono a bacini d’utenza di oltre 200 mila residenti e in molti casi restano rimaneggiati perché il personale che va in pensione non viene sostituito.

Ciononostante è stato possibile, e lo è tuttora,  rispondere alle esigenze del territorio con qualità ed efficienza, almeno per quanto riguarda l’emergenza. Ora però siamo ad uno snodo  cruciale sul quale è necessario agire con il massimo della sinergia, delle competenze e delle funzioni  tra amministrazioni locali, operatori e cittadini.

E’ necessario che la conferenza dei Sindaci aiuti la Direzione Aziendale rappresentando alla Regione Lazio le necessità dei  territori e gli obbiettivi più indispensabili. La politica deve avere uno scatto di reni occupandosi del diritto alla salute dei cittadini e non del trasferimento di questo o quell’ infermiere da un reparto all’altro oppure di qualche appalto da gestire.

E’ necessaria una svolta. E’ possibile che i Sindaci e i Consiglieri Comunali incontrino gli operatori e i cittadini per discutere insieme il da farsi?

Questa, appunto, sarebbe una svolta!

 Francesco Carta