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L’iperuranio

Pensare che il discrimine tra partite IVA vere o fasulle possa essere il reddito di 18.000,00 € lordi l’anno (!) è una fesseria immane che dà il segno esatto di quanto l’attuale classe dirigente, fatta per lo più di “anziani” ipergarantiti e col posto fisso, non abbia la minima idea di come sia fatto il mondo del lavoro, oggi, in Italia. Per esperienza personale, quando lavoravo a partita IVA guadagnavo, fortunatamente, più di 18.000,00 € già dieci anni fa, ma ero un lavoratore dipendente a tutti gli effetti. Questi o ci fanno o ci sono.

Estremo ed improbabile

E allora, come stanno le cose? Le modifiche apportate alla nuova disciplina dell’articolo 18 sono una vittoria del PD e recepiscono le richieste avanzate da Bersani oppure il reintegro sarà previsto per casi “improbabili” e quindi tutto resta come prima? Io credo al mio segretario, ma allora perchè tutto questo affrettarsi a mettere paletti, a precisare, a rassicurare? Perchè questo gioco al massacro? Chi prende per il culo?

Redditi, salario e produttività in Italia (e le relative bufale)

Lunedì ero ad un convegno organizzato dall’ANCE sulla sicurezza sui luoghi di lavoro. A margine si è parlato, ovviamente, della situazione economica e dell’articolo 18. Beh, i costruttori edili (e hai detto cotica!) ritengono che la riformulazione dell’articolo 18 prevista dal governo non serva all’economia del Paese e quindi alle loro imprese. Quello che chiedono, e non sono gli unici, è un abbassamento del costo del lavoro. Un operaio che riceve in busta paga 1.500 €, a detta dell’ANCE, all’imprenditore ne costa 4.000, di Euro. Ridurre il cuneo fiscale, quindi. Fu uno dei cavalli di battaglia nelle ultime campagne elettorali dell’Unione. Che poi nessuno lo sapeva cosa fosse, ‘sto cuneo fiscale. Quando si dice parla come mangi. Vabbè. Ma la situazione è davvero quella che in molti raccontano? Il costo del lavoro, in Italia, è davvero così alto? A leggere questo articolo, sembrerebbe di no.

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Se il datore di lavoro mente (foss’anche per motivi economici)

Ernesto ci dice con chiarezza perchè, nella sua formulazione attuale, la riforma dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori non è accettabile.

In altre parole, se vengo illegittimamente licenziato per motivi economici – che poi il giudice scopre essere inesistenti e, quindi, inventati dal datore di lavoro al solo fine di licenziare un lavoratore – il giudice non potrà più ordinare il mio reintegro al posto di lavoro, ma solo ordinare all’azienda il pagamento di un indennizzo in mio favore.

Nascere o morire

Da quel che si può leggere sui giornali, la proposta di riforma del mercato del lavoro, formulata dal governo e accettata da tutte le parti sociali tranne la CGIL, presenta aspetti positivi (pochi) e aspetti negativi (molti). La semplificazione nella jungla dei contratti atipici e la trasformazione dei contratti di apprendistato in contratti a tempo indeterminato dopo 36 mesi è un passo in avanti anche se, quasi sicuramente, la maggiore tassazione dell’1,4 % finirà per essere scaricata sulle retribuzioni. Resta da sciogliere il nodo delle finte Partite IVA, e non mi sembra che possa essere sufficiente l’impegno del governo e delle parti sociali ad un impegno per un “contrasto secco” al fenomeno. Buona anche la sperimentazione sulla paternità obbligatoria. Ciò che, ovviamente, è inaccettabile, è la riforma dell’articolo 18 (a parte l’estensione del diritto al reintegro in caso di licenziamento per motivi discriminatori alle aziende con meno di 15 dipendenti). Non c’è alcuna evidenza, da un punto di vista economico-scientifico, del nesso tra l’articolo 18 nella sua attuale formulazione e la ritrosia delle aziende ad assumere. Sono chiacchiere. L’articolo 18 rappresenta un elemento di civiltà per il semplice fatto di stabilire che un diritto, come quello al lavoro, non è monetizzabile. Punto. Non ci sono 15 o 27 mensilità di indennizzo che tengano. Nel dibattito in corso negli ultimi mesi il concetto onnipresente era quello di spostare la tutela dal posto di lavoro al lavoratore. Mi sembra che in questo modo si sacrifichino sia l’uno che l’altro.

Ma al di là del merito del provvedimento, passibile di modifiche più o meno sostanziali nell’iter di approvazione in Parlamento, ciò che colpisce è il metodo. La concertazione è oggi vista come un disvalore, il male assoluto. Il centrosinistra e il PD hanno osannato per anni il modello Ciampi, portato ad esempio di come coniugare riformismo, rigore economico e pace sociale. Monti e il governo si sento tronfi per aver imposto un modello di riforma senza il consenso della CGIL. Uguale a Sacconi. E infatti il PDL esulta.

Il Partito Democratico deve decidere (e sarà costretto a farlo nel corso del dibattito parlamentare che seguirà alla presentazione della riforma), se la coesione sociale debba essere ancora un principio ispiratore della propria azione politica o se, invece, quel tempo è definitivamente tramontato. E con esso l’idea di PD che molti di noi hanno coltivato. Sempre che sopravviva, il PD, a tutto ciò.

Come mai

Un tempo si cantava, nei cortei, come mai come mai sempre in culo agli operai. Oggi si potrebbe dire: come mai come mai sempre in culo ai precari?

L’analisi di Marco Simoni sulla precarietà e le conseguenti azioni del governo.

Privi di potere contrattuale, i lavoratori flessibili hanno visto i loro salari diminuire sempre più.

Dal 1996 al 2008, le case sono in media aumentate del 50% al netto dell’inflazione e nelle grandi città anche molto di più. Questi aumenti colpiscono soprattutto i più giovani, che devono acquistare una casa o cominciare un contratto di affitto.

Ricapitolando: mentre i prezzi delle case subivano aumenti vertiginosi, i salari dei lavoratori flessibili diminuivano a causa del loro scarso potere contrattuale, in un contesto in cui essi erano anche privi di sostanziali protezioni sociali. Il concorrere di questi tre fattori ha determinato la precarietà che ormai caratterizza larghissimi strati della popolazione under 40.

Piuttosto che concentrarsi sugli effetti immediati delle singole misure, diventa cruciale riflettere sulle loro interazioni. Assumono allora una nuova prospettiva le proposte di riforma della cassa integrazione e l’idea di un sussidio di disoccupazione generale; l’obiettivo di unificare il mercato del lavoro in una forma contrattuale largamente prevalente; le norme per lo stimolo della concorrenza recentemente approvate e quelle in cantiere; perfino il ripristino di una tassa sugli immobili che può contribuire (non essendo sufficiente) a raffreddare le dinamiche dei prezzi delle abitazioni.

Ma parla per te

“Noi italiani siamo fermi al posto fisso nella stessa città di fianco a mamma e papà”.

L’impulso a dire qualsiasi cosa passi per la mente deve essere, per alcuni, irrefrenabile. Assistiamo, desolati, a dichiarazioni inopportune sul tema del mercato del lavoro che arrivano da tutte le parti. Leggendo quest’ultima massima, poi, il pensiero non può che andare a tante ragazze e ragazzi che lasciano le loro città, soprattutto al Sud, per studiare o per lavorare. Terre abbandonate perchè i loro figli migliori hanno perso le speranze di vivere nella città di mamma e papà senza dover sottostare al racket, senza dover chiedere al politico o al funzionario pubblico di turno una raccomandazione per avere qualsiasi cosa possa spettare di diritto ad un cittadino onesto. Una ennesima mancanza di sensibilità da parte di governanti illuminati che pensano di riassumere, con una battuta, un mondo pieno di sfaccettature, di drammi, di speranze. E se hanno un problema di comunicazione, stessero zitti o assumessero qualcuno che le spari meno grosse.  

Welfare, welfare e ancora welfare

Finché non avverrà la riforma degli ammortizzatori sociali e l’avvio di un sistema di formazione continua, la cosiddetta flexsecurity rimarrà una chimera. Questa è la vera leva affinché il mercato del lavoro sia meno diseguale e più fluido. Soprattutto, che premi effettivamente il merito delle persone, le loro capacità, la loro volontà d’impegno e diminuisca il peso (favorevole, per chi ce l’ha) delle posizioni di rendita familiari o di casta.

Daniele Martini, il resto qui.