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Tra piccole iene (solo se conviene)


L’appello che Veltroni rivolge a Renzi affinché ci ripensi sull’Italicum, appello che tecnicamente mi vede d’accordo, mostra tutta la pochezza dei padri costituenti della Quarta Repubblica (sarà la quarta? ho perso il conto).

Perché, come è ovvio, le leggi elettorali non si pensano per il Paese, ma per la maggioranza di turno. E siccome i tempi del 40% sono andati, e sono lontanissimi ( you can fool some people sometimes, but you cant’fool all the people all the times, cantava qualcuno), ci si accorge adesso che regalare il governo del paese al partito che al primo turno prende il 25% tra i votanti (che con l’astensione al 40% equivale al 15% tra le cittadine e i cittadini tutti) forse non è il massimo. Che poi i possibili vincitori delle prossime elezioni possano essere M5S è del tutto casuale per il ragionamento veltroniano. O forse no.

Ma che volete farci, alle iene del partito del Presidente non conviene più, e allora i corifei che magnificavano le proprietà salvifiche dell’Italicum, mentre qualcuno sommessamente faceva presente che quella legge così com’era stata pensata era da modificare pesantemente, oggi ci ripensano a loro volta. Continuo ad essere d’accordo con l’amico Walter Tocci, il quale da tempo sostiene che questa classe dirigente, e l’attuale compagine parlamentare, non ha alcuna autorevolezza per cambiare sia la Costituzione, sia il Paese.

Non ne sarei così orgoglioso

Meni

Vabbè, Menichini appartiene a quella amplissima schiera di esegeti del pensiero Renziano, di ammiratori-a-prescindere che tutto perdonano e che hanno il corpo foderato di acciaio, e altroché aratro sulla panza.

Ad oggi non sappiamo quale sarà l’approdo finale dell’iter delle riforme costituzionali, e dalle cronache recentissime la confusione regna sovrana, a quanto pare.

Menichini parla di convenienza di Berlusconi, nel fare le riforme.

Ed io mi chiedo se possa essere questo un caposaldo delle riforme del Paese.

E parla di consenso popolare.

Quello delle primarie? Quello dei sondaggi? Quello a prescindere?

E vogliamo parlare di restaurazione? Giovanardi che deve riformare sé stesso, Sacconi preferito alla CGIL. E, appunto, Berlusconi padre della patria.

Ma fammi il piacere.

 

 

Walter Tocci e la riforma del Senato

L’intervento di Walter Tocci sulle riforme costituzionali al #confrontomaivisto.

 

Qui invece si parla delle proposte economiche del governo Renzi.

 

La parte finale del dibattito, su elezioni europee e prospettive della sinistra nel nostro Paese.

Rifuggire la faciloneria (e il leaderismo d’accatto)

L’ho riascoltato stamattina per radio, Walter Tocci. Me ne sono cibato prima di entrare in ufficio, seduto in macchina, parcheggiato sotto l’ufficio. E non fa niente se ho timbrato il cartellino più tardi di qualche minuto.

Sono mesi che Walter ci mette in guardia dai pericoli della faciloneria. Sono mesi che ci induce a ragionare. E di menti lucide come la sua, in giro, ce ne sono davvero poche.

Negli ultimi giorni un’analisi formidabile sui rischi derivanti dalla corsa alla riforma a tutti i costi. La riforma della legge elettorale connessa alle riforme costituzionali, che rischia di consegnare il Paese ad un leader quasi assoluto in assenza dei necessari contrappesi Costituzionali.

Qualche tempo fa Walter aveva ricordato il fallimento della sua generazione dal punto di vista costituente, visto che tutte le riforme della Carta fatte negli ultimi anni sono miseramente andate a vuoto. E ha chiesto di fermarsi, e di lasciare questo compito ad altri, ad un futuro Parlamento, quando ce ne saranno le condizioni: “Non tutte le generazioni hanno la vocazione a scrivere le Costituzioni. Che la nostra sia inadeguata al compito è ormai evidente. Lasciamo alle generazioni future il ripensamento dell’eredità costituzionale.”

Ecco, fanno bene le parole di Tocci, e sono davvero contento di averlo ospite a Minturno, per un evento di cui vi dirò tra qualche giorno.

E però rischiano anche di cadere nel vuoto. Anzi assistiamo attoniti all’importazione, nel PD, di forme di cesarismo che pensavamo dovessero appartenere solo alla parte a noi avversa. E invece, evidentemente, i germi del ventennio si sono insinuati trasversalmente. Solo così si spiega, tra le altre cose viste negli ultimi giorni, la proposta di inserire il nome del leader nel simbolo del PD. Roba da rabbrividire.

Due passaggi decisivi

Tratti dall’intervento di Walter Tocci, ieri, in direzione Nazionale del PD.

Il primo riguarda le cosiddette riforme costituzionali:

Il presidenzialismo non è un emendamento, è un’altra Costituzione. Non tutte le generazioni hanno l’autorevolezza per cambiare la Costituzione. Che possa farlo una classe politica al minimo storico di credibilità è un ardimento senza responsabilità. Lasciamo il compito alle generazioni successive. Apprezzeranno la nostra umiltà.

Il secondo riguarda il PD:

Bisogna cambiare il PD, non la Costituzione. La politica seguita in questi mesi va messa in discussione. E invece sento dire che la linea era giusta, è mancata solo la disciplina. Lo disse anche Cadorna dopo Caporetto. Poi il comando fu affidato al generale Armando Diaz, il quale riformò radicalmente l’organizzazione militare, suscitando in questo modo un nuovo senso della disciplina e unificando le forze per vincere la guerra. Al momento del suo insediamento disse: “L’arma che sono chiamato a impugnare è spuntata: bisognerà presto rifarla pungente; la rifaremo”. Aspetto ancora un nuovo segretario del PD che si presenti con una simile intenzione. Invece la tendenza è sopire, attutire, rinviare. Come se non fosse successo niente i responsabili della sconfitta pretendono ancora di comandare.