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La triade falce e martello

Mi rendo conto del fatto che, per vincere le prossime elezioni (si tengano a marzo, nel 2012 o nel 2013), si debba raschiare il fondo del barile. Però, con tutta sincerità, quando sento ancora parlare di Ferrero, Diliberto, Salvi, mi sento male. Sto combattendo, all'interno del mio partito, una battaglia per il rinnovamento della classe dirigente, e vedere che, anche a sinistra del centrosinistra, si sono fermati al '93 (se non prima), mi dà un senso di profonda amarezza. Una sensazione che mi aiuta, comunque, a chiarirmi le idee su chi vorrei come alleato del PD.

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Un’altra Italia è possibile

«Io sono di sinistra. Punto. Mi definisco del partito di Peppino Impastato, i valori a cui mi ispiro tutti i giorni nel fare l’amministratore sono l’uguaglianza sociale, la partecipazione e la trasparenza per togliere gli agganci negli appalti con la criminalità; chiamiamola, se volete, sinistra utopica».
Domenico Lucano, sindaco di Riace

Una storia di bella politica. Un altro uomo da non lasciare solo.

15 domande a Baffino

Mi sorgono spontanee, leggendo l'articolo apparso oggi su Repubblica.

D'Alema, ma quando il centrosinistra, nella passata legislatura, commetteva quei gravi errori politici di cui parli, tu, dove cacchio stavi???
D'Alema, ma possibile che in questo paese nessuno paghi mai per gli errori politici e per le sconfitte elettorali, e tu in primis?
D'Alema, ma in questi anni chi ha aiutato di più Berlusconi, alcune tue scelte scellerate oppure la lettera di Veltroni???
D'Alema, ma il PD non è sempe stato favorevole al sistema maggioritario a doppio turno???
D'Alema, ma lo sai che mentre tu vagheggi un sistema alla tedesca grazie al quale si può mettere insieme tutto e il contrario di tutto per battere B., L'UDC, i tuoi cocchi, continuano a trattare con il PdL e la Lega continua a parlare di secessione??
D'Alema, ma tutte le decisioni di questi giorni sono state prese sulla tua barca oppure in qualche organismo democratico del PD?
D'Alema, con quale programma si presenterà il PD e la coalizione ad eventuali elezioni?
D'Alema, le coppie di fatto, omo o etero, devono avere gli stessi diritti di quelle sposate?
D'Alema, siamo favorevoli o contrari al nucleare? E l'acqua rimarrà pubblica?
D'Alema, la mia generazione la pensione ce l'avrà o siamo destinati ad essere dei vecchi indigenti, alla canna del gas?
D'Alema, la CGIL ha ragione o no a difendere la sua posizione su Pomigliano?
D'Alema, il conflitto di interessi lo risolviamo?
D'Alema, ma le primarie nei collegi, nel caso il porcellum non fosse cancellato, ce le fai fare?
D'Alema, ma non ti è bastata la doppia scoppola che hai preso in Puglia, la tua Puglia, contro Vendola?
D'Alema, quando vai in pensione?

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I volti della sconfitta

Infuria la discussione sulle lettere di leader ed ex leader del PD. Si parla di strategie, di alchimie, di formule, di vincitori e di sconfitti al congresso dell'anno scorso. E i vincitori avrebbero titolo a dettare la linea politica del partito.

Il problema, a mio avviso, non è chi ha vinto o perso il congresso.La Nuova Unione che dirà sulla previdenza dei prossimi anni (a tal proposito leggetevi l'articolo di Rita Ghedini su L'Unità di ieri)? E sulle coppie di fatto, omo o etero che siano? E sul precariato? E sulla scuola? E sull'univerisità? E sull'acqua pubblica? E sul nucleare? E sulla green-economy? E sul conflitto di interessi? Nulla, non potrà dire nulla. E questa sarà la maggior sconfitta non per la classe politica che ha in mente questa nefandezza, ma per il Paese. Perchè, ahinoi, un'idea del Paese questi non ce l'hanno. Pensano a battere Berlusconi puntando all'antiberlusconismo, ma su questo terreno B. è imbattibile, l'abbiamo visto dal '94 a oggi.

E purtroppo la sconfitta non servità nemmeno a toglierceli dalle palle, come succede in tutte le democrazie occidentali. Perdi le elezioni? Vai a casa, cambi mestiere, fai il giornalista, il lobbista, il fioraio, il panettiere, ti dai al modellismo ma non continui a proporti alla guida del paese dopo aver perso non si sa quante volte.

Dirigenti del PD, del MIO PD, mi sforzo, ma non mi fido più di voi

La “buona politica” possiamo costruirla insieme

Di Pippo Civati e Davide Imola

«Siete tutti uguali», ci sentiamo ripetere spesso. E noi, invece di offenderci, dovremmo riflettere. E forse fare un passo più in là. Perché la risposta migliore alla provocazione è affermare: «sì, siamo tutti uguali», tutti noi, politici e cittadini. Perché questo è il problema della 'casta'. Perché nessuno vuole più prendere parte a un rito, ma trovare il proprio modo di partecipare all'insegna del concetto principale: la condivisione. Relazioni e non gerarchie, reti e non piramidi, perché tutti quelli che hanno qualcosa da dire (e si sentono di dirlo) possano farlo.

Allora che cosa si può fare e come?
Uno dei progetti di Oltre – www.andiamooltre.it – riguarda il Codice della Buona Politica, costruito dai militanti e dagli elettori partendo dalle loro esperienze e dalle correzioni di alcune evidenti distorsioni che hanno visto e conosciuto in questi anni. Dall’assemblea nazionale del PD sono arrivati alcuni segnali positivi come l’incompatibilità tra cariche Istituzionali e quelle di partito a livello locale o l’istituzione delle anagrafi patrimoniali degli eletti o, ancora, l’inserimento di un terzo dei segretari di circolo nelle segreterie provinciali. Un bel passo avanti, su cui lavorare ancora.

Comprensibilità del processo, trasparenza e tracciabilità delle decisioni, partecipazione e apertura alla società sono i nostri obiettivi. Non solo regole, però: altrettanto importanti sono lo stile, i comportamenti e le modalità di rapporto tra politica e cittadini. Nell’Italia di Berlusconi e del suo amico Brancher siamo invitati a fare più e meglio, perché è forte il disorientamento e la sfiducia nei confronti delle istituzioni e della politica.

Nei comportamenti della politica sono diventate desuete o hanno perso di valore molte parole che dovrebbero essere alla base di un corretto vivere civile e di un rapporto trasparente tra rappresentanti e rappresentati che fanno parte della stessa comunità, sia essa un partito, un circolo, un comune o l’intero stato: Onestà, Partecipazione, Democrazia, Meritocrazia.

Gli statuti dovranno prevedere l’incompatibilità per doppi o tripli incarichi. Partendo da competenze e curriculum, bisogna garantire un’equa rappresentatività negli organismi direttivi, nonché nelle candidature alle elezioni a qualsiasi livello, di donne, giovani e immigrati. I circoli di base e tematici devono avere, per funzionare, il 50% delle risorse raccolte dal tesseramento e dai rimborsi elettorali. Sono solo poche delle proposte avanzate per provare a rivitalizzare e riempire quelle parole dandogli una concretezza e un senso, facendole diventare i simboli dei comportamenti da tenere in politica.

Chi è interessato può andare sul blog www.buonapolitica-oltre.blogspot.com o sul sito dell’Unità (www.unita.it), lasciare le proprie proposte o votare quelle già presenti, per redigere insieme un manifesto, una sorta di “Codice della Buona Politica”, costruito attraverso la partecipazione di cittadini e militanti che chiederemo di inserire nello Statuto e nel Codice Etico del Pd come degli altri partiti. A noi la politica piace così, credibile fin dai comportamenti e capace di far diventare protagonisti i cittadini.

Il profitto e l’operaio

Posto alcuni stralci dell'articolo di Gad Lerner, pubblicato sabato su "La Repubblica".
Le riflessioni di Gad inchiodano ovviamente anche il PD alle proprie responsabilità, nella speranza che l'agenda non solo del PD ma della sinistra tutta sia davvero aggiornata.

… Da una ventina d’anni la parola egualitarismo è proibita nel dibattito pubblico, demonizzata alla stregua di un'ideologia totalitaria. Ma nel frattempo imponenti quote della ricchezza nazionale sono state dirottate dal lavoro dipendente a vantaggio dei profitti, esasperando una disuguaglianza di reddito senza precedenti storici.
Questo imponente spostamento di punti del Pil dai salari al capitale non ha certo reso più competi
tiva l'economia italiana come invece prometteva. Semmai fotografa, con sintesi brutale, la sconfitta di una sinistra la cui ragione sociale, per oltre un secolo, si identificò con il miglioramento delle condizioni di vita dei ceti meno abbienti, primi fra tutti gli operai.
Pervenuta, sia pure per brevi periodi, al governo del paese, la classe dirigente della sinistra si
è legittimata attraverso l'accettazione della cultura di mercato ma ha finito per confondersi in larga misura nell'establishment italiano da cui voleva essere accettata, tollerandone in cambio i vizi, sposandone talvolta i comportamenti.
Se il coefficiente di Gini, cioè l'indicatore statistico con cui gli economisti cercano di misurare il tasso di disuguaglianza di un paese, colloca ormai l’Italia ai gradini più bassi dell'OCSE, con un'accelerazione costante a partire dai primi anni Novanta,
è doveroso ricordare che il lavoro dipendente non ha subito solo decurtazioni proporzionali di reddito…
…La speranza fallace che l'arricchimento di pochi generasse maggior benessere per tutti ha consentito che la presa di potere dei manager divaricasse la forbice delle retribuzioni, elevando in breve tempo gli stipendi dirigenziali da venti o trenta volte la media di un salario operaio, a centinaia di volte. I profitti realizzati tramite la speculazione finanziaria globale hanno completato l'opera.
Il paradosso che viviamo oggi è che la rabbia sociale rischia di finire appannaggio della demagogia di destra, mentre la sinistra ammutolisce vittima delle sue inadempienze.
Chi ha teorizzato la difesa localistica del proprio territorio dalle insidie della globalizzazione, naturalmente, propone alle masse una visione strabica delle disuguaglianze. Denuncia come eccessivi i redditi di categorie molto visibili ma sparute come i calciatori e i personaggi dello spettacolo. Oppure addita al pubblico ludibrio di volta in volta i suoi avversari simbolici, come gli alti magistrati e i dirigenti ministeriali. Ma si guarda bene dal prendersela con i redditi da capitale, con le rendite finanziarie, con i compensi dei manager che appartengono al suo sistema di potere.

La piramide sociale, nella visione della destra, può venire scossa dal terremoto della crisi, ma per uscirne ancora più verticale.
È prevedibile che nei prossimi anni questo malessere genererà un pensiero radicale e una reazione estremista anche nell'ambito della sinistra, impreparata a confrontarsi con le regole della finanza, con la riforma dei rapporti di lavoro, con la crisi del welfare.
La morte del comunismo non elimina in eterno la spinta antagonista, con i suoi aneliti di giustizia e il suo inevitabile contorno di ambiguità.
Per il momento sarebbe bene che i dirigenti del Pd affascinati dallo stile Marchionne, colti alla sprovvista dalla minoritaria ma elevata quota di opposizione espressa dai lavoratori di Pomigliano a un accordo stravolgente le condizioni di lavoro, cominciassero a riflettere. Assumendo il tema della disuguaglianza sociale come prioritario nell'agenda di una sinistra moderna degna delle sue origini.

Questo è il PD che (ancora) non amo

Andrea dice bene, però le parole di Franceschini non mi convincono del tutto, soprattutto qui:
"Noi difendiamo tutto. Sempre battaglie nobili e giuste ma difendiamo sempre: la Costituzione, l’articolo 18, la stampa, l’autonomia della magistratura, i sindacati, il parlamento e così via. Non dobbiamo rinunciare a queste battaglie, ma o riusciamo a spiegare che noi siamo nati non per difendere l’esistente ma per cambiare il paese o non avremo più con noi le truppe per vincerle, quelle battaglie nobili.(…)Anche qui dobbiamo essere capaci di fare battaglie giuste senza chiederci troppo se ci costeranno in termini di consenso, se verranno capite dai nostri tradizionali mondi di riferimento, se sono troppo moderate o troppo di sinistra"
Allora prendo spunto da Questo è il paese che non amo di Antonio Pascale che, citando Danay, invita a concentrarsi non sul cosa ma sul come. Io aggiungo con quale spirito.
Perchè l'errore che in questi anni ha commesso il PD e tutto il centrosinistra, in tema di riforme, è stato quello di avallare o proporre soluzioni che fossero utili a Mr. B o a settori della su maggioranza e non al Paese. Soprattutto per quanto riguarda l'autonomia della magistratura e la Costituzione. Ho l'impressione che le cose stiano ancora così.
Aggiungo inoltre che il PD dovrebbe provare e conquistare il consenso delle persone che, in Italia, si sentono di sinistra.Tutte quelle che ci siamo lasciate per strada in questi anni.
Andare oltre, cambiando passo.

Oggi, 13 marzo 2010

Oggi a Roma ho visto un bella piazza, serena, non c'era traccia di odio (quello lo lasciamo alle parole di B. e dei suoi guitti) ma solo il desiderio di tante persone oneste di vivere in un paese migliore…legittimo no?
Certo, la piazza è importante, ci si conta, ci si guarda negli occhi e ci si sente meno soli, però resta il solito problema che affligge il centrosinistra: e dopo? Sono anni che arriva dalle piazze, a gran voce, una richiesta di unità, purtroppo ad oggi inascoltata dai nostri leader che preferiscono i distinguo e il gioco al massacro che ci ha portato sin qui. Speriamo solo che oggi siano stati gettati i semi per un raccolto migliore.

Pigi Pigi

Qualche settimana fa ero in treno e mi capita sotto mano un inserto del Corriere della Sera lasciato sul sedile da un viaggiatore.
Non ricordo come si chiamasse, ma era uno di quegli inserti di moda e tendenze, fogli patinati dove il modello femminile è Noemi Letizia mentre quello maschile è l’uomo che si depila il petto, spende un patrimonio in creme di bellezza e indossa delle cagate pazzesche che nemmeno Lapo Elkan avrebbe il coraggio di indossare.
Mi colpisce però un editoriale di Pigi Battista che parla dei giovani e della situazione drammatica nella quale si trovano a vivere nel nostro Paese. Vabbè, il giornale non sarà il massimo per affrontare un argomento del genere, però approccio l’articolo con spirito, come dire, laico. E allora il Pigi offre la sua soluzione ai problemi dei ggggiovani italiani. Precariato, nepotismo, negata valorizzazione del merito. Li esorta (solo quelli bravi e meritevoli, però) nientemeno a fare la RI-VO-LU-ZIO-NE, ma non come quei debosciati dei padri che l’hanno fatta nel ’68 (quelli della sua generazione, per intenderci), ma a farla davvero e prendere d’imperio i posti che reputano debbano spettargli, sempre che, sia chiaro, siano bravi e meritevoli. Ecco, allora io provo ad immaginare la reazione del Pigi qualora un redattore del giornale, giovane, meritevole, precario, si presentasse nel suo ufficio a prenderlo a calci nel sedere per occupare il suo posto. Ho idea che non sarebbe molto contento dello spirito rivoluzionario del giovane. Come tanti il Pigi apre bocca e je da’ fiato (come si dice a Roma), offre i suoi buoni consigli che sono sempre validi, però per gli altri.
E a proposito di rivoluzioni, magari non sarà la nostra generazione a farla, fortunatamente abbiamo i nostri genitori pensionati che ci danno una mano a sopravvivere e a tenere in freddo i bollenti spiriti.
Ma noi saremo dei pensionati poveri, ne avremo a stento di che sopravvivere, aiutare i nostri figli sarà impossibile e forse saranno loro a fare la rivoluzione di Pigi, sempre che qualcuno non si svegli prima e decida di provare a rimettere insieme i cocci di ‘sto Paese (vedi alla voce: centrosinistra).

La canzone è in tema…