Archivio mensile:Giugno 2015

La grande bellezza

Nei giorni in cui si inaugura un altro pezzo di Metro C a Roma sarebbe il caso di dar vita ad una campagna nazionale per la realizzazione della stazione Colosseo secondo il progetto originario.
Immaginate una piazza ipogea al centro di via dei fori imperiali, finalmente chiusa ad ogni tipo di traffico, pubblico e privato. Immaginate l’arrivo con la metro in uno spazio museale, ricreativo, con servizi alla
stregua del museo del Louvre a Parigi.
Immaginate di emergere dal sottosuolo e trovarsi immersi nel parco archeologico più bello, grande e importante del mondo.
Non portare a termine quel progetto sarebbe follia pura.
Non può essere una semplice questione economica contingente.
I soldi per queste cose vanno trovati perché è un investimento per il futuro della città e dell’intera nazione.
La committenza (in definitiva noi) imponga al General Contractor l’esecuzione di quella soluzione. Altrimenti sarà persa per sempre un’occasione unica per rendere finalmente Roma una città moderna, accogliente,  consapevole della propria grande, grandissima bellezza.

Sicurezza cenerentola, come sempre

A construction worker or foreman at a construction site observing the progress of construction job or project, with copy space

Ieri il Senato ha approvato il disegno di legge delega n° 1678 che porterà alla riscrittura del codice degli appalti (D.Lgs. 163/06).

Sono state introdotte importanti novità, da dettagliare nel decreto delegato, che si propongono, tra l’altro, di correggere alcune delle storture portatrici di fenomeni corruttivi a tutti noti.

Tra queste la legge delega prevede che negli appalti affidati con la formula del Contraente Generale (parliamo di realizzazione delle linee AV, della Metro C di Roma, della Salerno-Reggio Calabria, per capirci), sia “vietata l’attribuzione del compito di responsabile o direttore dei lavori allo stesso contraente generale” (art. 1 comma p del DDL 1678).

Inoltre si stabilisce la “creazione di un albo nazionale, presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, dei soggetti che possono ricoprire rispettivamente i ruoli di responsabile dei lavori, di direttore dei lavori e di collaudatore negli appalti pubblici di lavori aggiudicati con la formula del contraente generale, prevedendo specifici requisiti di moralità, di competenza e di professionalità e la loro nomina nelle procedure di appalto mediante pubblico sorteggio da una lista di candidati indicati alle stazioni appaltanti che ne facciano richiesta in numero almeno triplo per ciascun ruolo da ricoprire​”​ (art. 1 comma p-bis del DDL 1678).

In pratica si​ indicano alla stazione appaltante tre nomi presi nell’albo ​nazionale ​ e il direttore lavori, il responsabile dei lavori e il collaudatori ​sono estratti a sorte​. In ​questo modo si dovrebbe garantire l’assoluta indipendenza di figure professionali fondamentali per la corretta realizzazione di un’opera.

Viene sancito un principio giusto (il controllato non può pagare il controllore) ma con una formulazione in parte errata e a mio avviso incompleta.

Perdonatemi se entro in questioni tecniche, ma è necessario.

Il Responsabile dei Lavori (RdL) è una figura presente nel Titolo IV del D.Lgs. 81/08 (il cosiddetto Testo Unico del Sicurezza) ed è una figura specifica della sicurezza che, nel caso di appalti pubblici, coincide con il Responsabile Unico del Procedimento (RUP).

Il RUP è il garante verso il Committente della corretta attuazione degli iter procedimentali previsti dalla normativa e dal rapporto contrattuale con chi esegue l’opera.

Il Direttore Lavori (DL) è il soggetto responsabile dell’esecuzione dei lavori in termini di qualità, tempi e costi secondo le previsioni normative e secondo il rapporto contrattuale. Sostanzialmente, come dice un mio collega, il DL è il “contratto fatto uomo”.

Quindi già al comma p) con quella “o” tra le parole “responsabile” (dei lavori?) e “direttore dei lavori” (il diavolo sta nei dettagli, si sa) c’è un errore.

La formulazione corretta, se l’intento è quello di creare un albo di soggetti indipendenti da sottrarre al controllo diretto del CG, sarebbe: “…vietata l’attribuzione del compito di responsabile dei lavori e direttore dei lavori allo stesso contraente generale” .

Ma, come dicevo, il comma p è a mio avviso anche incompleto.

Il RdL è un soggetto specifico della sicurezza, portatore di obblighi e di responsabilità sia in fase di progettazione sia in fase di esecuzione delle opere. Tra i suoi numerosi obblighi, ha quello di nominare, nei casi previsti dalla legge, due ulteriori soggetti fondamentali per la sicurezza, ossia il Coordinatore per la Sicurezza in fase di Progettazione (CSP) e il Coordinatore per la Sicurezza in fase di Esecuzione (CSE).

Il CSP è colui il quale redige il Piano di Sicurezza e Coordinamento (PSC), ossia il progetto della sicurezza di un’opera.

Il CSE è, invece, il soggetto che affianca il Direttore dei Lavori per il controllo dell’attuazione delle misure di sicurezza contenute nel progetto della sicurezza.

Nelle formulazioni dei commi p e p-bis dell’articolo 1 del DDL 1678 queste due figure mancano. Ed è una mancanza grave, perché secondo me nasconde, nella migliore delle ipotesi, un’ignoranza del legislatore riguardo all’organizzazione della sicurezza in fase di progetto e in fase di esecuzione. Nella peggiore delle ipotesi una mancanza di sensibilità riguardo la sicurezza sul lavoro, che resta una priorità solo a chiacchiere.

Per avere un’idea, dall’inizio dell’anno i morti sul lavoro sono 274, ai quali se aggiungono almeno 580 deceduti in itinere. Il conto lo tiene Carlo Soricelli sul suo sito, Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro.

Nell’attuale formulazione dei commi p e p-bis, fatte le dovute differenze, è come se dal punto di vista della gestione dei lavori sparisse il Direttore dei Lavori e si facesse riferimento solo alla figura del RUP.

In definitiva la formulazione corretta del comma p dovrebbe essere:

…vietata l’attribuzione del compito di responsabile dei lavori, del coordinatore in fase di progettazione, del coordinatore in fase di esecuzione e direttore dei lavori allo stesso contraente generale” .

Ne deriva che anche CSP e CSE dovrebbero avere un loro albo nazionale al quale attingere i tre nomi da sorteggiare, e quindi la formulazione corretta del comma p-bis dovrebbe essere:

creazione di un albo nazionale, presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, dei soggetti che possono ricoprire rispettivamente i ruoli di responsabile dei lavori, di coordinatore in fase di progettazione, di coordinatore in fase di esecuzione di direttore dei lavori e di collaudatore negli appalti pubblici di lavori aggiudicati con la formula del contraente generale,..”

Spero ci sia modo di presentare e approvare questi emendamenti nella discussone alla Camera.

Italia guida d’Europa (pare vero)

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Oggi sono abbastanza in fissa con l’Europa. E come potrebbe essere altrimenti, viste le notizie che riguardano il nostro continente? Tra muri che risorgono, banchieri che comandano e profughi respinti c’è poco da stare allegri.

E a proposito di profughi, e di Europa che dimostra il suo ulteriore fallimento dinanzi ad accordi fatti e non rispettati, mi veniva un pensiero.

L’italia è stata praticamente lasciata sola, nella gestione dei profughi. Si continuano a considerare le nostre coste come se fossero i confini italiani anziché i confini dell’Unione Europea.

La grandezza di un Paese, nella sua interezza, si dimostra soprattutto quando si pongono dinanzi agli occhi dei cittadini questioni che investono le coscienze di ciascuno di noi. E l’accoglienza di persone che scappano dalla guerra che devasta i propri paese è anche un problema di coscienza.

E allora immaginate quale forza politica potrebbe esercitare l’italia se a fronte degli atteggiamenti ottusi e fascisti di Francia, Inghilterra e di altre nazioni dell’ UE l’intero Paese si facesse carico dell’accoglienza dei profughi. Immaginate quale investimento politico e morale sarebbe andare a Strasburgo, a Bruxelles, a sbattere la scarpa sul leggio, alla Krusciov, e a sbattere sulla faccia degli altri Paesi la loro indifferenza, la loro disumanità, il loro cinismo, i loro calcoli elettorali e dire: ci pensiamo noi. l’italia, tutta l’italia, si fa carico della salvezza di questi nostri fratelli africani che fuggono dall’orrore in cerca di una vita migliore.  Li accogliamo noi, e siamo tutti d’accordo nel fare questo. Perché l’italia è un paese migliore del vostro.

Immaginate.

I prossimi mesi di Ignazio Marino

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Devo molto a Ignazio Marino, anche se lui non lo sa.

Nel 2009 mi riappassionai alla politica attiva grazie alla sua candidatura alla segreteria del PD, dopo anni di sostanziale disimpegno diretto. Ricordo un giorno di giugno di quell’anno, il giorno della presentazione della sua candidatura a Roma. Ascoltai in quell’occasione due sconosciuti (per me) che mi colpirono e,  tornato a casa, mi misi a cercare in rete chi fossero. Si chiamavano Pippo Civati e Cristiana Alicata. Per dire.

Con il senno di poi non si può dire che quella candidatura fosse esente da contraddizioni (alcune mi apparivano evidenti già al momento), non di certo per Marino in sé ma principalmente per alcuni personaggi (e relative cordate) che la sostenevano. Era il peggior PD che faceva mostra di sé già allora, e già allora iniziammo a lanciare l’allarme in merito a tutte le storture che poi, nel tempo, si sono incancrenite nel PD di Roma, del Lazio e purtroppo in molte altre realtà. Assenza di rispetto delle regole statutarie (contributi non versati, doppi e tripli incarichi), primarie cammellate, correntismo esasperato, troppi soldi che giravano. Ma come direbbe qualcuno, questa è un’altra storia.

Ma è una storia che ha portato il PD Roma, con la rinuncia di Nicola Zingaretti, a non avere al suo interno una candidatura credibile alla successione di Alemanno. Da qui la vittoria del “marziano” Marino alle primarie, contro avversari risibili come Sassoli e Gentiloni.

In quella sfida sostenni convintamente Marino, perché Roma aveva bisogno della sua onestà e anche della sua estraneità a certi meccanismi, a maggior ragione dopo i cinque anni devastanti della giunta Alemanno.

E sostenni convintamente Marino alle elezioni, anzi a dire il vero per me fu un sostegno doppio a Marino, Marino come sindaco e Marino (Estella) come consigliere. Estella che fu la più votata del PD e che oggi riveste il delicatissimo e difficilissimo ruolo di assessore all’ambiente.

Le speranze intorno al nuovo sindaco sono state tantissime, ma si è subito capito che Marino non avrebbe avuto vita facile. La situazione catastrofica ereditata da Alemanno, la presenza dannosa del PD Roma, la macchina amministrativa, sono stati tutti elementi che hanno creato, giorno dopo giorno, un intralcio evidente all’azione dell’amministrazione.

Le inchieste in parte hanno scoperchiato cose note e fatti evidenti a tutti, d’altro canto hanno svelato un sistema criminale mafioso che, cresciuto e pasciuto grazie ad Alemanno (ricordiamo che l’ex sindaco è sotto inchiesta per il reato di associazione mafiose, lui e non Marino, per dire), aveva trovato sponda in pezzi autorevoli del PD romano e del mondo delle cooperative anche con la nascita della nuova giunta.

Da ciò che emerge nelle intercettazioni appare anche evidente che i gruppi mafiosi che speculavano sulle emergenze sociali, sui profughi, sui rom ritenevano Marino e la sua giunta un ostacolo ai loro affari. E a mio avviso da qui occorre ripartire.

L’onestà di Marino e dei suoi assessori non è mai stata in discussione, ma se, al di là delle inchieste, la percezione di buona parte dei romani è che Sindaco e giunta svolgano un’azione insufficiente vuol dire che qualcosa non ha funzionato e continua a non funzionare. Semplifico, ma secondo me c’è un problema di comunicazione e un problema di tempi.

Diciamo che l’amministrazione non è stata brava a comunicare, fino in fondo, quanto sia stata impegnata, dal suo insediamento fino ad oggi, a sradicare prassi consolidate che avevano portato ad una situazione di paralisi da un lato e alle ruberie che stiamo cimparando a conoscere grazie alle incheiste dall’altro.

Sul sito Romafaschifo, generalmente di certo non tenero con il sindaco, appare un elenco di 20 grandi discontinuità con il passato sulle quali Marino ha lavorato, e molto. E per “colpa” delle quali Marino si sta inimicando quei poteri che non fanno più affari e che quindi vorrebbero la sua testa, ora.

1. MALAGROTTA
Discarica mostruosa presente da decenni. Erano trent’anni che si parlava di chiuderla. C’erano le multe dell’Europa. Con Marino è stata chiusa e una parte dello sporco che si vede in città (il resto, la maggioranza, è la cialtronaggine di Ama o l’inciviltà dei cittadini) è lì per rappresaglia da parte dei ras che sovraintendevano il settore fino ad oggi. Un tempo a comandare erano dei pessimi imprenditori privati, oggi è il Comune. 

2. AMA
Cresce la raccolta differenziata. Un nuovo management finalmente civile. E in questi giorni la prima gara vera (una gara vera a Roma!) per il servizio, con procedure vere, con aziende partecipanti vere e con il migliore e il più economico che vincerà. Risparmio, solo qui, di 10 milioni di euro. 10 milioni di meno nelle tasche dei soliti. E sono briciole se si pensa che i ras dei rifiuti che sono stati lasciati fare, indisturbati, da tutti i sindaci avevano chiesto 900 milioni: un lodo che Ama ha vinto, 900 milioni non li otterranno. Cosa bisognerebbe fare qui per far star tranquillo il Primo Ministro? Andare con Cerroni a mangiare “a coda aaa vaccinara” come facevano i collaboratori dei precedenti sindaci e dei precedenti governatori del Lazio? 
(Poi – non dimentichiamolo – la città fa vomitare da quanto è zozza, questo è evidente a tutti)

3. ATAC
Un nuovo management credibile (ma con l’ombra del licenziamento del direttore Carlo Scoppola) e il licenziamento di tanti dirigenti. Non basta, sono discontinuità piccole piccole ma si è smesso di andare nella direzione sbagliata sterzando (sebbene poi restando piuttosto fermi).
Il servizio è non solo da quarto mondo, ma in costante peggioramento, su questo siamo in continuità purtroppo.

4. VENDITA DEL PATRIMONIO IMMOBILIARE DEL COMUNE
Importante rivoluzione: basta negozi in centro affittati a 80 euro al mese, no?

5. TEATRO DELL’OPERA
Azienda rivoltata come un pedalino.

6. AUDITORIUM – MUSICA PER ROMA
Amministratore Delegato scelto previo bando internazionale. Sono arrivate 141 richieste, sono state vagliate, è stato scelto uno spagnolo. Semplicemente una rivoluzione.

7. RESIDENCE
Uno scandalo. Tu hai una struttura. Che non vale un ciufolo. La proponi al Comune perché hai amicizie dove conta e il comune te la affitta a prezzo maggiorato per metterci extracomunitari o persone a disagio. Risultato: il comune spende per tenere la gente in catapecchie 4000 euro al mese a famiglia. Si fa prima a affittargli casa a Piazza Navona. Uno scandalo che ora sta finendo.

8. SILVIA SCOZZESE
Una anomalia di per se l’assessore al bilancio per come sta operando sui costi della città. Tagliare i costi significa tagliare le clientele e togliere ossigeno a chi sull’inefficienza della città ci campava.

9. AMBULANTI
Saltata la Festa di Piazza Navona gestita per decine di anni dai soliti noti del racket ambulante romano. Erano decine e decine di anni che gli altri sindaci lasciavano fare. Il 22 giugno si sposteranno i camion bar e gli urtisti dall’area del Colosseo. Se ne parlava da non si sa quanto, ora a quanto pare si farà: sarebbe una svolta epocale.

10. PEDONALIZZAZIONI
Tridente, Fori. Se ne parlava dagli anni Ottanta. Sono state fatte o comunque decisamente instradate smettendo di far solo chiacchiere. Facciamo saltare il sindaco, e magari riapriamo anche i Fori al traffico privato: questo è “governare” per il Capo del Governo?

11. SPIAGGE
Del Lungomuro di Ostia si parlava da decine di anni. Ora sono arrivate le prime ruspe, per l’estate 2016 Alfonso Sabella, delegato al Municipio lidense, promette grosse rivoluzioni. Che saranno tutte fermate in caso di dimissioni.

12. APPALTI
E’ stato nominato un magistrato come assessore alla Legalità. Un magistrato del calibro di Alfonso Sabella che sta facendo capire a tutti che sul Comune di Roma sarà più difficile rubare. Un codice degli appalti è stato già approvato, tutto viene controllato. Cose che il sistema non ti perdona.

13. CARTELLONI
Marta Leonori, assessore al Commercio, sta portando avanti la grande riforma dei cartelloni. Una partita enorme riguardante un grumo di criminalità e banditismo imprenditoriale di caratura dieci volte più grande di quanto emerso fino ad oggi in Mafia Capitale. Erano venti anni che la città doveva dotarsi per legge di un Piano Regolatore dei cartelloni, Alemanno è riuscito a rimandare con scuse risibili per 5 anni, Marino ha portato a casa il provvedimento dopo un anno di amministrazione. Ora le 400 dittuncole che hanno distrutto anche questo settore economico a Roma tremano perché stanno per arrivare i bandi di gara internazionali e finalmente il settore potrà finire in mano di società serie e strutturate, come avviene in tutte le grandi città del mondo. Fai saltare il Comune e avrai centinaia di cartellonari ad esultare per le strade: salvi anche questa volta all’ultimo tuffo.

14. MANOVRA D’AULA
Vergognosa manfrina che permetteva ai consiglieri comunali di disporre di denari da distribuire nei loro “collegi” elettorali nel nome del più squallido clientelismo. E’ stata soppressa grazie al consigliere Riccardo Magi.

15. URBANISTICA
Caudo è assessore in gamba e onesto, ma non basta: è pure assessore capace che sta infilando risultati e facendo partire cantieri nella maniera in cui si fanno partire in tutta Europa. L’operazione Stadio della Roma è esemplare. Come è esemplare il concorso per l’area di fronte al Maxxi (Città della Scienza). 

16. POLIZIA MUNICIPALE
Il servizio continua ad essere riprovevole, tuttavia si sta provando a cambiare la rotta. La nomina di Raffaele Clemente è una rivoluzione; i vigili assenteisti di Capodanno saranno puniti. Con qualsiasi altro sindaco si sarebbe lasciato correre. Le multe via Twitter hanno cambiato la mentalità di molti romani e ora il servizio “io segnalo” può fare il resto. Intanto si è proceduto a far ruotare i funzionari nei municipi: un’altra rivoluzione. Certo non sono cose che ti fanno amare. Bisogna farsi amare? Allora l’unico modo è lasciare la città nello schifo in cui è…

17. REGISTRO UNIONI CIVILI
Altra svolta non da poco. Un salto in avanti di 20 anni da città arretrata a città normale. 

18. PIANO ANTI CORRUZIONE
Approvato: rotazione del personale partita. Gli stanno facendo la guerra senza quartiere anche su questo, ma lo ha detto Raffaele Cantone in persone che far ruotare i dirigenti e gli impiegati pubblici è un antidoto alla corruzione. A Roma si è iniziato a farlo ed è una svolta notevolissima.

19. PGTU
A noi il Piano Generale del Traffico e dei Trasporti Urbani non ci affascina. Lo consideriamo timido e dunque inutile. Un fatto è però che è stato approvato, lo si aspettava dal 1999: 16 anni. A livello di contenuti ha aumento delle strisce blu e congestion charge per entrare in centro. Tutte cosette che non ti rendono di certo simpatico, ma che sono giuste e corrette da fare. Cosa bisogna fare, secondo Renzi, fare le cose per il bene della città o fare le cose che rendano felici dei cittadini che si sono assuefatti a vivere in un posto fuori dal mondo e dalla logica? Bisogna fare come fece lui quando divenne sindaco di Firenze e decise di diminuire le multe che, giustamente, il suo predecessore comminava agli incivili?

20. BILANCIO
La città non approvava il suo bilancio di previsione in maniera regolamentare da 24 anni. Quest’anno per la prima volta Roma ha approvato il bilancio 2015 alla fine del 2014, come si deve fare. Approvare un bilancio regolarmente non lascia spazi ad operazioni fuori bilancio ed erano tutte operazioni fuori bilancio quelle che ingrassavano la mucca di Mafia Capitale. Da oltre vent’anni nessun sindaco si era mai preoccupato di approvare un bilancio nei tempi prestabiliti. Alemanno approvava il bilancio di previsione (di previsione!) alla fine dell’anno. Così tutto l’anno era scoperto e ci si poteva aggiustare mese per mese coi risultati che abbiamo visto..

Si vedono i risultati di tutto questo? Purtroppo ancora no. La città è ancora sporca, prendere un autobus spesso equivale a vivere un calvario, se guidi una macchina o un motorino devi accendere un cero a San Pietro se torni a casa vivo o senza danni a pneumatici, ammortizzatori, braccetti e sospensioni. Aggiungerei zone come San Lorenzo, o il Pigneto, o San Basilio, zone di spaccio a cielo aperto dove anche le forze dell’ordine faticano ad entrare. In definitiva ai cittadini, in prima battuta, interessa questo: la vivibilità della città, il funzionamento dei servizi essenziali. Se queste cose non vanno, un sindaco rischia di essere spacciato.

E qui entra in gioco il fattore tempo. Marino ha ancora poco tempo per rendere visibili gli effetti positivi della rivoluzione che sta conducendo in Campidoglio. A breve dovrebbero entrare in campo le ditte selezionate con le nuove procedure di gara in campi essenziali per il buon funzionamento della città. Tempo qualche mese e potremo valutarne con maggiore serenità gli effetti. Io spero vivamente che ce ne saranno, altrimenti insieme a Roma affondiamo tutti quanti, noi che ci viviamo. L’importante è che si tengano lontani da Marino il PD, Orfini, Renzi, e tutti gli amici a corrente alternata che aspettano solo di entrare in squadra pur di dire “c’ero anche io” o di fargli lo scalpo per giocarsi il nome di Roma in chissà quale partita politica nazionale.

Non ci resta che aspettare, fiduciosi. E, nel frattempo, dare ciascuno di noi il proprio contributo per rendere Roma una città più civile.

Una questione politica (dimenticata)

Ieri si è tanto parlato di Berlinguer, visto che ricorreva l’anniversario della sua scomparsa.

Molti lo citano a sproposito. E molti (non tutti, ovvio) di quelli che stanno nel partito che idealmente avrebbe dovuto raccogliere l’eredità politica e morale di Berlinguer, ossia il PD, si discostano non poco dal solco che ha tracciato.

In queste settimane sta entrando nella carne viva di ciascuno di noi, che sia ancora iscritto al PD o che non lo sia più, la vicenda di mafia capitale e la deriva che ha preso parte del PD di Roma e del Lazio. Al di là degli episodi di cronaca, e lì ci sarà la magistratura a fare chiarezza, ci sono le valutazioni politiche riguardanti episodi appena più lontani nel tempo (ma allo stesso modo significativi) che dovrebbero valere sempre, anche se sappiamo tutti che le cose sono andate diversamente.

Sono illuminanti queste parole, e ringrazio Michele per la segnalazione dell’articolo da cui sono tratte:

Capita – ma è soltanto un esempio tra i tanti, i troppi che la cronaca racconta – che nel settembre 2012 mentre nel mondo reale si fanno i conti con le conseguenze della crisi, a Palazzo si devono invece fare i conti ancora una volta con alcune opacità relative al finanziamento pubblico della politica. Tra i tanti, tantissimi casi, uno riguarda la Regione Lazio. Il Pdl, che è al governo, viene scosso da uno scandalo che si guadagna le aperture dei giornali nazionali anche a causa di certi personaggi a dir poco grotteschi. Emerge una faida che spacca il partito, anzi lo frantuma. In poche ore la linea di faglia risale sino al vertice nazionale, e la situazione diventa talmente preoccupante che il gruppo dirigente del Pdl corre a riunirsi a Palazzo Grazioli con Silvio Berlusconi. Il Paese è attonito, rabbioso. Interviene il Capo dello Stato; intervengono i vescovi italiani, addirittura il Papa. Tutti gridano allo scandalo, parlano di vergogna, chiedono moralità. Alla fine, il presidente di centrodestra della Regione è costretto a dimettersi. Tra le tante voci che si sono levate per gridare la propria indignazione, però, una manca all’appello; incredibilmente è quella del Pd.

Sì, perché il capogruppo regionale del partito – che nel Lazio è all’opposizione – invece di azzannare l’avversario si è dovuto trascinare di tv in tv per chiedere penosamente scusa: avremmo dovuto – dice – non prendere anche noi quei soldi. E così si scopre che nel pieno della crisi economica, la maggioranza di centrodestra deliberava misure lacrime e sangue a carico dei cittadini ma poi, senza dare alla cosa troppa pubblicità e d’accordo con l’opposizione, aumentava i fondi a disposizione dei gruppi regionali: un bel regalo per tutti i partiti, un regalo da molti milioni di euro. In silenzio, e senza dover giustificare nulla o quasi. L’unica differenza, alla fine, tra i partiti fu come quei soldi erano stati spesi. Una differenza non di poco conto, peraltro: è quella che passa tra la legalità e l’illegalità. E, però, il punto politico è nella scelta di spartirsi i milioni, in silenzio e nonostante tutto; scelta ancor più scellerata in quanto, allo scoppio dello scandalo, ha tagliato le gambe al Pd impedendogli di cavalcare le notizie.

Ma, soprattutto, il marchio di infamia per la sinistra e il Pd risiede nel venir meno di quella tensione ideale e morale alla quale si riferiva Berlinguer e, dunque, nel tradimento della sua battaglia, un tradimento che è evidente [non tanto in un generico “rubare”, che è cosa che eventualmente, e da che mondo e mondo come testimonia addirittura l’Antico Testamento, ha a che fare con l’essere umano, quanto piuttosto] nel sistematico sedersi, senza più distinguersi e neppure immaginarsi diversi, al tavolo al quale sono seduti coloro che hanno occupato lo Stato [tanto che, a proposito di quella famosa intervista concessa a Eugenio Scalfari, si dovrebbe più correttamente parlare di questione politica, e non di questione morale, giacché è soprattutto questo il problema che pone Berlinguer].

Ecco, non mi stancherò mai di segnalare che buona parte dei protagonisti di quella consiliatura ritennero opportuno fare un passo indietro (tra l’altro sono tutti sotto inchiesta) solo per farne tre in avanti. Tutti promossi sul campo.

E infatti Moscardelli, Lucherini, Scalia, Astorre, Valentini siedono in Senato. Montino in Senato ci ha messo la moglie, e lui è sindaco di Fiumicino. Continuano ad essere potentissimi nei loro territori.

Alla faccia di Berlinguer e dell’opportunità politica (e morale) di fare un passo indietro e restare là dove si era.

Potrebbe essere il caso di de-informatizzare, a volte?

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Una delle novità della scuola (media inferiore, nel caso dei ragazzi) introdotta quest’anno è il registro elettronico. Ti colleghi da casa con un tuo nome utente e una tua password e puoi accedere a varie informazioni. I voti, le assenze, i compiti a casa. A dire il vero non ne sentivo il bisogno in modo particolare, diciamo che in casa qualche parola ancora si scambia, magari a cena ci si racconta la giornata si chiede anche ai figli cosa sia successo a scuola. Per ora rispondono, poi si vedrà.

Ulteriore funzione del registro elettronico è, ovviamente, la possibilità di consultare la pagella on-line.

Ecco, non mi è piaciuto.

Mi è mancato il contatto umano con i professori, che ti consegnano un foglio e ti guardano negli occhi mentre raccontano un successo, o un fallimento, di tuo figlio.

Condividere quel momento vis a vis fa si che venga raccontata la storia di quel foglio di carta che contiene apparentemente solo numeri, ma che invece nasconde un percorso di crescita, di autonomia, di speranza, fatto di piccoli grandi errori, di piccoli e grandi conquiste.

E così esci da quell’edificio orgoglioso, o depresso, o sconsolato, o fiducioso. Magari la brezza mattutina dell’estate che sta per arrivare ti asciuga una lacrima, o ti fa sbollire la rabbia. Quello che sia, ma sei umano, umanissimo, in quel momento.

Si può tornare alla scuola 1.0, in questi casi?

Parlando di Coalizione Sociale e di Sinistra

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Sono andato domenica all’assemblea nazionale della Coalizione Sociale, per sentire che aria tirava, per ascoltare qualche intervento e farmi un’idea live di come si sta muovendo un pezzo della sinistra italiana.

La Coalizione Sociale ha un grande potenziale perché le associazioni che ne fanno parte sono la prova vivente, con il loro agire quotidiano, della possibilità di creare un modello di società diverso. Le battaglie per i saperi diffusi, le mobilitazioni dal basso delle comunità di quartiere che operano nel sociale, i presidi nelle fabbriche, il sostegno alle lotte per la difesa dei beni comuni sono un patrimonio dell’intera società italiana. Perché suppliscono ad un welfare ormai inadeguato, perché tengono viva l’attenzione sul dramma della casa, delle fabbriche che chiudono, degli operai che perdono il lavoro, delle scuole che non riescono fino in fondo a seguire gli alunni più deboli. Perché parlano di sostenibilità, di vivibilità delle città, di consumi consapevoli, di riuso di cose e di luoghi.

Però rappresentano ancora un pezzettino della sinistra italiana. Un pezzettino ancora largamente minoritario, che si muove tra i centri sociali, gli esclusi, tra chi da tempo ha scelto una via extraparlamentare per rivendicare i propri bisogni e per mettere in pratica la propria idee di società. Ripeto, utilizzo i termini centri sociali, esclusi, extraparlamentari nella accezione più positiva possibile del termine. Ma non basta, è evidente. Occorrerà fondere le esperienze positive della Coalizione con tutti gli altri mondi della sinistra: gli elettori che hanno abbandonato il PD, da tempo o di recente, tutti quelli che provengono da una storia di sinistra e non hanno più avuto una rappresentanza da un decennio a questa parte, i delusi che non si sono più recati alle urne. Pezzi di sinistra che si stanno, a loro volta, organizzando. E occorrerà farlo dal basso, valorizzando le esperienze sul campo e da qui ripartire per creare una nuova classe dirigente. I padri nobili sono ben accetti, ma non accampino ruoli di primo piano, non chiedano candidature altrimenti la nascente sinistra, che già ha dinanzi a sé un compito difficile, avrà perso in partenza. Si individuino dieci temi fondamentali sui quali costruire una proposta alternativa per il governo del Paese, alternativa al PD e si martelli su quelli, ossessivamente, fino alle prossime elezioni. Si esplorino mondi nuovi nella partecipazione, nella comunicazione, nel coinvolgimento dei cittadini.

È un’impresa, e come tutte le imprese nulla è dato per scontato, nulla è semplice. Ma non è un’impresa impossibile.

Conflitto su confitto

Ci vive di conflitti, Renzi. È la sua cifra. Correre implica abbattere ostacoli. Quindi demolire. Quindi confliggere con persone, idee, tutto ciò che possa osare rallentare la corsa.

Vecchi contro giovani. Precari contro garantiti. Insegnanti gli uni contro gli altri. Magistrati contro cittadini.

Quanto renda il suo correre, e il suo confliggere, non è chiaro. Dopo le Europee sembrava che la strada, dal suo punto di vista, fosse quella giusta. Dopo il voto delle Regionali forse un po’ meno, ma non credo che il ragazzo cambierà rotta.

E infatti di conflitto se ne inventa un altro.

Assistenzialismo contro lavoro.

Qui lancia la sfida alla sinistra, ai movimenti, alle associazioni, a tutti quelli che del reddito minimo garantito stanno facendo una battaglia importante, giusta e rivoluzionaria, almeno per il nostro Paese.

È un argomento facile, quello dell’assistenzialismo, che colpisce alla pancia delle persone prima che al cervello. Un cervello che, se acceso, dovrebbe far riflettere su un welfare che va rivisto dalle fondamenta, tra detrazioni, CIG, sovvenzioni a pioggia ad imprese che rendono, di fatto, inapplicata la nostra Costituzione e ci relegano in fondo alla UE, unico Paese, con la Grecia, a non essersi dotato si uno strumento di sostegno al reddito che accompagna i lavoratori in caso di disoccupazione.

Quindi da una parte i parassiti, che vogliono vivere di assistenza, quelli della sinistra massimalista, quelli del gettone nell’IPhone. Dall’altra parte “noi” che corriamo, che produciamo, che vogliamo creare lavoro, che vogliamo uscire dalla crisi (come non è dato sapersi).

Tutto molto semplice, chiaro, schematico, nella vulgata renziana. Il nuovo nemico è servito. Se otterrà i risultati sperati, si vedrà. Mi permetto di nutrire qualche dubbio.

Il silenzio che uccide

Forse quello strano sono io. Oppure mi sono perso qualcosa, oppure mi sono informato male.

Però, davvero, credo che di fronte all’omicidio di Mario Piccolino avvenuto qualche giorno fa il silenzio dei componenti pontini della commissione parlamentare antimafia sia assordante.

Certo non mi aspetto dichiarazioni di fuoco contro le infiltrazioni malavitose da parte di Claudio Fazzone, però ricordo a tutti che in commissione siede anche Claudio Moscardelli, del Partito Democratico. E fino ad oggi non ha trovato il tempo per dire una parola che sia una su questo omicidio che o è stato commesso da un pazzo oppure è un’esecuzione di mafia vera e propria.

Aspettiamo fiduciosi una voce dall’istituzione, mica dall’uomo.

Expo? Si, dei popoli.

Di questi tempi capita che si chiacchieri tra amici e ad un certo punto qualcuno chieda all’altro: ma tu ci vai all’Expo?

Ecco, io penso proprio che non andrò all’Expo. Non che non sia interessato alle architetture dei padiglioni, ci mancherebbe. Però davvero ho l’impressione che si stia riducendo quello che poteva essere un momento di seria riflessione su come nutrire, in futuro, il pianeta in una grande fiera del cibo mondiale e poco più. A prezzi esorbitanti per i visitatori, peraltro.

Un evento di tale portata non è stato preparato nelle coscienze delle persone, e di sicuro non è stato preparato nelle coscienze di noi italiani, cittadini del paese ospitante.

Avrei voluto vedere un lavoro preparatorio nelle scuole, ad esempio, per insegnare ai ragazzi una corretta alimentazione, sempre più importante visto l’aumento dell’obesità infantile. E, possiamo dirlo, non è che McDonalds e Coca-Cola non siano proprio attenti nell’incentivare una corretta alimentazione presso i ragazzi.

Avrei voluto che si fosse aperto, per tempo, un dibattito serio, nel paese, sugli OGM, quantomeno per rendere i consumatori liberi di scegliere, consapevolmente, cosa mangiare e cosa non mangiare.

Avrei voluto che si denunciasse con forza lo sfruttamento dei lavoratori nei campi, il caporalato, la schiavitù che ancora oggi esiste nella pianura pontina, a Nardò, a Rosarno, a Pachino.

Avrei voluto che si discutesse di come salvaguardare le specie in estinzione, come il tonno rosso, pescato sulle rotte migratorie in atlantico ancor prima che arrivi sulle coste del mediterraneo.

Avrei voluto che fosse lanciata una campagna mondiale contro lo spreco di cibo, e non lasciare esclusivamente alla buona volontà dei singoli paesi l’approvazione di leggi sui reati alimentari.

Niente di tutto questo è stato messo in campo, mi sembra. E allora i turisti vadano alla fiera del cibo mondiale. Personalmente, me ne sto a casa.

E se vi interessano gli argomenti ai quali accennavo, magari potete fare un giro all’Expo dei Popoli.

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