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Gli Stati Popolari

Due passi a Gli Stati Popolari, domenica pomeriggio, me li sono fatti. Ma due due. Ero uscito con l’intenzione di ascoltare, prima di tutto. E poi di fare qualche foto, che mio papà m’ha passato ‘sto vizio e non posso farci niente. Però un po’ che sono andato alle quattro e mezza e sembrava davvero di stare nella Death Valley anziché a Piazza San Giovanni, un po’ che per quanto fossero continui gli appelli a stare distanziati avevo la percezione che si stesse troppo vicini e io non sono ancora pronto a stare in mezzo alla folla, fatto sta che me ne sono andato via presto, e quindi il clou della manifestazione me lo sono perso.

Ho avuto il tempo di scattare qualche immagine, salutare un paio di compagni di quelli veri, incontrare Papa (non IL Papa, ma Papa, il Boss, chi lo conosce, sa) e maturare qualche impressione.

Chi c’era in piazza a manifestare?

Gli invisibili.

Quelli che esistono e che in molti fanno finta di non vedere.

Quelli che raccolgono la frutta e la verdura e gli ortaggi che mangiamo ogni giorno. Quelli che ci portano il cibo a casa quando ci rompiamo di uscire di casa. Quelli che ci portano a casa oggetti di cui molto spesso potremmo fare a meno. Quelli che mandiamo a quel paese all’ennesima telepromozione. Quelli che tengono puliti i nostri uffici. Quelli che tengono puliti i nostri treni. Quelli che insegnano ai nostri figli e che restano disoccupati alla fine di ogni anno scolastico.

Quelli. Avete capito.

Ce ne sono tanti, nel nostro Paese. Che chiedono di non essere più invisibili. E però dare rappresentanza a questo mondo è bello complicato. Se ne parla bene qui.

In effetti anche per quello che ho potuto vedere, e per quello che ho potuto percepire, domenica in piazza non c’erano particolari sponsor politici. In questa fase meglio così, ci vuole davvero poco a trovarsi sul palco un Ferrero che si trova a passare di là.

Vista dal lato sindacale, pur conoscendo tutti gli sforzi che fa la mia CGIL per provare a rendere visibili queste lavoratrici e di questi lavoratori attraverso la rivendicazione dei loro diritti (penso alle battaglie fatte per i rider), penso di poter dire che la maggior parte delle persone che hanno riempito quella piazza dalla CGIL non si sentano rappresentati. E questo, oltre che dispiacermi, mi fa capire che occorre darsi una mossa, e occorre essere credibili e fare uno sforzo immane per intercettare queste criticità e scardinarle dalle fondamenta. Entrare nei luoghi di lavoro, anche quelli dematerializzati, studiare, capire e soprattutto dare risposte, senza tentennamenti, per estendere le tutele a chi oggi è in balìa di imprenditori e manager senza scrupoli, senza morale, dediti solo al potere e al profitto. E su questo, per come la vedo, non dovrebbero esistere accordi al ribasso per tener conto di diverse sensibilità. L’unità sindacale non è un valore in sé se porta a diritti a metà, a tutele a metà. Serve essere radicali. Anni e anni di compromessi ci hanno portato esattamente al punto in cui siamo. Anche prima dell’emergenza sanitaria che ha poi fatto esplodere tutto il sistema produttivo. Ma la ripresa non può fondarsi sullo sfruttamento delle lavoratrici e dei lavoratori. Il ricatto occupazionale deve trovare un muro invalicabile. Altrimenti quella piazza, quelle piazze continueranno ad essere frequentate da invisibili.

Di classe operaia, di dignità, di musica che ti emoziona

Mi sa che l’ho detto più di una volta, ma nel corso della mia adolescenza sono cresciuto a pane e musica. Cassette (tante, rigorosamente registrate da amici) consumate, vinili (pochi, chi ce li aveva i soldi per comprarseli) che frusciavano su piatti improbabili, ma una colonna sonora ad accompagnarmi c’era sempre e comunque. Amici di amici che spacciavano cassette sottobanco: “uee’, ascolta questo!”. “No dai questo lo devi sentire assolutamente!” e così via.

Capitò quindi che attorno ai 16 anni Gianluca mi presentò Gianni, che aveva due tre anni più di noi e che comunque era già automunito, e iniziammo ad uscire insieme. Gianni era folgorato per i Gang e così quando si usciva in macchina mettevamo a palla Barricada Rumble Beat e si andava. Alla fine Gianni non si chiamava più Gianni ma il suo nome era diventato Bad News.

Quando lo vedevo gli urlavo: “Ueee, Bad News!”

Perché Bad News? Da questo:

All’epoca i Gang cantavano esclusivamente in inglese, e la loro musica era infarcita di tutte le loro esperienze e loro influenze artistiche. Nel 1991 sarebbe arrivato “Le radici e le ali”, primo disco in italiano che segna in maniera definitiva il loro schierarsi dalla parte degli ultimi della terra, senza se e senza ma.

Ho continuato ad ascoltarli nel tempo, insieme a tutto il resto. Ma comunque capita che qualche cosa te la perdi, e qualche pezzo che non hai sempre sottomano si va a mettere in un angolino del cervello e aspetta solo di essere tirato fuori. Uno di questi è Sesto San Giovanni.

Meno male che ci ha pensato Mariadele, con i suoi Freak Out String Quintet prima e a Stazione Tiburtina l’altro giorno.

Ve le faccio sentire tutte e due, la cover e l’originale dal vivo.

La bufala dei porti chiusi e l’incompetenza del governo italiano

Sostanzialmente non è mai stato emesso alcun provvedimento di chiusura dei porti. È questa una prerogativa del Ministro dei Trasporti, che può adottarlo in caso di rischi per la pubblica incolumità, per l’ordine pubblico, e figuratevi se quella ameba di Toninelli sarebbe mai capace di fare qualcosa del genere. Quindi una nave, qualsiasi nave, anche una nave di una ONG, potrebbe attraccare in un porto italiano. A quel punto potrebbe essere competenza del ministro degli interni vietare lo sbarco da una nave che ha attraccato, sempre per motivi di ordine pubblico, motivando la sua decisione. Rischiando magari un’accusa di abuso d’ufficio o non so di quale altro reato, nel caso i motivi di ordine pubblico posti alla base di un diniego allo sbarco fossero immotivati.
Quindi tra provvedimenti di chiusura dei porti inesistenti, si sta consumando la vicenda delle due navi che da giorni girano al largo di Malta, in attesa che l’Europa, tutta, vigliacca, tutta, Italia compresa, trovi una soluzione che valga per loro e per il futuro in merito alla ripartizione dei profughi che arrivano sui barconi.
E così mentre è in atto una difficile trattativa sulla pelle di 49 disgraziati e di altri 250 circa sbarcati a Malta nei giorni scorsi, una trattativa che vede comunque in campo il nostro presidente del consiglio che faticosamente raggiunge un compromesso con gli altri paesi sul ricollocamento delle famiglie (tutte intere) dei migranti, arriva quel genio di Di Maio che sostanzialmente sbugiarda Conte (Italia pronta ad accogliere donne e bambini, si dividono le famiglie), usa parole che fanno incazzare maltesi, tedeschi, francesi, olandesi, spagnoli (facciamo vedere noi cos’è l’umanità) e tutto torna in alto mare, letteralmente.
Se si voleva una ulteriore prova del pressapochismo, del dilettantismo, dell’incompetenza del governo tutto, eccovelo.

Il mondo perfetto

Sarà un complotto dei soliti noti, sarà l’economia che, in assenza di regole socialmente sostenibili, si regola da sé e quindi volge naturalmente verso l’aumento costante del divario tra ricchi e poveri, una sorta di entropia delle disuguaglianze, ma sta di fatto che la guerra tra poveri alla quale assistiamo ormai da anni coinvolge tutto e tutti e sembra non aver fine. Che poi sentirsi minacciati da chi sta peggio di te è un attimo, e allora dagli all’immigrato, al bracciante, all’ambulante, al baraccato, al Rom, all’accattone, al musicista di strada, al clochard, al lavavetri, alla prostituta, al bangladino, al rifugiato. La cui condizione di povertà è alimentata da chi non se la passa benissimo.

Uno spaccato della situazione lo offre questo articolo di Internazionale. 

Generalmente al discount è più facile incontrare persone che hanno capacità di spesa inferiore alla media, in cerca di offerte e di prezzi vantaggiosi. A scapito di chi? Dei produttori, che pur di prendere commesse dalla grande distribuzione lavorano in perdita. E su chi si rifanno i produttori? Sugli utenti, con un prodotto di peggiore qualità, e su chi raccoglie e lavora il prodotto, vittima di dumping salariale senza fine. Il povero che fotte il povero.

Altro esempio nell’abbigliamento. I negozi più affollati sono ormai da tempo H&M, Bershka, Pull&Bear, Zara. Compri a poco roba già di suo abbastanza scadente, e come per il cibo se una maglietta costa 10€ qualcuno l’avrà prodotta con paghe da fame, visto che il margine per le aziende c’è sempre. E poi c’è la distribuzione, il trasporto. Tutti strozzati.

Tutti poveri che si fottono tra di loro.

C’è ancora speranza a Minturno

Mentre tra i candidati a Sindaco di Minturno c’è chi è contrario a qualsiasi forma di accoglienza e solidarietà nei confronti dei migranti, una figlia di Minturno, Sabrina Yousfi, si sta impegnando in prima persona per portare aiuti a bambini, donne, uomini costretti a vivere in condizioni disumane nel campo di Idomeni. Qui trovate una sua intervista.

Il ruggito dei conigli

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Il Vecchio

Pretendere qualcosa da lui è impensabile. Ma, considerando l’estrazione liberal-fascio-clericale di quello che rimane del blocco sociale di Forza italia, la libertà di coscienza sul DDL Cirinnà è il massimo che si possa pretendere. Minimal rabbit.

Il Giovane

Alle prese con la fronda catto-oscurantista del PD, la scelta della libertà di coscienza è l’unico modo per tenere insieme il PD. Che poi la libertà di coscienza venga evocata solo per i temi eticamente sensibili, beh, è un segno dei tempi che non cambiano. Anzi, del verso che non cambia. Rabbit number 1.

Il Buffone

Quello che si gioca, sulle spalle di persone, bambini, coppie che attendono semplicemente di vedere riconosciuti i propri diritti, la possibilità di dare una spallatina al governo. Facendo incazzare pure la sua base. Master of rabbits. O semplicemente master of paraculi.

E tra tanti conigli ci stanno quelli che il DDL Cirinnà lo votano così com’è, nonostante sia un compromesso al ribasso. E nonostante questo trovano lo stesso le ragioni per non stare insieme, nel Parlamento, nel Paese. Adducendo, il più delle volte, motivazioni puerili a dir poco. Con quello lì? Giammai! Con quell’altro? Ma che sei pazzo?

Io so’ meglio, e tu nun sei un cazzo.

Appello alle famiglie che partecipano al Family Day

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Lanciato da AGEDO, qui.

Cari manifestanti del Family Day,
come soci dell’A.GE.D.O. (Associazione di genitori, parenti e amici di persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender ) vogliamo, insieme alle altre associazioni (Lgbt e non) che firmano questo appello, lanciarvi un messaggio a poche ore dall’avvio del vostro corteo.
Noi, prima di essere attivisti, siamo madri e padri che, ad un certo momento della loro vita, hanno dovuto fare i conti con l’orientamento sessuale o con l’identità di genere dei propri figli. Per alcuni il coming out dei propri ragazzi e ragazze è stato un momento di gioia, per altri di disorientamento, per altri ancora di disagio, paura e vergogna ed è stato necessario un cammino a volte anche lungo per comprendere . Per tutti è, o dovrebbe essere, il momento in cui un genitore fa sapere al proprio figlio che sarà sempre amato per quello che è.
Oggi sarete in piazza in migliaia; nonostante facciate fatica ad immaginarlo, è statisticamente sicuro che tra i vostri figli vi siano molti ragazzi e ragazze che, anche se non vi hanno mai confidato nulla, sono gay, lesbiche, bisessuali e transgender e che, in questo momento, si stanno chiedendo se avranno una vita felice come tutti i loro fratelli e amici, oppure no.
Quali stati d’animo pensiate possano prevalere quando vi sentiranno urlare in piazza che c’è una sola famiglia e che essere omosessuali, bisessuali, transessuali, “non è naturale”? Da anni una delle principali attività del nostro movimento è combattere contro il bullismo nelle scuole: pensiamo che quella dei giovani che soffrono e in qualche caso arrivano al suicidio perché vittime di pregiudizi sia una realtà intollerabile che dovrebbe scandalizzarci e mobilitarci tutti. È molto difficile però intervenire a sostegno di ragazzi e ragazze che non possono raccontare ai genitori cosa subiscono perché temono che i sentimenti che provano vengano giudicati sbagliati, perversi, da condannare.
Per questo vi diciamo oggi: se come dite voi volete difendere i vostri figli, astenetevi dal chiedere allo Stato di negare la possibilità ai giovani gay, lesbiche, bisessuali e transgender di avere gli stessi diritti dei loro coetanei eterosessuali. Sono parole che non fanno male solo a noi, ma, prima di tutto, fanno male alle migliaia di giovani italiani che ancora non hanno il coraggio di dichiararsi nelle loro famiglie e non riescono a vivere serenamente e alla luce del sole la loro affettività.
Voi siete in piazza perché dite di difendere la famiglia tradizionale. Noi vorremmo che tutte le famiglie che ci sono oggi, concretamente, in Italia, fossero rispettate per quello che sono. Per voi domani è il Family Day, per noi ogni giorno è buono per far crescere il rispetto e la comprensione dentro ogni famiglia e per ogni famiglia.

Agedo
Famiglie Arcobaleno
Arcigay
ARC Cagliari
Cild
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Arci
Gay Center
Rete Genitori Rainbow
Gaynet Italia
Certi Diritti
Coordinamento Torino Pride
Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli
Azione gay e lesbica
Equality Italia
Edge
La Fenice gay
Ireos
Circolo Tondelli
Anddoss

 

I conti si fanno alla fine

Anzi, fra tre anni. Tanto bisogna aspettare per capire quale sarà stato l’impatto del jobs-act sul mondo del lavoro italiano. E sul precariato.

I 79.000 (ricordate questo numero, diventerà un mantra come 40,8) assunti grazie alle decontribuzioni introdotte nella legge di stabilità e quelli che verranno con il contratto a tutele crescenti sono una buona notizia ma, consentitemi, anche un’ovvietà. Se lo strumento prevalente (non unico, lo sappiamo) è quello del contratto a tutele crescenti, e soprattutto se è conveniente per le aziende, è ovvio che i nuovi assunti (oppure le altre forme contrattuali preesistenti che sono trasformate nel nuovo contratto) usufruiscano di quella tipologia di contratto.

Penso alla mia azienda. i 5 entrati nelle ultime settimane invece del contratto interinale avranno il contratto del jobs-act. Ma sempre precari sono, per i prossimi tre anni.

Il 27 marzo del 2018 sapremo se avranno meritato l’agognato contratto a tempo indeterminato o se saranno rimasti precari.

Il tempo, come sempre, sarà galantuomo.images

Io discrimino, tu discrimini, egli discrimina

Le ho sentite le motivazioni di Scalfarotto, a giustificazione della non applicabilità del ddl sulle unioni civili alle coppie eterosessuali. Ma non mi hanno convinto.

C’è il matrimonio civile per loro, dice Scalfarotto. C’era da sanare una discriminazione, continua il sottosegretario. E che fai, sani una discriminazione con un’altra discriminazione? Ma non è meglio allargare, estendere i diritti, piuttosto che circoscrivere le fattispecie?

E poi, utilizzando lo stesso (validissimo) argomento a favore dei matrimoni tra coppie dello stesso sesso: ma a te, cosa viene tolto se una coppia eterosessuale usufruisce della legge sulle coppie di fatto?

L’Italia vista dagli occhi di un bambino siriano

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Save the Children ha raccolto i disegni dei bambini siriani arrivati nel nostro Paese.

In questo disegno mi ha colpito la parola “ciao”, i colori, le espressioni abbozzate ma sorridenti di chi arriva e di chi accoglie. E pensavo che dopotutto il nostro Paese non può che essere questo. Una porta sul Mediterraneo, aperta all’accoglienza di chi fugge dalla guerra, dalla  miseria.