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Una doppia assunzione di responsabilità

Quando i cittadini elettori esprimono un voto, quella scelta può assumere diversi significati a seconda di dove si posa lo sguardo dell’osservatore. O a seconda delle convenienze di chi si sente coinvolto in prima persona nell’affare.

Sul post-voto del 4 marzo, in questi giorni e in quelli futuri, se ne sentono e se ne sentiranno di tutte le risme. Confido nella saggezza del Presidente Mattarella per uscire vivi.

C’è chi dice di aver vinto e di avere il diritto di governare anche se non è maggioranza, c’è chi ha perso e vuole stare all’opposizione perché lì ritiene che sia stato messo dagli elettori, c’è chi ha perso ma non sente di dover autoescludersi da assunzioni di responsabilità. Si, nel voto di dieci giorni fa c’è tutto questo, e proprio dalla considerazione che non tutto è netto come sembra, o come qualcuno vuole farlo apparire, occorre ripartire per uscirne.

Metto subito le cose in chiaro: vista l’esperienza che vivo a Roma tutti i giorni, e vista la qualità dei personaggi di punta di M5S (Di Maio, Toninelli, Lezzi, Bonafede, Lombardi…), li considero (quasi del tutto) inadatti a governare in prima persona il Paese. Però gli altri vincitori delle elezioni sono i componenti della coalizione di centrodestra a trazione Salviniana, con il loro programma a base di “prima gli italiani”, “fuori gli immigrati”, “con la polizia senza se e senza ma”, “la flat-tax è equa”, “basta Europa” e questo mi basta. Di fronte alla (voluta) vaghezza di M5S su temi cardine quali immigrazione, sicurezza, Europa, vaghezza che però raccoglie consensi trasversali tanto da far ricordare l’ecumenismo della DC, riesco ancora a discernere tra razzisti, omofobi, fascisti, liberisti, populisti, antieuropeisti veri rispetto a chi raccoglie un voto di ribellione e protesta (non solo, ovviamente) rispetto a tutto quello che è stato fonte di delusione fino ad ora, soprattutto da sinistra. E proprio per la storia comune, anche recente, che caratterizza l’elettorato di M5S, di (parte del) PD, di LeU, allora credo che una strada comune vada trovata, se non vogliamo trovarci una destra becera e lepenista al Governo.

Certo, non a tutti i costi. O facendo ricadere i costi dell’operazione esclusivamente su uno dei possibili alleati.

In questi giorni l’arroganza di Di Maio sta assumendo livelli siderali. Aver ottenuto la maggioranza relativissima non implica automaticamente la possibilità di governare. Per lo più da soli. Se il 32 e rotti % degli italiani ha scelto M5S, il 68% NON ha scelto M5S e quindi non si può pretendere che le altre forze politiche si scansino e consentano la nascita di un governo monocolore. Non è un attacco alla democrazia rifiutarsi di collaborare con M5S, e basta con i piagnistei. La maturità politica, qualora raggiunta, implica dialogo, passaggi ufficiali, compromessi, nell’accezione più positiva del termine.

Di contro nel PD ancora bruciano, comprensibilmente, le immagine della diretta streaming del 2013 nella quale Bersani implorava M5S di assumersi una responsabilità per il bene del Paese mentre i suoi interlocutori godevano nell’umiliarlo (a dire il vero immagino abbiano goduto anche un bel po’ di persone NEL PD. Un nome a caso?). Così come è comprensibilmente difficile dimenticare gli insulti (a dire il vero reciproci) che il PD ha dovuto subire, a torto o a ragione, in questi 5 anni di legislatura e durante la scorsa campagna elettorale.

Allora, come provare ad uscirne?

Con due gesti responsabili e nel loro piccolo rivoluzionari, mi si passi il termine.

M5S faccia al PD una proposta ufficiale con 5 punti programmatici chiari e qualificanti sui quali provare a cercare una convergenza. Lavoro, ambiente, diritti, scuola e ricerca, lotta alla criminalità. Se le idee sono quelle di Tridico, credo che bisognerebbe almeno andare a vedere le carte fino in fondo. Di Maio e i capetti vari facciano un passo indietro come gesto di buona volontà e indichino come premier una personalità di alto profilo esterna al Movimento.

Sulla base di questa proposta il PD dia un segnale forte di discontinuità con il passato e utilizzi lo strumento del referendum interno (previsto dallo statuto e mai utilizzato) convocando iscritti ed elettori delle primarie (le ultime o le ultime due) mediante gli elenchi (anche questi mai utilizzati, se non per rompere i cabasisi durante le campagne elettorali). Il referendum l’ha fatto l’SPD in Germania per decidere se sostenere il governo Merkel o meno, non vedo perché non potrebbe essere fatto dal PD per analogo motivo.  Se dal referendum scaturirà un no, avranno deciso gli elettori del PD.

Con l’avvertenza che, si dica no subito o no dopo il referendum, ci si assume la responsabilità di mandare al governo fascisti, omofobi, razzisti, populisti, antieuropeisti, liberisti. In Francia, davanti al pericolo Lepenista, le forze democratiche non hanno avuto dubbi. Forse è il caso di prendere esempio.

Ma non è una cosa seria

Nel 2012 partecipai alle parlamentarie del PD, aperte ad iscritti ed elettori (persone in carne ed ossa, non click dietro uno schermo). Per quanto siano uno strumento perfettibile, che non mette al riparo dal selezionare persone che hanno il solo merito di essere obbedienti al loro capo o che non hanno dimostrato alcuna capacità nel corso della loro esistenza, continuo a pensare che siano un buon metodo per selezionare chi deve rappresentare un partito in Parlamento. Di certo non avremmo assistito alle pantomime di questi giorni che hanno riguardato tutti i partiti. Perché di pantomime si tratta. Un agitarsi freneticamente che sa di farsa, come se i vari attori non sapessero esattamente cosa si sarebbe consumato in queste ore. Resta il dubbio se chi abbia subito il “danno” maggiore da tutto ‘sto teatro, se quelli che più si sono lamentati di paracadutati, di territori mortificati, di esclusioni ingiustificate, sia più ingenuo o incapace. Voglio essere buono e propendo per la prima ipotesi.

Quello che ho capito (forse) della situazione in Catalogna

Confesso la mia ignoranza sulla storia della Catalogna, sulle vicende che hanno portato alla situazione di questi giorni. Mi informerò meglio. Salta agli occhi di tutti che la violenza messa in campo dal governo Rajoy è tanto deprecabile quanto vergognosa. Credo però che il referendum abbia sancito un risultato difficilmente contestabile: avendo votato meno della metà dei catalani, la maggioranza dei catalani non vuole staccarsi dalla Spagna. E anche la manifestazione di oggi dimostra che c’è una larga fetta di popolazione spagnola, compreso chi vive in catalogna, che tiene all’unità del Paese. Spero solo che le parti sappiano dialogare e che non intervengano ulteriori strappi che rischiano solo di aumentare il rischio di innescare nel Paese una spirale di violenza che nessuno sa dove andrà a parare.

Latina detta la strada?

A Latina in questa tornata di elezioni amministrative sta avvenendo un piccolo grande miracolo. O forse non non si tratta di un miracolo, ma semplicemente del risultato di un lavoro fatto bene. E cosi succede che Damiano Coletta, medico da sempre impegnato nel volontariato, nello sport, nelle attività culturali della città, a capo della Coalizione Latina Bene Comune, domenica ha moltissime probabilità di diventare il primo sindaco di sinistra di Latina.

Latina la nera, amministrata solo da democristiani o fascisti, da sempre. Latina che ha visto il centrosinistra prendere solo mazzate, con tutti i suoi migliori (?) esponenti: Mansutti, Di Resta, Moscardelli due volte e adesso Forte. Mazzate che non sono mai servite (e tutt’ora non servono) ad azzerare una classe dirigente fallimentare del PDS, dei DS, del PD, cittadina e provinciale, che però ha avuto sempre la furbizia di legarsi al carro dei vincitori. Adesso tutti renziani, figuriamoci se ammetteranno fino in fondo i propri errori. Ma questi, decisamente, sono fatti loro.

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E così succede che da dopo l’estate inizia a prendere corpo la coalizione LBC, che sfrutta al meglio il radicamento sociale di molti dei suoi protagonisti principali, già da tempo attivi in città. Si unisce alla coalizione la parte migliore della sinistra cittadina, molti fuoriusciti dal PD dopo aver provato a cambiarlo, inutilmente, da dentro. Condite il tutto con l’evaporazione di M5S in città che non presenta nessuno a questa tornata elettorale e che però ha tre parlamentari epurati da Grillo e allora capite come LBC possa aver costruito il suo successo, al di là del risultato di domenica.

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È un modello replicabile altrove, e su scala più ampia? Probabilmente si. Prendete Roma. La generosità di Stefano Fassina non è  bastata ad invertite la tendenza negativa della sinistra che non riesce più ad intercettare il proprio elettorato laddove si presenta in forme dal contenuto innovativo dubbio e in più non avendo risolto a priori il nodo dei rapporti col PD. Aggiungeteci poi l’effetto traino di un candidato M5S forte, se non altro per la carica simbolica che assume la competizione per la Capitale del Paese ed ecco che la sinistra, pur continuando a porre questioni fondamentali per la costruzione di una città e di un paese più attento alla giustizia sociale, alla legalità, al rispetto dell’ambiente, raccoglie pochissimo.

Potrebbe, quella indicata da LBC, la strada? Potrebbe essere la fusione calda di pezzi di società, movimenti, liberi cittadini che condividono un progetto e i suoi valori fondativi senza alcun riferimento ai partiti la scelta vincente? Potrebbe, certo. Le elezioni amministrative hanno mostrato la debolezza intrinseca dei partiti di sinistra, vecchi, nuovi e nuovissimi. Forse potrebbe essere più utile, in questa fase, aggregare associazioni e movimenti anche a livello nazionale senza una struttura di partito vero e proprio, magari sfruttando l’appuntamento del referendum di ottobre per creare massa critica e coinvolgere pezzi di società che sviluppano l’orticaria solo a sentire nominare i partiti? Vedremo.

Nel frattempo, in bocca a lupo a Damiano Coletta e agli amici di Latina Bene Comune,

Roma, la metropolitana, l’archeologia

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È di questi giorni la notizia, non certo inaspettata, di importantissimi ritrovamenti archeologici durante i lavori di realizzazione della nuova fermata della Metco C Amba Aradam – Ipponio.

Come valorizzare la massimo i tesori nascosti nel sottosuolo romano, integrandoli con le nuove infrastrutture, delle quali peraltro la città ha un maledetto e disperato bisogno?

A mio avviso l’unica strada resta quella tracciata nel passato da Adriano La Regina  e ripresa di recente da Walter Tocci.

Non bisogna nascondersi dietro le difficoltà archeologiche. Esse, al contrario, possono diventare opportunità, come prevedeva il progetto originario. Per merito di Adriano La Regina, uno dei migliori soprintendenti italiani, si decise di seguire nella progettazione il nuovo “metodo Roma” basato su una forte integrazione tra ingegneri e archeologi. Esso consiste nel collocare i rigidi volumi delle stazioni molto in basso, a ridosso della galleria, a circa trenta metri di profondità, per evitare l’impatto archeologico. Lo strato antico soprastante viene attraversato solo con le scale mobili che possono essere disegnate con più flessibilità e in modo non invasivo anche vicino ai reperti, i quali non solo vengono tutelati ma diventano visibili per i viaggiatori. Le stazioni si trasformano in musei sotterranei che aiutano a scoprire un’altra Roma ancora sconosciuta, ad esempio – sotto il rione Parione – i resti del teatro di Pompeo, un gigantesco monumento antico, oggi visibile per un frammento all’interno di un ristorante vicino Campo de’ Fiori. La linea C è stata progettata per attuare il progetto Fori, secondo lo studio che lo stesso La Regina aveva commissionato negli anni Ottanta a Leonardo Benevolo. La realizzazione dell’infrastruttura di trasporto toglie ogni alibi a coloro che si nascondono dietro problemi di traffico per impedire il progetto. La funzione automobilistica può essere cancellata definitivamente, può essere archiviata come una breve parentesi, non tra le più esaltanti, della lunga storia di quel luogo. Possibile che l’epoca nostra non abbia altro di meglio di un flusso di traffico da consegnare alle generazioni successive?

Con la metro C si può realizzare la totale pedonalizzazione dell’area, eliminando lo stradone del tutto estraneo al paesaggio storico e recuperando invece la geometria e le connessioni delle piazze imperiali. È possibile tornare a passeggiare ai Fori ascoltando il rumore dei passi sul selciato, potendo alzare lo sguardo con lo stato d’animo trasognato dei visitatori del grand tour, in un luogo moderno e antico allo stesso tempo, completamente dedicato all’incontro delle persone tra loro e con la storia. Roma non sarà mai davvero una città moderna finché non porterà a compimento la sistemazione dei Fori. Non sarà davvero città internazionale finché non avrà l’ambizione di proporre al mondo un senso nuovo della “città eterna”. Non sarà autenticamente città storica se non riuscirà a creare una tensione creativa tra passato e futuro. Come in un percorso psicoanalitico la persona nuova emerge da una rielaborazione del proprio vissuto, così per una città storica la vera modernità consiste proprio nel rielaborare il proprio passato, dove per rielaborare non si intende una ripresa retorica della memoria, ma un’attiva opera di riconoscimento. Nella pedonalizzazione svolge un ruolo strategico l’area compresa tra il Colosseo e largo Corrado Ricci. È un luogo paradossale, l’unico in cui si può scavare in tranquillità pur trovandosi nel cuore dell’area archeologica. Infatti, quello che oggi vediamo come un viale era fino agli anni Trenta il sottosuolo della collina Velia, che il duce sventrò per poter aprire la visuale del Colosseo dal balcone di piazza Venezia, ed è quindi privo di reperti.

La versione originaria del progetto della linea C, secondo il “metodo Roma”, utilizzava questa opportunità disegnando sotto il viale e in connessione con la stazione Colosseo un grande foyer di ingresso al parco dei Fori, prendendo a esempio l’accesso ipogeo del Louvre sotto la piramide di Pei inaugurato pochi anni prima. I cittadini che escono dalla metropolitana trovano un grande ambiente di servizi e di accoglienza – oggi totalmente assenti e difficilmente realizzabili in superficie – e possono documentarsi sulla storia antica, vedere un filmato, utilizzare strumenti didattici per i ragazzi ecc., prima di entrare nell’area archeologica all’altezza del Foro della Pace.

Questa versione del progetto è stata abbandonata nel 2010 a favore di una soluzione di basso profilo che purtroppo verrà realizzata se non ci saranno ripensamenti: la preziosa area ipogea viene interamente bloccata dagli impianti della metropolitana, rendendo certo più facile la realizzazione della stazione, ma rinunciando per sempre alla possibilità di dare al parco dei Fori una formidabile porta sotterranea di accesso. È la conseguenza del ritorno a una progettazione separata tra ingegneri e archeologi, i primi vedono in modo unilaterale il problema funzionale e i secondi rinunciano a proporre soluzioni limitandosi a gestire il vincoli. La scissione tra tecnica e storia è non solo una perdita di qualità, ma è la causa dell’inefficienza e dell’aumento dei costi. In mancanza di una progettazione integrata i vincoli sono diventati una manna dal cielo per il costruttore, che li ha strumentalizzati per attivare un enorme contenzioso nei confronti del committente. Tutti questi problemi derivano dall’inserimento dell’opera nella legge obiettivo che ha comportato la rinuncia a un forte controllo pubblico e ha favorito l’impresa privata.

Il Comune deve riprendere in mano il governo dell’opera dotandosi di strumenti di controllo di alta professionalità e provata credibilità. Se si fosse continuato ad applicare il “metodo Roma”, i vincoli sarebbero diventati risorse. E l’amministrazione comunale avrebbe accumulato un know how da esportare ovunque nel mondo si realizzino metropolitane in contesti archeologici. 

Pulizie di primavera ai tempi dei social (zàcchete)

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Alle 22:51 del 29/04/2016 Facebook mi dice che ho 2546 amici. Da qualche giorno sto mettendo in pratica un metodo di selezione delle “amicizie”. Non sempre, dipende dall’umore della giornata. Guardo le notifiche dei compleanni del giorno, me le scorro e scopro che qualcuno dei festeggiati non solo non l’ho mai visto in vita mia, ma nel corso della mia esistenza virtuale non ho mai intrattenuto alcun tipo di interazione. E allora zàcchete, cancellato. Non bloccato. Rimosso dagli amici, tecnicamente. Il blocco è riservato a quelli stronzi al quadrato. Personalmente non ho mai bloccato nessuno. Sono stato bloccato per motivi politici da persone che conoscevo fisicamente (una, due?) talmente democratiche da non reggere la critica. Vabbè. Avranno ritenuto che fossi uno stronzo al quadrato. Ê la regola del martello e dell’incudine, sapete com’è. In generale poi non mi piace chi posta foto dei figli, dei nipoti, magari (non sempre, ovvio) per farsi dire quanto sono belli e bravi e fotogenici e skillati. Ma non è un criterio sempre valido. Dipende anche questo dall’umore del momento. Tralasciando quelli/e che postano solo aforismi dei baci perugina e selfie con le labbra a canotto (esiste questo strano fenomeno che ti consente di avere le labbra a canotto anche se non sei andato dal chirurgo plastico di Donatella Versace). In genere do una bella sfalciata ai razzisti, agli omofobi. Poi ci sono quelli che postano foto, che so, mentre partoriscono. Ma caspiterina, è il momento più bello dell’esistenza umana, il venire al mondo. Per la donna, per l’uomo, per la coppia. E tu stai là, a farti fotografare (transeat) e a POSTARE SU FACEBOOK quel momento per condividerlo? Beh, per me hai problemi. E allora zàcchete, via.

Sicurezza e riforma del codice degli appalti (e un ringraziamento al Senatore Andrea Cioffi)

Molti di noi, sfortunatamente di questi tempi non tutti, hanno un lavoro e con esso hanno maturato un minimo di competenza che vorrebbero mettere a disposizione del legislatore per provare a migliorare, o quantomeno a modificare, alcuni provvedimenti in discussioni presso Camera e Senato.

Da mesi è in discussione, prima al Senato, poi alla Camera, poi nuovamente al Senato il disegno di legge delega per quella che è comunemente detta riforma del codice degli appalti.

Potete seguire l’iter della discussione al Senato in prima lettura, alla Camera e al Senato in seconda lettura.

Dai tempi del licenziamento del testo in prima lettura al Senato ho segnalato, unitamente ad alcuni colleghi con i quali condivido l’esperienza maturata sul tema della sicurezza cantieri nella società presso la quale lavoro, una inesattezza ed una mancanza su un aspetto molto tecnico della riforma. In pratica il legislatore si è dimenticato, nella nuova formulazione degli articoli che riguardano gli appalti affidati con la formula del contraente generale di inserire, tra le figure “terze” e degne di essere inserite in un albo nazionale al pari del Responsabile dei Lavori, del Direttore dei Lavori e del Collaudatore, il Coordinatore in Fase di Progettazione e il Coordinatore in Fase di Esecuzione Lavori.

Non vi faccio l’elenco dei deputati contattati alla Camera, ma gli unici a rispondere sono stati Stefano Fassina e Miriam Cominelli. Il provvedimento è tornato a Senato, e visto che alla Camera non sono state apportate modifiche nella direzione da noi auspicata, ho segnalato a tutti i membri della Commissione Lavori Pubblici del Senato la questione con questa e-mail.

Salve, scrivo a voi in quanto membri della Commissione Lavori pubblici del Senato presso la quale sarà discusso il DDL S.1678-B “delega recepimento direttive appalti e concessioni”. Da settimane sto sottoponendo una questione inerente la riforma del codice degli appalti prima al presidente della Commissione Ambiente della Camera Realacci e successivamente ad vostri colleghi della Camera senza però riuscire ad ottenere alcun effetto. E’ un aspetto molto tecnico e premetto che comunque le considerazioni che seguono scaturiscono dalla mia diretta esperienza lavorativa (lavoro in Italferr, società di ingegneria del gruppo FS e mi occupo di sicurezza sul lavoro) nonché dall’esperienza di molti colleghi con i quali ho condiviso questa nota. Come certamente saprete nella discussione sulla riforma del codice degli appalti sono state introdotte importanti novità, da dettagliare nel decreto delegato, che si propongono, tra l’altro, di correggere alcune delle storture portatrici di fenomeni corruttivi a tutti noti. Tra queste la legge delega prevede che negli appalti affidati con la formula del Contraente Generale sia “vietata l’attribuzione del compito di responsabile o direttore dei lavori allo stesso contraente generale” (DDL 3194 Art. 1 comma 1 lett. ee – DDL 1678-B Art.1 comma 1 lettera ll). Inoltre si stabilisce la “creazione di un albo nazionale, presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, dei soggetti che possono ricoprire rispettivamente i ruoli di responsabile dei lavori, di direttore dei lavori e di collaudatore negli appalti pubblici di lavori aggiudicati con la formula del contraente generale, prevedendo specifici requisiti di moralità, di competenza e di professionalità e la loro nomina nelle procedure di appalto mediante pubblico sorteggio da una lista di candidati indicati alle stazioni appaltanti che ne facciano richiesta in numero almeno triplo per ciascun ruolo da ricoprire “​ (DDL 3194 Art. 1 comma ff – DDL 1678-B Art.1 comma 1 lettera mm)Viene sancito un principio giusto (il controllato non può pagare il controllore) ma con una formulazione in parte errata ma anche incompleta.

Chiedo scusa se entro in questioni tecniche, ma è necessario.

Il Responsabile dei Lavori (RdL) è una figura presente nel Titolo IV del D.Lgs. 81/08 e s.m.i. (il cosiddetto Testo Unico del Sicurezza) ed è una figura specifica della sicurezza che, nel caso di appalti pubblici, coincide con il Responsabile Unico del Procedimento (RUP). Il RUP è il garante verso il Committente della corretta attuazione degli iter procedimentali previsti dalla normativa e dal rapporto contrattuale con chi esegue l’opera. Il Direttore Lavori (DL) è il soggetto responsabile dell’esecuzione dei lavori in termini di qualità, tempi e costi secondo le previsioni normative e secondo il rapporto contrattuale. Sostanzialmente, come dice un mio collega, il DL è il “contratto fatto uomo”.  Quindi già  quella “o” tra le parole “responsabile” (dei lavori?) e “direttore dei lavori” c’è un errore. La formulazione corretta del comma ee), se l’intento è quello di creare  un albo di soggetti indipendenti da sottrarre al controllo diretto del CG, sarebbe: “vietata l’attribuzione del compito di responsabile dei lavori e direttore dei lavori allo stesso contraente generale” .

Ma il comma in questione è anche incompleto.

Il Responsabile dei Lavori è un soggetto specifico della sicurezza, portatore di obblighi e di responsabilità sia in fase di progettazione sia in fase di esecuzione delle opere. Tra i suoi numerosi obblighi, ha quello di nominare, nei casi previsti dalla legge, due ulteriori soggetti fondamentali per la sicurezza, ossia il Coordinatore per la Sicurezza in fase di Progettazione (CSP) e ilCoordinatore per la Sicurezza in fase di Esecuzione (CSE)Il CSP è colui il quale redige il Piano di Sicurezza e Coordinamento (PSC), ossia il progetto della sicurezza di un’opera. Il CSE è, invece, il soggetto che affianca il Direttore dei Lavori per il controllo dell’attuazione delle misure di sicurezza contenute nel progetto della sicurezza. Nella formulazione del DDL 1678 queste due figure mancano. Ed è una mancanza grave, perché nasconde, nella migliore delle ipotesi, un’ignoranza del legislatore riguardo all’organizzazione della sicurezza in fase di progetto e in fase di esecuzione. Nella peggiore delle ipotesi una mancanza di sensibilità riguardo la sicurezza sul lavoro.

Per avere un’idea il conto lo tiene Carlo Soricelli sul suo sito, Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro.

Nell’attuale formulazione dei commi in questione, fatte le dovute differenze, è come se dal punto di vista della gestione dei lavori sparisse il Direttore dei Lavori e si facesse riferimento solo alla figura del RUP. In definitiva la formulazione corretta del comma ll) dovrebbe essere:  

…vietata l’attribuzione del compito di responsabile dei lavori, del coordinatore in fase di progettazione, del coordinatore in fase di esecuzione e direttore dei lavori allo stesso contraente generale” .

Ne deriva che anche CSP e CSE dovrebbero avere un loro albo nazionale al quale attingere i tre nomi da sorteggiare, e quindi la formulazione corretta del comma mm) dovrebbe essere:

creazione di un albo nazionale, presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, dei soggetti che possono ricoprire rispettivamente i ruoli di responsabile dei lavori, di coordinatore in fase di progettazione, di coordinatore in fase di esecuzione di direttore dei lavori e di collaudatore negli appalti pubblici di lavori aggiudicati con la formula del contraente generale,…”

​Di conseguenza dovrebbe essere modificato anche l’art. 1 comma 9 del DDL 1678-B.

Di tutti i componenti della Commissione Lavori Pubblici del Senato gli unici a rispondere sono stati il Senatore Esposito, relatore del provvedimento in commissione, il Senatore Margiotta e il Senatore Cioffi. I primi due, pur condividendo le osservazioni, ritenevano non ci fosse spazio per ulteriori modifiche del provvedimento. Il Senatore Andrea Cioffi, che desidero ringraziare pubblicamente, invece si è fatto promotore del’ordine del Giorno G/1678-B/8/4 che è stato accolto dal Governo. Come mi dice lo stesso Senatore un odg ha valore meno cogente di un emendamento approvato, però già è un piccolo passo avanti.

Continueremo a seguire il provvedimento nella fase di scrittura dei decreti delegati.

 

Sensibile alle foglie (e ai mutamenti degli uomini)

Forse ne ho già parlato da qualche parte. Nel 1992 iniziai a scrivermi con un condannato a morte nel carcere di Huntsville, Texas, che si chiamava Paul Rougeau. Con altri ragazzi che corrispondevano con Paul (Ilaria, Rambaldo, Giovanni, Giuseppe, Stefano a Roma, e altri in giro per l’Italia)  creammo un comitato che ho scoperto con piacere essere ancora attivo, a distanza di tanti anni. Provammo a salvare Paul, ma non ci riuscimmo. Uno dei mezzi che utilizzammo per attirare l’attenzione sul suo caso fu la pubblicazione di un libro, Mi Uccideranno in Maggio, con le sue, e le nostre lettere.  L’editore di quel volumetto era Sensibili alle Foglie, casa editrice di Renato Curcio. L’altro giorno camminavo, insieme alla mia famiglia, per gli stand della fiera della piccola editoria che si tiene da qualche anno a Roma. E ho cercato lo stand di Sensibili alle Foglie, nella speranza di trovarlo lì, Renato Curcio. E in effetti c’era. Ho voluto stringergli la mano. Non a Renato Curcio. Ma all’uomo, che tramite un percorso di espiazione e redenzione torna ad essere parte della società. Quel percorso di espiazione e redenzione che era stato negato al nostro amico Paul, al di là dell’oceano.

Appello ai compagni di SEL

Carissimi compagni di SEL, sono giorni difficili anche per voi, mi rendo conto. Sentirsi dire, come ha fatto ieri Laura Boldrini (autorevolissima esponente del vostro partito), che sulle scelte importanti SEL e il PD non presentano differenze, beh, mi avrebbe fatto arrabbiare non poco. Sentirsi dire che la pensate allo stesso modo sul jobs-act, sul demansionamento, sul controllo a distanza dei lavoratori, sul preside manager, sulla buona scuola, sulle trivelle, sui 3.000 €, sull’italicum, sulla riforma della Costituzione non è proprio il massimo . Di sicuro dentro SEL ci sarà qualcuno tentato dalle sirene del governo, dalla retorica berlusconian-renziana della fiducia, dell’ottimismo che è il sale della vita (politica). E allora forse è giunto il momento di fare chiarezza, al vostro interno. Certo, non è facile. Non è facile liberarsi del vostro ingombrante leader che ormai è la narrazione di sé stesso. Peccato, qualche anno fa avrei consegnato volentieri a Vendola le chiavi di casa del centro-sinistra. Non è facile rinunciare ai posti di governo sparsi tra regioni e comuni. Perché in effetti SEL non è mica Rifondazione Comunista. Là ci stanno quattro reduci, tipi alla Ferrero, alla Mantovani, alla Russo Spena, che al massimo puoi incontrare a piazzale Aldo Moro a volantinare giornali improbabili che si rifanno alla lotta comunista. Là ci stanno assessori, consiglieri, finanziamenti pubblici. Governo e sottogoverno. Come nella regione Lazio. Dove per esempio, a proposito di grandi scelte che non presentano differenze con il PD, tutti d’accordo con la realizzazione della Roma-Latina, con il consumo di suolo, con la mobilità insostenibile.

E allora si, è il momento di fare chiarezza, perché conosco molti di voi e so per certo che con il PD attuale avete pochissimo in comune. E il doppio binario nazionale/locale è una contraddizione in termini, un artificio retorico, un’ambiguità tutta vendoliana, se poi la realtà, anche sui territori, è quella delle scelte sbagliate (vedi sopra). Come ho avuto modo di dire, salvo rarissime eccezioni di giunte di sinistra che chiedono un rinnovo del mandato sulla base di scelte chiare su ambiente, diritti, eguaglianza, mobilità, innovazione è impensabile allearsi con il PD alle prossime elezioni amministrative.

Prendete atto che il progetto di SEL è arrivato ad esaurimento, che le fabbriche di Nichi sono un lontano ricordo e che la coalizione Italia Bene Comune è morta il giorno dopo le elezioni. Pensare di riproporla nelle città, nei Comuni, è solo un contributo alla crescita dell’entropia politica.

Scioglietevi. Ciascuno farà le sue scelte. Alcuni andranno nel PD. E diventeranno più realisti del re. O più renziani di Renzi, fate voi. Altri avranno il coraggio di navigare in mare aperto, come molti di noi stanno già facendo. La mia speranza è di incontrarvi lì, e di solcare questo mare su una barca da costruire insieme, pezzo dopo pezzo. Con l’obiettivo della terraferma, però. La terraferma che si chiama sinistra.