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Le regole che non ci sono

Tutto previsto, da mesi. Ora, nel PD, si accorgono che mancano le regole per lo svolgimento delle primarie. Qualcuno glielo sta facendo notare da un pò. Ma c’è il rischio che le soluzioni siano peggiori dell’assenza di regole. Soluzioni che, tra l’altro, Migliavacca (Bersani) sta trattando con Roberto Reggi (Renzi), come se le regole riguardassero solo i due contendenti principali e non l’intero partito, secondo la logica del caminetto. Ma non esiste una commissione, per questo? A dir poco vergognoso. E poi la confusione che regna sovrana: 10.000 firme in 10 regioni? No, meglio 20.000 firme in 20 regioni. No, anzi, meglio raccogliere  il 15% degli iscritti 2011, che fa circa 90.000 firme (che poi bisognerebbe sapere dove andarli a prendere gli iscritti, dato che il tesseramento 2012, in molte parti del Paese, non è nemmeno iniziato). No, dai, facciamo il 30% dei membri dell’Assemblea Nazionale. Chi sono i 1.400 lo sappiamo, basta solo andarli a prendere uno ad uno, una sorta di accompagnamento coatto, visto che quando l’Assemblea viene convocata si presentano un terzo o al massimo la metà dei componenti. Ah, e poi la deroga allo statuto che consentirebbe a Renzi ed eventualmente altri di candidarsi dovrebbe essere votata con il 50%+1 dei membri della stessa Assemblea Nazionale. Prenotate un posto bello capiente, per il 6 ottobre. Nella speranza che si riempia. Altrimenti niente deroga. E poi ti risiedi al tavolo con Vendola, con Nencini (!), con Tabacci, con Rutigliano (!!) e decidi con loro se serve il registro o no, se la preiscrizione va fatta prima o il giorno stesso delle primarie. Se il turno è unico o doppio.

Il tutto a due mesi dalle primarie. Secondo me lo fanno apposta.

 

Tirar su il morale alle truppe (e perdere la guerra)

Questo è un pezzo tratto dall’intervista a Bersani pubblicata oggi su L’Unità. E la frase che mi ha colpito è questa. Ora io non voglio attaccarmi ai verbi, però quel può, tempo fa, sarebbe stato un deve. O meglio, ci dicevano che sarebbe dovuto essere, obbligatoriamente, un deve. Tra i tanti difetti del bipolarismo in salsa italica, almeno un lato positivo si poteva trovare: ad urne chiuse nel 1994, 1996, 2001, 2006, 2008 si sapeva chi avrebbe governato.

Vincitori e sconfitti. Maggioranza e opposizione. Al netto dei ribaltoni, dei Villari, dei Turigliatto, degli Scilipoti, dei Grillo Luigi. Nel 2013 (o 2012, fate voi), no. Quel può certifica le intenzioni, ormai palesi, del gruppo dirigente del PD. Un’alleanza dei Democratici e dei Progressisti (PD, SEL, quelli dell’IdV che si sono rotti di Di Pietro, i Sindaci) prima delle urne che sfida i Moderati (UDC, Montezemolo) e il Centrodestra classico o quel che ne rimane, con o senza la Lega. Poi, ad urne chiuse, si dà il via all’alleanza con l’UDC con i Moderati. Il tutto condito con una sana dose di chimica politica applicata alla legge elettorale che, ancora una volta, viene concepita per salvare il proprio culo e non per offrire una prospettiva di governabilità al Paese.

Ora, tralasciamo lo spettacolo indecoroso delle dichiarazioni dei giorni passati di Bersani, Vendola, Casini. Tra balzi in avanti, smentite, vorrei ma non posso, posso ma non voglio. Veniamo ad oggi. Ecco, io trovo questa road map un inganno. Un passo indietro indecente rispetto alle esigenze del Paese. Una mancanza di responsabilità. Una mancanza di coraggio. Una mancanza di progettualità per il futuro dell’Italia, soprattutto. E non venitemi a parlare della Carta d’Intenti, per cortesia. Quella è roba per noi, forse. E se dico noi dico gli iscritti, i militanti, gli ortodossi (e nemmeno tutti, peraltro).

Io vorrei fare una domanda a chi, oggi, tra di noi, si inalbera e inveisce gridando al tradimento contro chiunque cerca di far capire quali siano le contraddizioni drammatiche entro le quali si muove il PD in questa fase politica e che rischiano di disorientare ancora di più cittadini ed elettori.  E attacca a testa bassa chi cerca di indicare un percorso diverso, più lineare, se vogliamo, ma più difficile perchè presuppone un’assunzione di responsabilità che deriva dalla forza delle proprie idee e del proprio progetto per l’Italia.

Ma secondo voi, con questa roba qua, li recuperiamo gli elettori che ci hanno abbandonato negli anni? Quelli che non vogliono più andare a votare, quelli che votavano per noi e ora votano Grillo? Quelli schifati dalla politica. I precari della scuola e dell’università, i ragazzi di quarant’anni che non riescono a programmare il loro futuro. Insomma, una parte consistente di quelli che stanno fuori dal PD e che rappresentano, o dovrebbero rappresentare, il futuro del Paese?

Gimme Hope

E niente, poi auguriamoci che non si chiami davvero Polo della Speranza. Primo perchè Polo mi fa pensare a Polo delle Libertà. E mi viene in mente Bossi giovane che nelle interviste pronunciava la parola Polo in un modo così sguaiato: paaaaaaaaaoaoaooaalo. E poi il Polo mi ha sempre fatto venire in mente il freddo, i brividi. Ecco, i brividi.

Poi, signori miei, amici democratici e progressisti e liberali e moderati e di Centro, la Speranza mi sa di chi si appella al Signore, se ci crede, o a un’entità astratta, tipo Quelo, e si augura che gli vada di lusso. Perchè l’impresa è di quelle disperate. Ecco. Qui la speranza non c’entra. C’entrano le proposte. Chiare, coerenti, riconoscibili. Fatte, magari, da persone credibili. E siccome la Carta d’Intenti è ontologicamente poco concreta, altrimenti si sarebbe chiamata Carta delle Proposte, o Carta dei Fatti, allora tocca proprio farli, ‘sti referendum. Così magari Buttiglione tace per sempre, oppure davvero l’acqua diventa bene comune, oppure si riforma il walfare e il mondo del lavoro sul serio.

#chisenefotte

Sulle vicende politiche del centrosinistra…

Reset, che dico.

Sul patto tra Democratici e Progressisti conlaggiuntadiforzeliberalimoderate e di Centro (con la lettera maiuscola, mi raccomando), concordo con Pepecchio.

E aggiungo: facciamola la Carta d’Intenti. Ma poi riempiamola di contenuti. Di proposte vere.  Senza ingannare nessuno. Perchè secondo me serviva un post scriptum: tutto quello che leggerete nella presente carta troverà attuazione se saranno d’accordo gli altri, ossia le forzeliberalimoderateediCentro. E magari pure quelle progressiste (perchè i Democratici dovremmo essere noi, giusto?). Quindi se alcune cose che ci stanno scritte non le faremo, pazienza.

E chiamalo, ‘sto 118!

Beh, quello che sta succedendo, in queste ore, è chiaro. Lapalissiano. Bersani, o chi per lui, ha preso per il culo un bel pò di persone: “Abbiamo detto che faremo le primarie, non che si aprono le primarie perché altrimenti saremmo da ricovero, chiamerebbero il 118”. La necessità di stringere accordi con l’UDC fa si che le primarie saltano. La tireranno per le lunghe e a ottobre diranno che non c’è tempo. Che le regole sono quelle vecchie e amen. Il centro-centro sinistra che ha in mente Bersani sarà salvo, Vendola alla fine si è mostrato molto meno coraggioso del previsto, il cambiamento, quello vero, fa spavento pure a lui. Non abbiamo bisogno di nuovi pifferai magici, Bertinotti c’è bastato e avanzato. Resta un unico dubbio: l’ipotetico governo Bersani, cosa farà? Ecco, il dubbio ce lo toglie Enrico Letta: forte continuità con il Governo Monti, di programmi e di uomini. Dimenticate la patrimoniale, dimenticate una riforma seria del mercato del lavoro, dimenticate una legge civile sul fine vita, dimenticate la revisione della legge sulla fecondazione assistita, dimenticate il riconoscimento delle coppie di fatto, dimenticate il matrimonio gay. Dimenticate una riforma seria della giustizia, dimenticate il rispetto dei referendum sull’acqua, dimenticate la green economy. Dimenticate la lotta seria alla corruzione, agli sprechi. Con Casini tutta ‘sta roba non si farà mai. Se lo dicono vi stanno prendendo per il culo di nuovo.  Resta solo da capire se, anche questa volta, gli elettori del PD seguiranno le volontà del partito. In molte realtà territoriali gli accordi con l’UDC non hanno tenuto, e il PD ha preso molti meno voti del previsto. Bersani, qua non c’è nulla di scontato, capito? Nulla. Mi sa che stavolta i conti ve li siete fatti davvero male.

Uniti a sinistra

Fabio dice quello che molti sostengono da tempo: “La sinistra dovrebbe lavorare per ripresentarsi unita come forza di governo”. Detto così pare facile. Ma sappiamo tutti che le cose sono un pò più complicate. La questione delle alleanze è ovviamente dirimente per il PD e, visto come è mutato il quadro politico negli ultimi mesi, forse sarebbe meglio discutere di tutto questo prima delle elezioni del 2013. Magari con un congresso vero, sereno, democratico, come chiede sommessamente anche Goffredo Bettini, che non è propriamente l’archetipo del contestatore-rottamatore-giovane che scalpita perchè Bersani gli sta sul culo. O semplicemente definendo una linea politica.

Una linea, possibilmente retta

Gianni Cuperlo, sulle pagine de L’Unità.

È su questo che l’Europa si gioca il suo avvenire. E per quanto ci riguarda pure l’America democratica. Se dalle diseguaglianze immorali travestite di modernità degli ultimi sei o sette lustri si uscirà con un nuovo patto politico e sociale tra economia, finanza e democrazia. O se preferite, tra Stati, mercati e persone. Sarà uno scontro niente affatto moderato, nei toni come nelle soluzioni. E l’idea stessa della politica, come strumento agibile per milioni di individui, ne risentirà. Anche perché cresce l’onda lunga di una riciclata teoria delle élites, figliastra di vecchie scuole e invaghita oggi di una “tecnica” spacciata come neutra, ma in realtà intrisa di pregiudizi e di una concezione aristocratica del potere. Ecco, mi parrebbe curioso che mentre l’universo dei “democratici” su scala globale si interroga e si spende in questa partita, noialtri ci si scarnifichi sulla foto di Vasto.

Al diavolo Vasto e le foto. Siccome conviene passare dal muto al sonoro, a me pare decisivo rispondere a una sola domanda: ma noi siamo parte di quella ricerca, e dunque vogliamo tenere aperto il dialogo, prima di tutto in Italia, con forze, culture e movimenti che si collocano da questa parte del campo, oppure siamo dannati ancora una volta nel girone degli sperperatori del proprio talento e soprattutto consenso? Il tempo non abbonda e una risposta va data.

Quanto alla domanda «ma quale centrosinistra?» risponderei così: quello che noi – e sottolineo il “noi” – avremo la forza di forgiare, con quanti sono pronti a condividere, a parole e con gesti impegnativi e coerenti, un medesimo impianto culturale, uno stesso programma, una comune visione del futuro dell’Italia in un’Europa politica e non solo valutaria. E allora ha ragione chi invita il Pd a discutere di questo snodo. Anzi, se un appello posso rivolgere a Bersani è quello di non attendere oltre. Affrontiamola questa prova. Mettiamo in campo per l’anno o poco più che ci separa dal voto una strategia che investa su di noi, sul giudizio che diamo di questa stagione e delle prospettive per il dopo. Disponiamoci a una lunga rincorsa elettorale con lo spirito di chi può e vuole vincerla. Abbiamo un partito. Abbiamo un leader. Votiamo una linea. In fondo questa è la democrazia.