Impressioni di maggio

Al sessantaquattresimo giorno sono uscito. O meglio, mi sono allontanato di più di 200 metri da casa. Ancora un po’ e avrei potuto scrivere Il giro di casa in 80 giorni. 

Uscito, poi. Insomma. In macchina da casa fino a destinazione, Google Maps dice 8,9 km ad andare e circa quelli per tornare.

Impressioni.

Anche a Roma la natura ha provato a riprendersi la città. Cioè, non ha mai smesso. E bisogna riconoscere che ci riesce abbastanza bene, con Virgy che le dà una mano da tre anni ormai. E poi colpiscono i manifesti, sui cartelloni, sui muri, lisi, strappati, sbiaditi, che riportano eventi lontani, passati, abortiti.

Gente in giro si, ma non tanta. Solito andamento del traffico tendente all’anarchico, solite macchine in doppia fila, soliti ciclisti  e motorini che passano con il rosso. Che poi prima si poteva avere fretta, ma adesso?

Chi era stronzo è rimasto stronzo, chi non lo era si spera che non lo sarà mai.

E questo in generale vale per tutte le aspettative che l’emergenza sanitaria ha generato in questi due mesi e passa. Non mi sembra che a livello collettivo sia maturata, o sia divenuta patrimonio comune, l’esigenza di un modello di sviluppo diverso, di una maggiore cura per il pianeta, per la salute pubblica, per chi è rimasto indietro, per chi è povero. Chi aveva già questa sensibilità magari l’avrà accresciuta, nella consapevolezza che nessuno si salva da solo, chi non ce l’aveva prima si sarà sempre più convinto che ciascuno basta a sé stesso, e gli altri si fottano.

Per non parlare del clima politico, del dibattito politico. Sempre, immutabilmente, desolatamente uguale. Una classe politica specchio fedele del Paese che l’ha espressa, ci fosse qualcuno capace di indicare concretamente una strada diversa per evitare gli errori del passato. Quegli errori che hanno chiesto il conto tutti in una volta, da febbraio ad ora e per chissà quanto tempo ancora, stando così le cose. La demolizione della sanità pubblica, la mortificazione della scuola e della ricerca, lo smantellamento degli apparati dello Stato, la negazione dei diritti dei lavoratori e dei cittadini che versano in condizioni di difficoltà economiche. Con il volontariato a tappare quei buchi che chi ha creato ha lasciato lì a diventare voragini.

E poi l’effetto Actarus.

Vedi le persone, molte ma fortunatamente non tutte, con le mascherine, con i connotati nascosti. È una mia percezione distorta, ma mi appaiono come automi, come corpi senza anima, come ombre. La distanza che quel pezzo di stoffa mette tra te e l’altro mi appare abissale, a maggior ragione se poi negli occhi intravedi paura, diffidenza, angoscia. Ancor più mi appare insostenibile questa barriera fisica al pensiero di relazionarmi con persone che conosco, con persone a me care, con gli amici, che usualmente abbracciamo, tocchiamo, stringiamo. La prima sensazione è quella di fuggire da questa nuova realtà, e di volere tutto esattamente come prima, senza barriere, senza vincoli, senza preoccupazioni, senza surrogati, senza compromessi, aspettando il ritorno alla completa normalità. Poi magari ci facciamo l’abitudine, ma per ora non è così.