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I dolori della nascente sinistra

Io non so se esista realmente una sorta di maledizione, un demone meschino che induce quasi ad ogni pie’ sospinto quel mondo indistinto, eppur distinguibilissimo, che va sotto il nome di “sinistra” a farsi del male da sola ogniqualvolta sembra prefigurarsi la possibilità di costruire qualcosa di utile per un pezzo di Paese.
O se, tolto il demone, resti solo la meschinità degli uomini, dei singoli, le loro ambizioni.
La loro capa, insomma.
Nella dicotomia partiti-di-sinistra Vs civismo vedo, per ora, solo una ulteriore occasione persa.
Non voglio attribuire, nelle  vicende di queste ore, colpe, responsabilità, retropensieri, patenti di alcunché a chicchessia.
Prendo atto, con estrema amarezza, della situazione. Probabilmente ciò a cui assistiamo  avviene anche perché, come ha osservato Andrea Ranieri, il periodo immediatamente prossimo allo svolgimento di elezioni politiche non è il migliore per “costruire la sinistra”.
Vedo però degli elementi di criticità nel percorso che Sinistra Italiana, Possibile, MdP e Alleanza Popolare hanno intrapreso in questi mesi.

Innanzitutto, come ha ammesso anche Tomaso Montanari, il non essere riusciti a mobilitare in maniera significativa i cittadini nelle 100 assemblee per il programma che evidentemente non hanno fatto registrare, al di là della bontà delle proposte messe in campo, una presenza “fisica” tale da scongiurare scalate organizzate di soggetti “esterni”. E il solo pericolo di una deriva del genere nell’assemblea del 18 ha suggerito di annullare l’evento per evitare che da quell’appuntamento venisse meno lo spirito con il quale il percorso era iniziato.

(Apro una parentesi. si può esprimere soddisfazione per il ritorno della sinistra all’interno dell’Assemblea Regionale Siciliana. Ma il risultato di Claudio Fava e della lista unitaria che lo ha sostenuto è stato largamente deludente, dobbiamo dircelo chiarezza. E anche le assemblee di SI, Possibile, MdP non mi sembra che riescano a muovere folle oceaniche. Tra l’altro il rischio, come dice Alessandro Gilioli, che chi partecipa si fracassi sonoramente i coglioni mi sembra sia abbastanza elevato. Questo per dire che la partecipazione, e i consensi, sono un problema, a sinistra. E da solo il percorso unitario non basta a motivare sufficientemente tutti quelli che in questi anni hanno perso la fiducia per strada. Chiusa parentesi).

E sempre restando alle parole di Montanari, forse sono ingenerose le critiche mosse a Civati, Fratoianni e Speranza di aver deciso tutto a tavolino per quanto riguarda le assemblee provinciali che il 25 e 26 novembre dovranno scegliere i delegati che parteciperanno all’assemblea nazionale unitaria  del 2 dicembre. Voglio pensare, come come continuano a garantire i diretti interessati, che saranno assemblee locali quanto più aperte e scalabili è possibile, nella più ampia accezione del termine scalabile. Senz’altro mi colpisce l’aver sostanzialmente individuato il nuovo leader della sinistra nella figura (degnissima) di Pietro Grasso. Non per la persona, di qualità indiscusse e indiscutibili. Ma per il metodo mi permetto di sollevare qualche dubbio. Capisco la necessità di individuare per tempo una persona che in maniera autorevole, anche in virtù del proprio ruolo istituzionale, possa rappresentare una leadership che deve essere anche collettiva.

(Apro altra parentesi. Alcuni pongono la seguente questione: può Pietro Grasso, uscito dal PD pochi giorni fa, Presidente del Senato scelto anche dal PD e che ha consentito di portate avanti, dallo scranno più alto di palazzo Madama e nell’esercizio delle sue funzioni, tutte le contro-riforme del PD, proporsi in maniera autorevole come leader di uno schieramento che ha la sua cifra distintiva nella strenua opposizione a tutto ciò che il PD ha fatto in questi anni? E più in generale, quanto in questa fase deve essere inclusiva la sinistra nei confronti di chi ha avallato fino all’altro giorno, se non con la convinzione delle idee per disciplina di partito, le politiche messe in campo dal partito principale sostenitore del Governo? Chiudo altra parentesi).

Però sostanzialmente i partiti stanno calando dall’alto una leadership che poi vorranno legittimare con le scelte dell’assemblea (metodo top-down) probabilmente contraddicendo le buone intenzioni più volte manifestate (e ben tetragone in chi si è riconosciuto nel percorso del Brancaccio) di costruire una leadership dal basso che emergesse nel procedere delle varie fasi di discussione/confronto/sintesi (metodo bottom-up).

Insomma, ad oggi non sembrano esserci margini per ricucire lo strappo che si è consumato in questi giorni su questioni che sono dirimenti e sostanziali per il percorso che si sarebbe dovuto intraprendere uniti.

Sarò pessimista, ma allo stato attuale vedo piazze abbastanza vuote e, temo, urne ancor di più.

 

Di vertici e di basi che mancano (per ora)

Un passaggio alla Casa Internazionale delle Donne, lunedì pomeriggio, per vedere un po’ l’aria che tirava nella prima assemblea romana post-Brancaccio di Alleanza Popolare per la Democrazia e l’Uguaglianza.

Tanta gente, buon segno. È l’occasione per salutare qualche persona con la quale ho fatto un pezzo di strada insieme. Ascolto qualche intervento, poi vado via con una sensazione di incompiutezza addosso. Mi rimane un po’ di amaro in bocca, diciamo.

Provo a spiegarmi.

L’impressione, condivisa con una cara persona che era anch’essa lì, è che per ora il bacino di utenza della sinistra romana che ha risposto all’appello di Anna Falcone e Tomaso Montanari sia il medesimo che alle scorse elezioni ha sostenuto la candidatura di Stefano Fassina. Nulla di male, ci mancherebbe, ma ovviamente non può bastare. Il problema è come allargare il più possibile il campo non tanto della partecipazione (anche quella serve, ovviamente), quanto del consenso.

La platea, ne sono sicuro, era composta per la stragrande maggioranza da persone che si può dire appartengano ad un ceto medio-borghese, con alto livello di scolarizzazione e buone letture. I promotori, e molti di quelli che hanno parlato, sono persone attive, e con merito, sulla scena politica romana (in alcuni casi nazionale) da più o meno tempo. E va bene, da qualche parte, e da qualcuno, bisogna pur iniziare. Mi colpisce però l’assenza di quel pezzo di società che abbiamo, a sinistra, l’obiettivo (e la presunzione) di rappresentare. Dove sono le persone che più hanno patito della crescita delle disuguaglianze (operai, disoccupati, pensionati, precari, studenti, insegnanti) nel nostro paese e che più, di conseguenza, sono stati spinti verso l’astensionismo? Non ne ho visti, lunedì, e non ho visti al Brancaccio.

Più in generale mi pongo il problema se, al di là di esperienze positive di impegno nel sociale che nei quartieri esistono, prendono forma quotidianamente, e che anche singolarmente molti di noi praticano, pur non vivendo in primissima persona situazioni di palpabile disagio socio-economico siamo in grado di dar voce a chi l’uguaglianza non sa più cosa sia. Ri-politicizzare questa fetta di “esclusi”, far nascere una nuova coscienza di classe presuppone un’opera, passatemi il termine, di evangelizzazione che però deve passare anche da figure “profetiche” che per ora non vedo, né come singoli né a livello collettivo. Non necessariamente il leader alla Corbyn o alla Sanders, che se ci fossero ben venga, ma persone semplicemente in grado di rappresentare con autorevolezza e credibilità le istanze che provengono dalla moltitudine di persone che non si sentono rappresentate, a sinistra.  Un intervento, tra i più autorevoli, ha evidenziato la necessità di ripartire da tre parole d’ordine: scuola, ricerca, cultura.

Ma, per esempio, come andare a parlare di dispersione scolastica a Tor Bella Monaca, o a San Basilio, senza correre il rischio di organizzare il solito tavolo tematico tra addetti ai lavori, e che magari vivono per lo più in I o II Municipio, con il risultato di smuovere un nonnulla in termini di allargamento di partecipazione e di consenso ? Come organizzare tavoli territoriali, gruppi di lavoro ristretti (questo uno degli input usciti dall’assemblea per il prosieguo del cammino nelle prossime settimane) senza correre il rischio di parlarsi addosso (perdonatemi il termine) tra vertici con il risultato di non allargare alla base? Come colmare la distanza da quelle periferie che ci hanno voltato le spalle per colpa della nostra inadeguatezza a percepirne sofferenze, criticità, bisogni?

Non ho risposte, e non voglio nemmeno sembrare pessimista. Non lo sono di natura.

Ma questa è la genesi della sensazione di cui parlavo prima. Tra un po’ capiremo se passa o aumenta.

Qualche riflessione su domenica (e sulla sinistra)

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A mente fredda, qualche considerazione sull’incontro di domenica al Brancaccio organizzato da Anna Falcone e Tomaso Montanari.
Vado perché ho bisogno come dell’aria che respiro di riconoscermi in un progetto, di sentirmi appieno parte di qualcosa con la quale condividere princîpi, obiettivi, metodi. Di votare con convinzione, e non solo persone di cui ti fidi. L’alternativa sarebbe stare a casa, ma io voglio scegliere.
Teatro pieno, pienissimo (e mi dicono un bel po’ di persone collegate in streaming). Entriamo, ci sediamo, e butto un’occhiata alla platea (sono in galleria). Vedo tante facce conosciute, alcune personalmente di persona ma comunque riconosco la composizione della platea. Età media altina, giovani giovani a dire il vero non ne scorgo tanti, livello di scolarizzazione medio alto. Una platea familiare, insomma. Di sinistra per come siamo abituati a (ri)conoscerla. E (ri)conoscerci.
Parte Montanari e all’inizio il pubblico appare come sospeso. Qualche timido applauso sottolinea i passaggi del suo intervento, ma più lui parla e più gli applausi sono convinti, catartici, liberatori. A me è piaciuto, il suo intervento ha riassunto ciò che, a sinistra, non dobbiamo più essere e ciò che invece dobbiamo essere. I temi su cui puntare (mi interessa la pars costruens, il no a qualsiasi forma di dialogo con il PD la dò come pregiudiziale non derogabile): progressività della tassazione, pacifismo, lavoro dignitoso, difesa del territorio e stop consumo di suolo. E, in definitiva, piena attuazione della Costituzione. Mi fa specie non aver sentito pronunciare la parola mafia, la parola criminalità, nel suo come negli interventi successivi (ho seguito l’evento fino all’intervento di Pippo). Magari qualcuno ci h pensato dopo.
Il messaggio, uno dei messaggi che mi resta è quello che la (ri)costruzione della sinistra non sarebbe certo avvenuta domenica in sei ore al Brancaccio ma c’è un lavoro da fare fuori che è immane. Ma lo sapevamo. I due organizzatori ci dicono quello che già sappiamo: non aspettate input dall’alto.
Organizzatevi.
Commentando con Silvia la giornata ci chiedevamo con quale mezzo politico, con quali parole, con quali facce si possa (ri)costruire la sinistra fuori dalle fabbriche, a Tor Bella Monaca o al Laurentino 38 o in tutte le periferie delle grandi città e in tutti gli ex distretti industriali. Operai al Brancaccio non ce n’erano. Slumpenproletariaten al Brancaccio non ce n’era. Persone che non arrivano alla fine del mese probabilmente nemmeno ce n’erano. Come rappresentare queste fasce della società, da sinistra, senza populismo, demagogia, slogan, con autorevolezza resta la questione delle questioni. La ricetta, personalmente, non ce l’ho. Se qualcuno pensa di essere ferrato in materia, ascolto volentieri.
I fischi.
In uno scenario di Paese nel quale i giornalisti che sanno, o possono permettersi (slumpenproletariaten anche loro, a volte) di esprimere liberamente il loro pensiero sono ahinoi una stretta minoranza, non è che mi aspettassi qualcosa di diverso dal riportare quasi esclusivamente, come sintesi della giornata, le idiosincrasie con MDP Campo Progressista. Che poi ci sono, sia chiaro. E sono da chiarire, definitivamente. Se qualcuno pensa ancora di avere come possibile interlocutore il PD non è che si possa trattenere dal farlo, sinceramente. Scelga, ce ne faremo una ragione. Capivo quindi lo spirito con cui una parte certamente non maggioritaria del pubblico ha contestato Miguel Gotor, ma apprezzo immensamente il suo esserci, il suo non voler spezzare un filo che potrebbe legarlo, in un futuro molto prossimo, a chi invece una scelta di campo l’ha già fatta. O forse no. Come ho apprezzato la presenza di Massimo D’Alema, che si è beccato la sua dose di cazziatone dallo stesso Montanari (credo abbia le spalle larghe a sufficienza) e non solo, ed è rimasto ad ascoltare, spero ad imparare qualcosa.
In conclusione tocca organizzarsi, partecipare, ed essere tetragoni nel non accettare di percorrere strade già percorse e fallimentari, a sinistra. Con chi ci sta.
In autunno si tireranno le somme.
Come disse Enrico: Eccoci.