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Bravo Renzi (pare vero)

Spinto da quell’istinto masochistico che probabilmente alberga in ciascuno di noi e che chi ha militato per anni nel PD ha ben coltivato (le tossine, si sa, ci mettono un po’ ad essere espulse dal corpo), ieri tornando dal lavoro in macchina mi sono sintonizzato su Radio Radicale e ho ascoltato un pezzo del dibattito della Direzione PD. Dall’intervento di Speranza in poi, diciamo. Non che siano mancati momenti di puro piacere, ascoltando la querelle sulle mozioni da mettere ai voti, dibattuta in punta di diritto e con gran sfoggio di sapienza statutaria, peccato che in punta di fatto ‘sto povero statuto se lo sono messo sotto i piedi innumerevoli volte. Vabbè, acqua passata, almeno per me.

Alla fine della fiera, però, la sensazione che ho percepito, da spettatore esterno, è la seguente.

Renzi è un mago. Lo dico senza ironia. E ancora una volta, come si dice a Roma, se li è messi tutti in saccoccia. Volete il congresso? Eccovelo. Lo facciamo subito. Sarà un rito abbreviato. Sarà una gazebata. Ma sarà un congresso.  E nella sua frase “lo facciamo con il sorriso” ci sta tutta la consapevolezza che stavolta non ci saranno prigionieri. Ed in fondo è giusto così. Che senso ha chiedere il congresso, partecipare ad un dibattito, presentare proprie candidature per poi continuare a spaccare i maroni al Segretario e alla sua maggioranza, una volta che tutto è finito?

Qui non si tratta semplicemente di dialettica interna ad un partito, che vivaddio è sempre la benvenuta. La scissione da molti evocata, per il futuro, è evidente nel presente e trova le sue origini nel recente passato. Ma se la scissione nel “popolo di sinistra” è sotto gli occhi di tutti da tempo (problema che riguarda tutti, non solo il PD, sia chiaro) per i motivi che ieri vari interventi hanno sottolineato, dovrebbe essere ancora più evidente la scissione che Renzi ha messo in atto con le aspirazione, le idee, le proposte di molti dei suoi oppositori interni che con ottusa pervicacia ancora pensano di poter indirizzare verso lidi diversi il PD a trazione renziana.

Renzi vincerà il congresso a mani basse, e il PD resterà il partito del jobs-act, della buona scuola, delle trivelle. Il partito che preferisce non far tenere i referendum della CGIL e che sceglie Macron anziché Hamon. Che in passato ha scelto le tecnocrazie europee anziché Tsipras e la sua idea di Europa diversa.  Il Partito che dice NO alla patrimoniale e al reddito di cittadinanza (#giannistaisereno). Con buona pace di tutti. E gli oppositori interni si stanno mettendo alla berlina da soli. Logorandosi nel dilemma di morettiana memoria (mi si nota di più se mi scindo adesso o se mi metto da parte e mi scindo dopo) e nel frattempo perdendo credibilità oggi, in un dibattito infinito, o perdendo ancora più credibilità domani, se magari andranno via dopo essere stati asfaltati al congresso. Insomma, ieri Renzi ha vinto, almeno questa partita.

Certo però a mio avviso Renzi ha anche già perso la guerra, sia chiaro. L’ha persa perché è stato colto dalla solita sindrome di cui soffrono i megalomani, ossia quella di legare i destini di una comunità politica, ed anche di un intero Paese, con i propri. Dopo il governo Letta, anche il governo Gentiloni ha le settimane contate, e con il suo sarà il terzo governo a trazione PD che il Segretario fa cadere nell’arco di una legislatura. Le conseguenze, ovviamente, le pagheremo tutti.

Segretario #sischerza

Spinoza rende omaggio al nuovo segretario del PD.

Primarie Pd, è Renzi il nuovo anti-Berlusconi. La “anti” è muta.

Dalle urne è uscito Renzi. Un avversario pericoloso per l’Italia.

Quasi tre milioni di italiani ai seggi delle primarie. Li avevano confusi con i mercatini.

Renzi passa dal 40% del 2012 al 70% del 2013. Avevo sottostimato il peso di Tabacci.

Matteo Renzi è il nuovo rappresentante della generazione dei quarantenni. Prima c’era il Maxibon.

Renzi si presenta alla conferenza stampa con un cerotto sulla mano. Che modo volgare di festeggiare.

Renzi: “Cambierò il Pd”. Affinché il nulla cambi.

“Voglio che il governo Letta lavori, non che cada”. Deve sembrare un incidente.

(Su Sky se attivi i sottotitoli al discorso di Renzi compare “Ve l’ho messo al culo”)

Renzi: “Questa non è la fine della sinistra”. O almeno non quella che si meritava.

“Non si tratta di fare la pace con Berlusconi, ma con gli italiani”. Che votano Berlusconi.

Renzi: “In questi anni abbiamo parlato tanto di lavoro, ma alla fine la disoccupazione è aumentata”. Dillo a me che parlo solo di figa.

“Mandela ha fatto 27 anni di carcere per un’idea” ha detto Matteo Renzi, 38 anni, incensurato.

Renzi: “Andrò dai bambini nelle scuole“. Tipico di chi ha appena preso i voti.

Le prime parole di Cuperlo dopo la sconfitta: “Comunque c’avevo judo”.

Pippo Civati si ferma al 13%. Adesso sappiamo quanti italiani ci sono su Twitter.

Renzi riceve la telefonata di Berlusconi nella notte. “Buonasera dottore”.

Fassina: “Da domani al lavoro tutti assieme”. Allora non hai capito un cazzo.

Il Pd incorona Renzi durante l’assemblea. Tipo la Domenica delle Palme.

Renzi: “Il fine del partito non è il governo”. Ora hanno un senso tutti i segretari precedenti.

Lo slogan di Renzi: “Restiamo ribelli”. Dopo tanti anni da camaleonti.

Letta e Renzi cantano insieme l’inno. Erano anni che la Dc non appariva così unita.

L’assemblea ratifica la nomina di Gianni Cuperlo. Era la voce “varie ed eventuali”.

Cuperlo sarà il nuovo presidente del Pd. Serviva un biondino che ballasse accanto a Renzi.

Letta: “Uniti non ci batte nessuno”. Ecco dove stava l’inghippo.

Renzi convoca la prima riunione di segreteria alle 7 del mattino. L’orario deve averlo deciso sua moglie.

Scelti i componenti della nuova segreteria. Ora tocca solo prenotare il campetto.

Renzi sceglie dodici persone per la sua squadra. Allontanato D’Alema che cercava di baciarlo.

Epifani: “Ok la competizione, ma restiamo uniti”. Ed era solo la foto ricordo.

Ora comincia la rottamazione. Sono cazzi di Ingrao.

Congelatore o graticola?

Ieri ero a Milano, all’Assemblea Nazionale. Con tanti compagni di viaggio, ed è stato bello ritrovarci lì. È stato bello anche incontrare quelli che mi sono (ci siamo) perso per strada. Percorsi politici differenti ma la stima personale resta immutata.

Era la giornata del segretario, e Renzi si è preso il palcoscenico. Giusto così. Tante speranze, tante aspettative. Un discorso di un’ora e venti molto evocativo, poco concreto. Moltissime cose da fare, alcune bellissime. Ma come farle non è che sia stato proprio chiarito. Lasciate fare a me è un metodo di lavoro che ho già sentito da qualche parte, e non è che sia andata proprio bene.

Vedremo.

Completamente assente, nelle parole di Renzi, la forma-partito. E non è un caso che in Direzione Nazionale non sia stato chiamato Fabrizio Barca.

Forse le uniche cose concrete di cui ho sentito parlare sono state la trasformazione del Senato in camera delle Regioni e la richiesta di mettere al centro dell’attenzione, quale punto qualificante dell’accordo con il NCD per il prossimo anno-anno e mezzo (si passa dalle larghe intese al governo di coalizione, sigh!), il tema delle civil partnership (sappiate che quando si utilizzano termini anglosassoni vi vogliono fregare). Due cosucce da niente che porterebbero dritti dritti al voto (ve li immaginate Giovanardi, Formigoni, Cicchitto che dicono si al riconoscimento di un diritto che sia uno?),  con buona pace dell’asse con Enrico Letta (si vis pacem para bellum diceva qualcuno), che sarà messo sulla graticola a fuoco alto,

Del resto, se lo può permettere, Renzi, di restare un anno a guardare un governo del  non-fare, messo in congelatore mentre qualcuno, e potete giurarci, medita vendette?

Il post del post

Il mio primo pensiero va a Pippo. Per ringraziarlo. Se in questi ultimi anni ho continuato ad interessarmi attivamente di politica è grazie a lui. Dalla delusione alla speranza. Oggi c’è un po’ di delusione in più, ma la speranza è più che viva. Il tempo di ricaricare le batterie e si riparte. Insieme alle persone meravigliose che ho conosciuto in questi anni, a partire da quella riunione al circolo ARCI di Via Bellezza, a Milano, passando per Albinea, Firenze e Bologna e fino a Reggio Emilia. Insieme alle persone che ho conosciuto in questi mesi, aiutando a mettere in piedi la mozione in tutto il Lazio. Energie da valorizzare, tanti giovani (di testa, di cuore e di carta d’identità) da sostenere perché il futuro è il loro.

Un pensiero va a Gianni Cuperlo, troppo onesto, intelligente, e serio per meritarsi di finire nel tritacarne di una classe dirigente al tramonto. Non ve lo meritavate Cuperlo, voi che avete portato il PD al governo con Berlusconi e pensavate di sopravvivere a voi stessi. Sparite dalla scena, una volta per tutte. D’Alema, Finocchiaro, Turco, Fioroni, Amici.

E poi un pensiero va anche a Matteo Renzi, perché tutto l’ambaradan è servito a scegliere il nuovo segretario del mio partito. A Renzi chiedo coraggio. A Renzi chiedo di occuparsi del PD. Che non deve essere solo lo strumento per le sue legittime aspirazioni alla premiership. La rottamazione non si fa liberandosi di due o tre nomi nazionali importanti. La rottamazione si fa sui territori, come nella provincia di Latina, dove continuano ad imperversare capibastone neo-renziani che lasciano tutto così com’è (chiedere ai protorenziani). Si fa sui territori, come nella provincia di Latina,  impedendo le adesioni in massa di ex-qualcosa, che salteranno sul carro senza averlo nemmeno spinto. Qui si gioca la partita del PD e del Paese. Perché a cascata rischia di avverarsi anche la profezia della mutazione antropologica del PD di cui parlava Scalfari tempo addietro. Alcune delle persone che cantano vittoria hanno posizione retrograde sui diritti (Cristiana, ci sei?), sulla laicità dello stato, sulle spese militari, sulle infrastrutture, sull’ambiente, sul precariato, sui diritti, sul welfare. E allora ai tanti che hanno trovato come ragione qualificante per votare Renzi “perché finalmente vinciamo” io vorrei, sommessamente chiedere cosa si vincerà. Quale Paese costruiremo. Quindi segretario, coraggio. Oppure perderai tu e perderemo tutti.

 

Congresso vero e aperto

Dopo Pippo Civati, candidato alla segretaria del PD anche se molti fanno finta di ignorarlo, e Gianni Pittella, anche un altro candidato, Gianni Cuperlo, dice: “A noi mai come ora serve un congresso vero e aperto. Dopo questi mesi difficili ogni restrizione può apparire come una voglia di restaurazione, il che sarebbe un errore”.

Occorre solo mettersi d’accordo sul concetto di vero e aperto, giusto segretario?

Una linea, possibilmente retta

Gianni Cuperlo, sulle pagine de L’Unità.

È su questo che l’Europa si gioca il suo avvenire. E per quanto ci riguarda pure l’America democratica. Se dalle diseguaglianze immorali travestite di modernità degli ultimi sei o sette lustri si uscirà con un nuovo patto politico e sociale tra economia, finanza e democrazia. O se preferite, tra Stati, mercati e persone. Sarà uno scontro niente affatto moderato, nei toni come nelle soluzioni. E l’idea stessa della politica, come strumento agibile per milioni di individui, ne risentirà. Anche perché cresce l’onda lunga di una riciclata teoria delle élites, figliastra di vecchie scuole e invaghita oggi di una “tecnica” spacciata come neutra, ma in realtà intrisa di pregiudizi e di una concezione aristocratica del potere. Ecco, mi parrebbe curioso che mentre l’universo dei “democratici” su scala globale si interroga e si spende in questa partita, noialtri ci si scarnifichi sulla foto di Vasto.

Al diavolo Vasto e le foto. Siccome conviene passare dal muto al sonoro, a me pare decisivo rispondere a una sola domanda: ma noi siamo parte di quella ricerca, e dunque vogliamo tenere aperto il dialogo, prima di tutto in Italia, con forze, culture e movimenti che si collocano da questa parte del campo, oppure siamo dannati ancora una volta nel girone degli sperperatori del proprio talento e soprattutto consenso? Il tempo non abbonda e una risposta va data.

Quanto alla domanda «ma quale centrosinistra?» risponderei così: quello che noi – e sottolineo il “noi” – avremo la forza di forgiare, con quanti sono pronti a condividere, a parole e con gesti impegnativi e coerenti, un medesimo impianto culturale, uno stesso programma, una comune visione del futuro dell’Italia in un’Europa politica e non solo valutaria. E allora ha ragione chi invita il Pd a discutere di questo snodo. Anzi, se un appello posso rivolgere a Bersani è quello di non attendere oltre. Affrontiamola questa prova. Mettiamo in campo per l’anno o poco più che ci separa dal voto una strategia che investa su di noi, sul giudizio che diamo di questa stagione e delle prospettive per il dopo. Disponiamoci a una lunga rincorsa elettorale con lo spirito di chi può e vuole vincerla. Abbiamo un partito. Abbiamo un leader. Votiamo una linea. In fondo questa è la democrazia.