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Si o no? Sarebbe facile, in fondo

Dare risposte immediate al possibilismo che pervade la sinistra italiana davanti alle ipotesi di alleanze post-voto con PD o con M5S. La destra no, quella no (ma chi è destra? Casapound? OK. Fratelli d’Italia? Bon. La Lega? Ci siamo. Berlusconi? Alfano? Ah son destra? Ma già è capitato in passato di governarci insieme? Davvero?).

Quindi, dicevamo, due domande semplici semplici che Pietro Grasso, o chi per lui, dovrebbe/potrebbe porre.

Per il PD: lo aboliamo il jobs-act, reintroducendo l’art. 18 e prevedendo come unica forma contrattuale il tempo indeterminato?

Per il M5S: la approviamo subito la legge sullo ius soli?

Due questioni cruciali, lavoro e cittadinanza. Se non si è d’accordo su questo, non c’è possibilismo che tenga. Restano solo le chiacchiere da campagna elettorale.

E per quelle abbiamo dato, grazie

Di lotta e di governo

Ricordo, qualche anno fa, le feroci critiche rivolte ad un ministro, mi sembra Diliberto, che andava in piazza nelle manifestazioni organizzate contro il governo di cui lui stesso faceva parte.
Pur condividendo i nobili intenti, ma il ministro, e tutti quelli del PD, che fanno lo sciopero della fame per lo ius soli, come li inquadriamo? Di lotta e di governo pure loro?
Gli suggerirei di insistere con il loro segretario affinché costringa il governo a porre la questione di fiducia sul provvedimento senza scaricare la responsabilità su altri.
Altrimenti siamo all’ipocrisia, e della miglior specie.

Ricapitolando

Renzi è il segretario del PD. Letta è il Presidente del Consiglio. Alfano è la punta di diamante degli alleati di governo di Letta. Renzi dice che non vuole creare problemi al governo Letta, ma vuole che si faccia qualcosa. E quindi chiede un patto per il 2014. Letta e Alfano vogliono il patto per il 2014. Però si discute sui contenuti del patto. Renzi spinge per civil-partnership, job-act (ricordate, quando si passa all’inglese c’è sempre la fregatura), Bossi-Fini, ius-soli e FIni-Giovanardi. Alfano non ne vuole sapere. Letta media. Letta, Renzi e Alfano dicono che la priorità è il lavoro. Il governo sostenuto da Letta, Renzi e Alfano non fa nulla per il lavoro. Renzi si arrabbia. Epperò dice che si vota almeno nel 2015. Letta dice che si vota almeno nel 2015. Alfano dice dice che si vota almeno nel 2015. Però serve la legge elettorale. Renzi la vuole fare con chi ci sta e propone tre modelli diversi (forse sa che il PD non arriverà mai ad una sintesi, e butta la palla dall’altra parte). Però Alfano dice che bisogna accordarsi prima con la maggioranza di governo. Però non si capisce su quale testo. Però intanto si discute. Epperò intanto si perde altro tempo. Letta ha i sudori freddi. Renzi scalpita. Però si candida a Sindaco di Firenze, contro il logorìo della vita moderna. Che non si sa mai. E però nel frattempo incalza il governo, e la sua maggioranza. E però sa che se tira troppo la corda si spezza. E però continua a fare proposte che  Letta e Alfano non potranno mai accettare. E però non gliene può fregà di meno altrimenti quello fregato è lui. E però si faranno i soliti compromessi al ribasso. Epperò non si può dire che non si sapeva. Epperò ci sta pure chi propone qualcosa di diverso. Epperò indietro non si torna.

Epperò poi arriva Napolitano e mette Renzi, Letta e Alfano d’accordo.

Appello per una legge sullo ius soli

Chi nasce in Italia è Italiano. Punto. Altro che menate su cittadinanza a diciott’anni e sugli anni di scuola. Altro che Grillo e La Russa, accomunati, su questo tema, da una visione tanto razzista quanto catastrofista sulla perdita di identità e sull’invasione di partorienti. Promulgare una legge del genere, in questo Parlamento e con questo Governo, poi, sarà un problema. Certo. Ma è una questione di civiltà. Roba da Terza Repubblica, non da governissimo, insomma.

Firmate l’appello.

Il valore degli immigrati

Nel momento in cui molti sono in tensione, aspettando di vedere se e quanto le prossime manovre toccheranno stipendi, case o pensioni, il Presidente Napolitano ci stimola ad alzare lo sguardo.
Ci invita, finalmente, a pensare anche agli «altri». Alle minoranze religiose, culturali, e, in particolare, a tutti quei bambini nati in Italia da stranieri che l’Italia si ostina a non voler considerare suoi cittadini. E così facendo Napolitano ci fa riflettere su cosa significa essere comunità inclusiva, che accoglie, che cresce senza discriminazioni e senza chiusure. Una riflessione importante non solo per il suo lato profondamente umano e valoriale, ma anche per il suo aspetto sociale ed economico.
Da sempre chiusura e protezionismo, tanto nelle società quanto in economia, portano isolamento e regressione. L’apertura non solo porta al proprio interno nuove energie, nuove idee e più dinamismo, ma proietta all’esterno l’immagine di una comunità forte, attrattiva, che non teme il confronto e le influenze esterne, ma che le integra e si alimenta di esse. E’ stata questa, per esempio, la grandissima forza degli Stati Uniti nei due secoli passati…

…Ma per capire il valore che gli immigrati possono portare in una società non c’è bisogno di guardare alla storia e al passato degli Stati Uniti: basta aprire gli occhi e saper vedere l’Italia di oggi. Gli immigrati rappresentano ormai una componente fondamentale della nostra economia e della nostra società, molti settori crollerebbero senza di loro. Come ci dicono i dati dell’Istituto Tagliacarne, che assieme a Unioncamere monitora il contributo degli stranieri alla nostra economia, ci sono settori, come quello delle costruzioni, in cui addirittura un quarto del valore aggiunto prodotto è dovuto agli stranieri. Sempre secondo le stime del Tagliacarne, il contributo complessivo degli stranieri al valore aggiunto prodotto in Italia è stato, nel 2009, di oltre 165 miliardi di euro, il 12,1% del totale.
Non solo, ma attraverso il loro lavoro gli immigrati contribuiscono anche ai nostri servizi e alle nostre pensioni. Pochi sanno che i contributi versati dagli immigrati all’Inps ammontano a sette miliardi e mezzo di euro, ovvero il 4% di tutte le entrate dell’Inps, una cifra altissima soprattutto se si considera che sono pochissimi gli immigrati che, invece, beneficiano di pensione dallo Stato italiano. E sono pochi non solo perché molti devono ancora maturarla, ma perché sono tanti quelli che dopo alcuni anni tornano poi nel loro Paese di origine lasciandoci in dote i loro contributi. Questo significa, come ben documenta l’ultimo libro di Walter Passerini e Ignazio Marino («Senza Pensioni», Chiarelettere), che gli immigrati stanno supportando in modo sostanzioso anche il nostro sistema di welfare sociale oltre che economico. E possiamo immaginare quanto maggiore potrebbe essere tale contributo se riuscissimo finalmente ad affrontare questo tema con meno foga ideologica e meno paure, aiutando molti stranieri ad integrarsi, cominciando dal rendere i loro figli, che di fatto sono italiani, cittadini a tutti gli effetti.

Le conseguenze di un’apertura di questo genere sarebbero molto importanti, e non solo in termini economici. Pensiamo a cosa possa significare per una famiglia, e soprattutto per dei bambini e dei giovani, sentirsi parte integrante della società in cui vivono e lavorano, sentirsi portatori degli stessi diritti e doveri di chi gli sta intorno. L’emarginazione genera rancore, odio, rende inevitabilmente arrabbiati contro chi ti esclude. L’integrazione, quella piena e sincera, dà e genera fiducia, coesione, identità collettiva. E questo aiuta a prevenire malesseri sociali, conflitti, criminalità. E aiuta a fare fronte comune contro i problemi e le crisi, in nome di un Paese che non è soltanto di quelli che in qualche modo se lo sentono nel sangue, ma di tutti quelli che lo hanno scelto con passione, determinazione e amore.
Irene Tinagli, La Stampa, 23/11/2011

I nuovi cittadini sono i benvenuti

“Mi auguro che in Parlamento si possa affrontare anche la questione della cittadinanza ai bambini nati in Italia da immigrati stranieri. Negarla è un’autentica follia, un’assurdità. I bambini hanno questa aspirazione”.     Giorgio Napolitano

Introdurre anche nel nostro paese lo ius soli è sacrosanto. Pensare che al compimento della maggiore età un ragazzo nato e cresciuto in Italia da cittadini stranieri, che magari non ha mai messo piede nel suo Paese d’origine, che parla il nostro dialetto, sia espulso se non ha un lavoro è un’aberrazione. La Lega se ne faccia una ragione. E pure Cicchitto, socialista dei mei coglioni. E pure Gasparri il picchiatore.