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Tutto in una settimana

Parafrasando il titolo del film, direi che la prossima settimana è quella decisiva. Almeno le basi vanno gettate, per il futuro prossimo (e anche Prossimo). Perchè se oggi cade il governo Monti, non è che possiamo restare a guardare. E poi, a dirla tutta, una settimana nemmeno ce l’abbiamo, per non far scappare definitivamente i delusi che si stanno ricredendo sul PD.

Gradirei

Ho sempre sostenuto, e certamente non da solo, la necessità di una apertura del PD ai cittadini e agli elettori. Le parole contaminazione, cessione di sovranità, partecipazione non mi hanno mai spaventato. Non ho mai temuto di perdere la mia identità, e quindi auspico fortemente che queste primarie facciano avvicinare al PD anche persone che il PD non l’hanno mai votato. O che non hanno mai votato per PCI, PDS, DS. O Margherita. O SEL. E che magari hanno votato centrodestra per anni. O che non votano da tempo.

Considerando i cinque sfidanti in campo, credo di poter dire che le due personalità che hanno maggiori possibilità di attrarre questo tipo di elettorato sono Tabacci e Renzi. Escludendo Tabacci, che sicuramente non me ne vorrà, per ovvie ragioni di “peso” elettorale,  rimane Renzi. E arrivo al punto. Le primarie sono importantissime, ma lo sono ancora di più le secondarie, ossia le elezioni politiche. Qualunque sia l’esito delle primarie, compito del centrosinistra è quello di offrire una prospettiva autorevole di governo al Paese. E tale prospettiva sarà tanto più credibile e appetibile per gli elettori se il 26 novembre (oppure il 3 dicembre), i protagonisti delle primarie sapranno sedersi intorno ad un tavolo, senza alcuno scalpo tra le mani,  e indicheranno un percorso comune nel quale riconoscersi, tutti. Ma non basta. Perchè gli elettori serviranno ancora di più per dar forza ad una coalizione di centrosinistra, soprattutto se PDL, UDC e Lega cercheranno di annacquarne un’eventuale vittoria  per rendere il sistema ingovernabile o per aprire la strada verso un nuovo volemose bbbbene-bravoo-bisse (leggi Monti-Bis). E quindi è necessario che gli elettori non-di-centrosinistra che partecipano a queste primarie (che per il motivo di cui sopra dovrebbero votare in maggior parte dei casi per Renzi)  continuino a votare per il centrosinistra anche dopo. Magari anche per far si che nella coalizione siano rappresentate anche quelle idee che hanno sostenuto parteggiando per Renzi alle primarie.  Ecco, io ‘sto clima non lo vedo. Ho sentito alcuni amici che fanno parte della categoria alla quale accennavo in precedenza che, in caso di sconfitta di Renzi, di votare per il centrosinistra non gli passa manco per l’anticamera del cervelletto. Alle elezioni i cittadini votano per chi cazzo gli pare, direte voi. Lo so, grazie.  Gradirei però, da parte di Renzi, un appello a tutti quelli di cui sopra affinchè votino per il centrosinistra anche dopo. Tabacci l’ha fatto, per dire.

Pensieri che ci appartengono

[…] Penso che non sia il caso di allargare a dismisura l’alleanza, e che non ci sia bisogno di sfondare a destra ma di fare (bene) il centrosinistra. Poi con la destra ci si confronterà, senza confondersi.

Penso che sia necessario costruire una coalizione di governo che purtroppo non è stata fatta prima da chi avrebbe dovuto. Le primarie a questo dovrebbero servire, anche se leggo che se vince uno, qualcun altro se ne va, e che comunque quella che vediamo non è la coalizione definitiva, perché si potrà allargare dopo le primarie. Mah.

Penso che i diritti civili o sono civili e per tutti, oppure non sono.

Penso che l’agenda Monti, che ha molto di letterario, per altro, perché ognuno la interpreta un po’ a modo suo (un po’ come quell’Europa a cui tutti si appellano, a giorni alterni), si collochi proprio su un altro piano: perché sulla nostra agenda noi dovremo chiedere i voti. E non possiamo permetterci quello che sta accadendo: che la fiducia nei confronti di Monti è inversamente proporzionale, presso i nostri elettori ma non solo, al gradimento delle sue politiche.

Non penso per altro che Monti sia una sciagura, come lo presenta qualcuno, né il leader-in-cui-riconoscersi, come qualcun altro sembra pensare. Né che si possa usare il bianco o il nero, quando si parla di questa stagione, perché è il grigio del Paese il colore che si impone. E il grigio dura da anni.

Penso non si debbano promettere cose strampalate, ma una riduzione delle tasse sul lavoro e sulla produzione e una patrimoniale per chi dispone di grandi ricchezze (una cosa all’europea). Che non è l’Imu, per intenderci, come qualcuno sostiene.

Penso che in un anno si debba stipulare la convenzione con la Svizzera – che vale più della spending review – e che sia il momento di attivarsi per una seria lotta all’evasione fiscale, con i computer e non con i blitz.

Penso che ci vuole l’Europa, quella di cui parlano Ed Miliband e Peer Steinbrück (e anche un po’ Bersani, va detto), a proposito di finanza, di regole e di civiltà della democrazia.

Penso che in ogni sede e a tutti livelli la politica si debba contenere, in termini di clientelismo, nomine e chiacchiere, a cominciare dalla riduzione e razionalizzazione delle quasi 7000 aziende pubbliche. E che politici (e candidati) debbano per primi dare il buon esempio.

Penso che i risultati dei referendum vadano rispettati. E che si debba essere conseguenti. E che non possa parlare di beni comuni chi non li rispetta. E che non possa fare politica chi snobba le leggi d’iniziativa popolare, come troppo spesso è accaduto.

Penso che l’ambiente per l’Italia sia strategico, come poche altre cose. E che il suolo ed il paesaggio lo siano più di tutte le altre. E vorrei un po’ più di impegno, in questo senso.

Penso che l’antipolitica la facciano i politici che la chiamano così.

Penso che il recupero dell’astensione sia il nostro primo obiettivo e che il M5S sarà il convitato di pietra di queste primarie.

Penso che ci voglia una sussiding review e che si debba preferire la diminuzione delle tasse ai molti contributi a pioggia destinati alle imprese.

Penso che prima di fare altre opere (puntualmente corredate da omissioni) si debbano finire di pagare quelle vecchie e quelle incompiute.

Penso che nuove autostrade vadano bene solo se sono informatiche. E che ci sia una questione cemento da affrontare quanto prima.

E penso, soprattutto, che si debba aprire un grande dibattito sulle cose da fare, come ho cercato di fare, in questi mesi.

E che ci vogliano parlamentari scelti dai cittadini (come, i cittadini possono scegliere il premier, e non il parlamentare sotto casa?) e che nessuno dei candidati lo abbia detto, in questi giorni (chissà come mai…).

E che i parlamentari debbano essere a progetto, limitati nel tempo e nello spazio che occupano. […]

Forse

L’ottimismo? È il sale della vita! Così recitava Tonino Guerra in uno spot televisivo di qualche anno fa.

Un principio universalmente valido, applicabile con entusiasmo alle vicende con le quali ci confrontiamo nello squadernarsi delle nostre esistenze.

Applicabile anche alla politica? Ecco, qualche certezza inizia a vacillare, viste le pessime prove di sè che il mondo politico ha dato nell’ultimo ventennio.

Applicabile anche al Partito Democratico? Beh, in questo caso Guerra rischia di essere smentito alla grande. Prendete, ad esempio, la questione delle regole per le primarie, tanto per il candidato premier quanto per la scelta dei parlamentari. Da quanto tempo si lanciano a Bersani appelli affinchè sia definito il quadro entro il quale iscritti ed elettori possano partecipare a scelte tanto importanti per la vita del PD e del Paese? Tanto tempo sta passando, e ad oggi ancora non si è stabilito praticamente nulla.

Forse il 6 ottobre prossimo si terrà l’assemblea nazionale, nella quale, forse, sarà approvata una deroga allo statuto che consenta ad altri candidati del PD di partecipare alla competizione. Forse il doppio turno, giusto per congressizzare ulteriormente la scelta del candidato premier. Forse si favoriranno forme ampie di partecipazione (ma che vuole dire? che potranno votare i parenti prossimi degli iscritti?). Forse si consentirà di partecipare a tutti. Forse si utilizzerà l’albo pubblico degli elettori e delle elettrici. O forse si richiederà di essere iscritti in un nuovo registro. Forse si parlerà anche del limite dei mandati. O forse no. Forse diranno che a due mesi dalle Primarie è troppo tardi per definire tutta ‘sta roba. Anzi no, quella è una certezza.

Un’analisi lucida sulle primarie e sul PD

Lo riporto integralmente, il post di Pippo sulle primarie, perchè riassume le domande (tante), i dubbi (tantissimi) e le certezze (di più) che alcuni di noi nutrono sull’agire dei “massimi dirigenti” del PD.

Mettere in sicurezza, aggiustare, correggere. La solita analisi del dopo primarie all’interno di un Pd in vistosa ritirata, a cui contribuiscono i suoi massimi dirigenti.

Il paradosso è il solito: il gruppo dirigente commette errori grandi e piccoli che lo portano a ‘perdere’ (virgolette essenziali) le primarie e poi, avendole ‘perse’, mette in discussione le primarie, per poter tornare a scegliere in solitudine. E sembra quasi che lo si faccia apposta, di ‘perdere’.

Un circolo vizioso alla perfezione.

Era successo lo stesso con Pisapia, ricordate?

A nessuno viene il dubbio che il problema di Genova fosse, in particolare, il giudizio sulla candidatura del sindaco uscente che il Pd non aveva saputo elaborare, prima di tutto al proprio interno e all’interno del proprio gruppo dirigente?

E se si fossero messi d’accordo prima, chi può dire che Doria, che ha doppiato i candidati del Pd, non avrebbe vinto lo stesso? A Milano c’era un solo candidato del Pd, che ha perso. Anche a Cagliari, dove acerrimi nemici si strinsero intorno alla candidatura di Cabras. Lì, le aggiustatine, caro segretario, a chi le avremmo dovute dare?

E, ancora, a Piacenza, chi avrebbe dovuto “aggiustare” il dissidio tra l’area del sindaco uscente e la maggioranza del gruppo dirigente? Se non gli elettori, lo avrebbe dovuto fare un gruppo dirigente dichiaratamente diviso. E a Parma, dove l’assemblea cittadina si era divisa a metà, chi avrebbe dovuto mettere in sicurezza il dibattito interno? Chi lo capisce, è bravo.

Lo Statuto già prevede dei limiti alle seconde candidature del Pd, che devono essere largamente rappresentative e sostenute all’interno dei gruppi dirigenti del Pd. Facciamo rispettare questa regola di buon senso e smettiamola, una buona volta, di fare le doparie (non nel senso delle consultazioni proposte da Calabretta, che per altro non facciamo mai, ma nel senso del dibattito dopo le primarie).

Abbiamo deciso di far scegliere agli elettori, e di estendere la scelta a tutte le forze della coalizione perché il Pd di Veltroni non ci piaceva più. Ecco. E abbiamo addirittura preso l’impegno, coram populo, di fare le primarie per scegliere i parlamentari.

Se abbiamo riflessioni da fare, dedichiamole piuttosto ad un’analisi accurata del voto delle grandi città, dove tendono ad affermarsi candidati capaci di rompere lo schema, di aprire un rapporto diverso con la cittadinanza, di mettere in discussione chi è al governo, di lanciare offensive sul piano culturale e, sì, anche generazionale.

E poi diciamocela tutta: nell’Italia della cosiddetta antipolitica (di cui parliamo a sproposito tutto il santo giorno, senza mai ragionare sulle cause che hanno portato a tale e tanta disaffezione verso i partiti), è possibile (bella scoperta!) che vinca un outsider. Soprattutto se gli insider non sanno bene che cosa fare e non riescono a convincere nemmeno gli elettori (e a volte i colleghi dirigenti) del proprio partito. Oppure crediamo davvero che Sel o altre formazioni del centrosinistra dispongano di più voti del Pd alle primarie, per poi perderli quasi tutti durante la campagna elettorale? Suvvia.

Il problema da porsi, in sintesi, non riguarda le primarie, ma la politica del nostro partito: ed è quello del rapporto tra le gerarchie e le loro dinamiche, da una parte, e gli elettori e le loro sensibilità, dall’altra. In una parola: rappresentanza. Tutto qui. E scusate se è poco.

P.S.: per concludere, ogni storia è diversa, e come tale andrebbe valutata. Anche Vendola era un uscente, per dire. E pretendemmo di cambiarlo. E sappiamo come è andata a finire. E qualcuno avrebbe voluto candidare Chiamparino al posto di Bresso. Ma si candidò l’uscente. Senza primarie. Poi siamo stati sfortunati, com’è noto, alle elezioni. Capita.

Un auspicio per chi non fa le primarie

Certo, poi capita che le primarie il PD le faccia e che il candidato, o i candidati del PD escano sconfitti. Come a Genova ieri. Come a Milano, come in molti altri posti. Ma il candidato del PD può anche uscire vincitore, con merito, ed è successo in molte città d’Italia. Conta la qualità delle persone che si mettono in campo, la credibilità, la proposta politica. E comunque farle, le primarie è già una vittoria. Per tutti.

Poi capita praticamente ovunque che il vincitore delle primarie vinca anche le elezioni vere e proprie, sia esso del PD, di SEL, o di un altro partito della coalizione.

Si, ci vuole coraggio, e tanto. E non tutti ce l’hanno. Un plauso a chi le fa, soprattutto agli sconfitti che sapranno sostenere la coalizione con spirito unitario e avendo ben presente il bene comune.

E a chi non le fa, peste lo colga.

Primarie nel congelatore

Mila Spicola scrive a Pippo Civati, che oggi ha riunito un bel pò di belle persone a Varese, per parlare di Nord, di Italia. Della Prossima Italia. E le parole di Mila, magicamente, sembrano adattarsi ad innumerevoli situazioni che spesso vedono il PD protagonista, e non sempre in positivo. Come in Sicilia. Come a Minturno.

Carissimi amici,

Palermo vi saluta. Devo dire mi spiace non esserci perché la categoria Nord implica quella del Sud e mi piacerebbe che venga presto il tempo in cui a queste due categorie se ne sostituisca solo una: Italia.

Come dice bene Pippo: Prossima fermata Italia. Però adesso così non è. Il presente è il tempo della frammentazione, della divisione della mancanza di coesione nel nostro paese come dentro i nostri paesi. Io sono a Palermo e vi chiedo di accendere tutti i quanti i riflettori sulla quinta città d’Italia. Avremo le amministrative tra qualche mese e ancora regna il caos. Stanno naufragando le primarie.

Il nostro partito è dilaniato da una divisione ormai non più sostenibile. Quella del sostegno o meno al governo lombardo. Sostegno che diventa la chiave della divisione a ogni livello. Non continuate a chiederci “ma come è potuto accadere tutto ciò”, vi chiedo dove siete stati tutti mentre tutto ciò accadeva perché è bene dirlo: ciò che accade in Sicilia determina i destini politici nazionali. Giù al Nord dovreste stare con gli occhi spalancati in questi istanti mentre, come è probabile, salta tutto dentro il Pd Sicilia: saltano le primarie, saltano gli statuti e saltano le regole. Possiamo permetterlo? Alcuni di noi si stanno battendo strenuamente per assicurare forza e valore all’unico strumento di consultazione popolare, le primarie,  che potrebbe scardinare le dinamiche malate e toglierci dall’angolo in cui ci ha costretti la parte filogovernativa del Pd siciliano.

C’è chi lo ripete a forza da più di un anno dentro il partito, Davide Faraone, c’è chi lo dice da qualche mese da fuori del partito, Rita Borsellino. La verità è che per adesso il Pd siciliano è una bomba pronta a esplodere e a deflagrare e il gioco è quello di evitare qualunque tipo di consultazione allargata all’esterno delle segrete stanze. Ricordatevi: senza Sicilia non c’è Italia. Le primarie sono congelate, questa è la formula uscita ieri. Se le congelano qua potrebbero farlo altrove, se il centrosinistra si spacca a Palermo, succederà anche altrove snaturando le identità nei mille opportunismi tattici di alleanze più o meno risicate senza che ciò abbia il consenso dei nostri elettori e della nostra gente.

Questo è adesso l’inverno del nostro scontento. Noi siamo con voi, siate anche voi con noi e non limitatevi a “guardare dalla finestra”, fate uscire da Varese un documento di solidarietà e richiesta ufficiale di primarie a Palermo senza se e senza ma, allargandolo anche alle altre forze politiche della sinistra: Idv e Sel. Che lo dica tutta l’Italia che Palermo debba avere le sue primarie senza cadere nei giochi e nelle trappole di tatticismo di chi non ha a cuore né l’Italia, né la Sicilia, né il Pd ma solo e soltanto la propria sfrenata volontà di mantenere posizioni ormai indifendibili e superate dai tempi.

Rilanciare (per non morire)

Il gioco è troppo, troppo sgamato. Si punta al fallimento del congresso del PD Lazio per mettere in discussione le primarie tout-court (e per lasciare tutto com’è, nel Lazio). La decisione della Consulta (legittima, aggiungo, pur avendo auspicato un esito differente) sui referendum offre una sponda eccezionale a chi vuole cambiare il sistema elettorale secondo le esigenze dei partiti e senza ascoltare la voce di quel milioneduecentomila cittadini che hanno sottoscritto i quesiti per l’abolizione del porcellum.Al di là di chi sbraita, il sistema politico che si chiude a riccio e salva Cosentino è pronto anche al colpo di mano sulla legge elettorale e qualcuno ne approfitterà per affossare le primarie. E allora occorre rilanciare e insistere. Primarie sempre. Primarie ovunque. Per Camera, Senato, Comune, Regione, Partito. Sempre.

Prima gli elettori, ora più che mai.

 

Magari ne esce qualcosa di buono

La vicenda del PD Siciliano rischia di essere emblematica per il Partito Democratico a livello nazionale, come ci ricorda Pippo. Al netto dei personaggi discussi alla Crisafulli e di paladini dell’antimafia alla Lumia, ciò che colpisce è la frattura totale tra le decisioni dei gruppi dirigenti e il sentire degli elettori. E allora ben venga il referendum, invocato da più parti, che ha il sapore di doparie. Scelgano, gli elettori del PD, se il partito deve continuare ad appoggiare la giunta del Governatore Lombardo.  Giudichino, gli elettori del PD, le scelte dei gruppi dirigenti. In Sicilia come nel resto del Paese. Sulla legalità, sulla trasparenza, sul rispetto delle regole che il PD si è dato, sui temi etici, sulle ricette economiche. Doparie e primarie. Il post e il pre.  E il Partito si attenga alle decisioni dei propri elettori. Vabbè, pare facile.