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Due parole sulla manifestazione della FIOM

Venerdì c’ero anch’io, a manifestare con la FIOM. Ma non ero lì per la FIOM. La FIOM fa il suo lavoro, con i suoi limiti, le sue certezze, le sue contraddizioni. Difende i lavoratori e saranno i lavoratori a dire se lo fa bene o lo fa male.  E comunque la storia che il sindacato voglia giocare un ruolo politico non mi convince. Le stesse cose furono dette a Sergio Cofferati quando portò 3 milioni di persone in piazza per l’articolo 18, e sono passati giusto 10 anni e il sindacato continua a fare il sindacato e le questioni sono ancora le stesse.

Ero lì per i lavoratori. Non c’erano pericolosi terroristi, bolscevichi in tuta da lavoro o rivoluzionari con la pancia piena. C’era il mondo del lavoro operaio. Quello che paga, come molti e forse più nel Paese, il prezzo della crisi. Un mondo che chiede equità, giustizia sociale, democrazia. Che chiede lavoro. Forse parole davvero rivoluzionarie, al giorno d’oggi. Chissà cosa ne penserebbe Di Vittorio. Non potevo che essere lì, venerdì. E anche il PD avrebbe dovuto esserci. E in effetti c’era, in qualche forma. C’era Pippo Civati, c’era Vincenzo Vita, c’era Marco Miccoli, c’era Furio Colombo e c’erano, soprattutto, tanti iscritti e militanti del PD nel corteo, sicuro. Non per una passeggiata, ma perchè condividono la preoccupazione per tutte quelle domande che non hanno ancora trovato una risposta. Ma se non c’è il PD come partito significa che in quella piazza è assente la politica.

E chi, se non la politica, ha il compito di dare soluzioni alle questioni che affliggono il mondo del lavoro? E chi, se non il PD, ha il compito di indicare una strada che sappia coniugare protezione sociale, difesa dei diritti e nuova forma del rapporto tra capitale e lavoro? E chi, se non il PD, ha il dovere di evitare che opposti settarismi spingano la FIOM da un lato e la Confindustria dall’altro ad assumere posizioni intransigenti che rischiano di spingere un intero ceto produttivo verso posizioni sempre più estreme? Sempre che il PD voglia fare il PD, ovvio. Trovare le risposte. Tic toc tic toc.

p.s. per chi volesse approfondire, tre bei post sulla manifestazione qui, qui e qui.

Troviamo insieme nuove forme di lotta

Ieri un post di Ivan che ci spiegava l’ineluttabilità della manovra, nella sua forma e nei suoi contenuti. Sono in parte d’accordo con lui, nel senso che il PD si è assunto la responsabilità (quella si, politica e non tecnica) di contribuire a scongiurare il default del Paese e quindi il cul de sac di cui ci parlavano ieri PippoPopolino (che coppia!) non offre molti margini di manovra, anche ai parlamentari del PD ad oggi indecisi se accordare o meno la fiducia in un eventuale voto del Parlamento. Ciò non toglie che, a parità di saldi, l’ennesimo aggiustamento dei conti pubblici poteva essere realizzato con elementi di maggiore equità sociale e in questo senso le scelte politiche del Governo Monti sono sicuramente discutibili. Ciò che mi “divide” da Ivan, invece è il suo giudizio sullo sciopero. Ieri di tre ore, venerdì quello di otto ore che riguarderà anche la mia azienda. Ora io non voglio, qui, riaprire la solita discussione sui sindacati, sull’efficacia della loro azione, sulla loro rappresentatività tra le nuove generazioni. Tutto giusto. Molte critiche che sento rivolgere al sindacato sono corrette, anche per me che un pò ci vivo dentro. Ciò che preme dire, però, è che non si rinuncia ad una giornata di lavoro per compiacere il sindacato, ma per tutelare noi stessi. Allora quello che chiedo a voi, ed Ivan, è di capire insieme se ci siano altre forme di lotta diverse dallo sciopero, oggi. Se i lavoratori, oggi, abbiano altri strumenti per far sentire la propria voce. Per farla sentire, però.

Chi fallisce?

Popolino esprime le preoccupazioni che molti di noi nutrono:

Torniamo alla premessa: se il Pd vota contro, il Paese è a rischio fallimento. Se il Pd vota a favore, si dimostra responsabile, e probabilmente salva l’Italia. Ma quando poi dovrà presentarsi di fronte ai suoi elettori, presto o tardi, quale contributo potrà rivendicare? Come farà a spiegare che quei sacrifici erano necessari, ma che non è stato possibile chiederne altrettanti alla parte più ricca del Paese? Insomma, ci hanno incastrato.

Il resto qui.

L’estate del cambiamento

“Se fossi un ragazzo di provincia, dopo aver visto quel che è successo a Milano, adesso avrei la speranza che succeda anche nella mia città. Vorrei fare il volontario per un candidato che conosco e che stimo, e vorrei che il suo comitato elettorale fosse un luogo aperto in cui tutti possono portare il loro entusiasmo e le loro idee. Vorrei che il Pd lo capisse, e permettesse ai suoi elettori di scegliersi i propri candidati a Camera e Senato (e anche a Sindaco, Presidente della Provincia, Presidente della Regione, ndr) con primarie aperte e libere.”

Questa la prefazione del Libretto Arancione, che potete scaricare (e diffondere) qui. Un compendio di proposte e suggerimenti per confrontarsi, nel PD e nel centrosinistra. Alla pari. Affinchè tutti, ma proprio tutti (soprattutto le giovani generazioni, guarda un pò!), possano dare il loro contributo per costruire un Paese migliore.

Candidiamoci tutti, candidiamoci dappertutto

Faccio mio l’appello che Paolo formula sul sito di Prossima Italia.

Ormai è chiaro: all’Italia e al Pd servono dieci, cento, mille comitati arancioni, ed è giunto il momento che tutti noi iniziamo a fare la nostra parte per costruirli.

In tutte le città, in tutti i collegi, dobbiamo iniziare a lavorare per quello che verrà, per il cambiamento che vogliamo: candidiamoci tutti, candidiamoci dappertutto.

Cerchiamo persone per bene, persone che siano in grado di rappresentare quell’Italia diversa che vorremmo realizzare. E candidiamole a rappresentarci nelle elezioni che verranno. Iniziamo subito, da domani, a mettere insieme i comitati elettorali – i comitati arancioni – che le aiuteranno ad affrontare questa sfida. Con chi ci sta, dentro il Pd ma soprattutto fuori, tra i cittadini. Perché è questa la chiave per vincere la sfida.

Prepariamoci a combattere questa battaglia dove sarà possibile. E insistiamo nel chiedere che il Pd permetta ai suoi elettori, non importa quale sarà la legge elettorale, di scegliersi i propri candidati alla Camera e al Senato attraverso primarie libere e aperte.

Se questo non accadrà, facciamoci sentire in tutte le sedi in cui siamo presenti, opponendoci a qualsiasi altro criterio. Mai più candidature catapultate dall’alto, mai più candidati che non siano espressione del territorio: i parlamentari come i sindaci, perché no? Combattiamo per un diritto, banale solo in teoria: nelle segreterie, nelle direzioni, nelle assemblee, ovunque siamo presenti. E pure fuori dalle sedi di partito, tra la gente.

Se invece avremo le primarie di collegio, troviamo il coraggio di andare fino in fondo: niente timidezze, niente tatticismi. Se queste amministrative (e questi referendum) ci hanno insegnato qualcosa è che gli elettori – pure quelli che ultimamente si astenevano, e sono tanti – apprezzano il coraggio di chi sa affrontare la sfida del cambiamento a viso aperto. Candidati convincenti, partecipazione e programmi chiari: la ricetta vincente è tutta qui. Mettiamoci anche uno spirito un po’ nuovo, un po’ diverso, che non ci è mai mancato, per fortuna, almeno quello: e in fondo è la risorsa più grande che, nel nostro piccolo, abbiamo a disposizione.

Al Nord, dove si è clamorosamente dimostrato che questa destra becera e razzista si può battere anche e soprattutto restando fedeli a noi stessi, evitando di inseguire gli avversari sui loro deliranti e pericolosi proclami. E al Sud, dove Napoli ci insegna che per cambiare tutto è necessario iniziare proprio dalla nostra classe dirigente: e allora cambiamolo, questo Sud, senza paura.

Puntiamo su programmi e contenuti, partendo da quelli che abbiamo già elaborato dalla Leopolda a oggi, attraverso le tante Prossime Fermate organizzate in questi mesi in tutta Italia. Ognuna di esse ha permesso di raccogliere riflessioni, spunti, proposte e buone pratiche. Con Prossima Italia le abbiamo raccolte, e organizzate in un Vocabolario che chiunque può prendere e adattare, e che di fatto è già un manifesto del cambiamento.

Organizziamoci, anzi, proviamo a essere i comitati di noi stessi: raduniamo le persone intorno a noi, e troviamone di nuove. Questo era il senso delle Prossime Fermate, e questo è quello che tutti dovremo continuare a fare nel futuro.

Infine, facciamo lo sforzo di non riporre tutte le nostre speranze sempre e solo su chi si candiderà a fare il candidato premier. E’ una cosa importantissima, e quando verrà il momento faremo il nostro dovere, ma non facciamoci fregare dall’idea che un uomo solo, una persona sola, possa cambiare il Paese senza l’aiuto di tutti, e senza una classe dirigente diversa. Non funzionerà, perché chi pensa di salvare l’Italia con le sue sole forze o è matto o è in malafede: e noi abbiamo avuto abbastanza dei primi e non abbiamo mai amato i secondi.